22 giugno 2017

Jean Paul Chadel (#Arev): «Lavorare 15 ore al giorno e non potersi permettere un weekend con la famiglia è un qualcosa che non esiste per nessuno tranne che per gli allevatori»

L’intervista di questa settimana è a Jean Paul Chadel da poche settimane alla guida dell’Arev.

Da poche settimane è alla guida dell’Arev. Da quanto tempo opera nel settore?  
Sono allevatore praticamente da sempre. Mio padre lo era come suo padre. Poi ufficialmente ho aperto l’azienda agricola undici anni fa.

E’ un momento molto delicato per il mondo agricolo e per la zootecnia in particolare. Quali sono i numeri del settore?
Abbiamo circa 950 allevamenti gestiti in modo professionale, quindi con partite Iva che vivono sostanzialmente di questo. La fatica è tanta. Purtroppo i numeri stanno calando. Perdiamo mediamente 35 allevamenti all’anno e le prospettive non sono le più rosee anche perché l’età media supera i 50 anni.

 Quanto è importante l’Arev in un simile scenario?
A mio avviso è l’unico modo di sopravvivere. Siamo tutte aziende minuscole. Non possiamo pensare di camminare ognuno con le proprie gambe. Abbiamo bisogno di un sistema associativo che difenda i nostri diritti, ci aiuti anche a trovare le vie per i finanziamenti che mancano o per valorizzare i nostri prodotti. E per quest’ultimo obiettivo occorre un sistema cooperativa per valorizzare al meglio i nostri prodotti.

Quali sono gli obiettivi della sua presidenza?  
In ordine di emergenza più che di priorità assoluta vedo, purtroppo, la situazione legata ai contributi che stentano ad arrivare come dovrebbero. Ci sono allevatori che aspettano ancora quanto dovuto dal 2014-2015. Di conseguenza si fa fatica per un bilancio che comunque è fortemente legato a queste sovvenzioni che, ricordo, non sono un dono piovuto dal cielo ma sono legate al fatto che il nostro allevamento sul nostro territorio lavora in condizioni economicamente insostenibili, ma offre un servizio a tutti quanti gli abitanti, garantendo una tutela del territorio dal punto di vista idrogeologico oltre a favorire il turismo in una regione che senza il turismo non può sopravvivere. E quindi siamo molto in attesa di questi aiuti. I problemi burocratici noi li viviamo in fondo alla catena ma nascono tra Bruxelles e Roma e tra Roma e Aosta. Per il resto per fortuna voglio continuare ad insistere per quanto concerne la valorizzazione dei nostri prodotti. Abbiamo un latte e una carne che sono prodotti in un modo che non ha nulla a che vedere con l’allevamento intensivo come avviene nella maggior parte delle altre realtà proposte sul mercato mondiale. Dobbiamo però farlo sapere ai consumatori senza arrivare tanto lontano, facendolo semplicemente sapere ai nostri vicini di casa. Ci siamo un po’ isolati e questa è una colpa nostra categoria. Dobbiamo imparare a farci conoscere di più e a valorizzare il nostro lavoro. Con il nuovo direttivo che mi sembra molto motivato, in continuità con quanto già fatto in passato, cerchiamo di spingere affinché la nostra voce si faccia sentire.

Chi sono gli altri componenti?
I due vicepresidenti sono Davide Ronc e Dino Planaz. Oltre a loro ci sono altri 17 allevatori in rappresentanza un po’ di tutta la Valle e di tutti i settori, cioè non solo bovino, ma anche ovicaprino ed equino.

Il dialogo con il mondo della politica nell’ultimo quinquennio si è fatto più difficile…
Il mondo negli ultimi anni è cambiato, non soltanto il settore dell’allevamento. Le risorse non sono più quelle di un tempo e la stessa politica deve imparare ad affrontare i problemi in modo diverso. Se per tanti anni l’allevamento è stato aiutato in modo più o meno costruttivo dalla politica con aiuti regionali disponibili in quanto presenti nel bilancio regionale oggi non è più così. La politica, i dirigenti e chi opera in generale nella pubblica amministrazione deve reimparare un lavoro diverso e che vede i contatti con Bruxelles come l’unica possibilità di ottenere finanziamenti. Come allevatori abbiamo bisogno di una politica che sappia fare il suo mestiere. Come noi dobbiamo essere imprenditori nel 2017, c’è chi deve essere amministratore nel 2017. A ognuno compete un ruolo.

Pagamenti Agea, prezzo del latte, una burocrazia insostenibile sono alcuni dossier caldi. Come intendete muovervi?
Abbiamo una serie di proposte. Le aziende lamentano il bisogno da un lato di delegare una parte degli aspetti burocratici. C’è bisogno di una figura che possiamo chiamare di “segretario aziendale” che come associazione si occupi di più allevamenti e affronti gli aspetti burocratici più ostici. E’ ovvio che la compilazione e la firma delle domande spetta all’allevatore, ma ci sono tante volte dei problemi di comunicazione anche informatica tra programmi che non possono essere risolti dall’allevatore. Abbiamo bisogno di qualche tecnico che se ne occupi per noi. Ricordo che ci sono studi in base ai quali il settore dell’agricoltura e dell’allevamento in Italia e in Valle d’Aosta in particolare è soggetto ad un carico burocratico che non è paragonabile a quello di nessun altro settore produttivo. Io allevo 16 bovine da mungere e da due a tre mattinate alla settimana so per certo che devo stare in giro per uffici. Questa è una situazione veramente assurda. Un altro aspetto su cui come associazione vogliamo spingere, ovviamente attraverso il dialogo con chi effettua i controlli in loco sulle aziende, è avere qualcuno che possa sostenerci quando questi avvengono. Le regole sono tante, forse troppo. Un attimo di chiarezza in più su cosa sia necessario fare e quello che l’allevatore può scegliere di fare a seconda della disponibilità economica o di come vuole impostare la propria azienda andrebbe fatta. Ci sono norme chiare per tutte e vanno rispettate e chi non le rispetta, compresi io e i miei colleghi, andrà incontro a delle sanzioni e a quello che la legge prevede. Ma ci sono anche tanti altri aspetti su cui ognuno deve avere un minimo di libertà

L’allevamento è un lavoro difficile ma lo è ancora di più se svolto in montagna. Come si può fare affinché tra vent’anni ci siano ancora attivi giovani allevatori come lei?
Non vorrei apparire troppo materialista ma l’aspetto economico è fondamentale. Se un’azienda sta in piedi il giovane può dire mi dedico a questo lavoro che è duro, ma se lo si vuol fare c’è già una passione a monte che non deve mancare. Se questa c’è un ragazzo è disposto a lanciarsi nell’allevamento, ma – e parlo anche da educatore e da padre – siamo noi che lavoriamo qui nel presente a pensare al loro futuro cercando di evitare che questi ragazzi cavalchino la loro passione per poi ritrovarsi a fare una vita che al di sotto di qualunque livello socialmente accettabile. In quanto lavorare 15 ore al giorno e non potersi permettere un weekend con la famiglia è un qualcosa che non esiste per nessuno tranne che per gli allevatori. Questa è la norma per gran parte degli allevatori nella nostra regione. E se questo non cambia avremo seri problemi a mantenere i giovani nell’allevamento.

Guardando alla fine del 2017 e al 2018 c’è qualche novità in vista da anticipare ai nostri radioascoltatori?
C’è tutta la serie di manifestazioni legate a Alpages ouverts, iniziativa che va avanti con successo da diversi anni e che valorizza un po’ il punto forte del nostro allevamento cioè la vita d’alpeggio e i prodotti d’alpeggio, fontina in primis, anche con ricadute turistiche interessanti. Con l’Assessorato all’Agricoltura siamo in una fase di organizzazione di parecchi eventi che vanno in altri paesi, in altre regioni a far conoscere la nostra realtà. E’ una grossa novità.

Un sogno imprenditoriale-associativo per il settore zootecnico in Valle d’Aosta?
Posso sembrare poco ambizioso ma vorrei che chi lavora nel nostro settore raggiungesse un livello di qualità della vita degna perché è proprio su questo che siamo lontani da qualunque altro settore. Abbiamo già la fortuna di vivere in un paradiso terrestre e questo l’allevatore già lo vede tutte le mattine, abbiamo la fortuna di essere a contatto con animali splendidi e di avere un rapporto con loro che non esiste negli allevamenti di pianura però dobbiamo poter avere quel minimo di libertà che ci manca oggi, dobbiamo poter vedere come lavorano i nostri vicini del Vallese e della Savoia, dobbiamo poterci formare e formare, dobbiamo poter dedicare del tempo ai nostri cari, alla famiglia. E’ lì che vorrei arrivare. Quando gli allevatori potranno accettare nella loro cultura che il tempo libero è un diritto e non un lusso allora saremo un settore libero, indipendente e culturalmente preparato.

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