15 marzo 2009

Sudan: non si può voltare la testa

La Quaresima di fraternità, attraverso le lettere dei nostri missionari, ci chiede di aprirci al mondo, di coglierne le sofferenze. Mons. Giuseppe Anfossi nell’editoriale che apriva il periodo quaresimale ricordava a noi che abitiamo nel Nord del mondo che, nonostante la crisi economica, c’è chi «è più povero di noi» e che mette quotidianamente in gioco non soltanto la possibilità di un lavoro ma addirittura la propria vita.
Il nostro sguardo perciò in questi giorni non può non andare al Sudan dove rischia di diventare ancora più drammatica la situazione umanitaria e complessi gli equilibri politici interni e internazionali. La Corte penale internazionale (Cpi), ha deciso di spiccare un mandato d'arresto nei confronti del presidente sudanese Omar Hassan El Bashir, imputato di crimini di guerra e crimini contro l'umanità per il conflitto in Darfur, che ha provocato dal 2003 ad oggi oltre 300.000 morti, migliaia di stupri e più di 2 milioni di sfollati. È il primo capo di Stato ad essere incriminato mentre è ancora in carica.
Cinque i capi di imputazione per crimini contro l'umanità: assassinio, sterminio, trasferimenti forzati, tortura e stupro. Bashir ha respinto la decisione della Cpi, con il sostegno della piazza e di numerosi Paesi, tra cui Cina, Russia, Lega Araba, Unione africana. In più, il governo sudanese, che accusa Europa e Stati Uniti di «neocolonialismo», ha subito espulso 13 organizzazioni non governative (Ong) che lavorano nel Paese (francesi, inglesi, americani, norvegesi e canadesi), accusandole di aver cooperato con la Cpi, fornendo presumibilmente dati che hanno portato alla decisione del mandato di cattura.
E ora due milioni e duecentomila persone sono a rischio di fame e malattia. Non è una situazione semplice. Riccardo Moro, economista che si occupa di questioni internazionali e in particolare del problema della lotta alla povertà, non nega la presenza di alcuni elementi contrastanti.
«In un contesto in cui le operazioni di pace – commenta Moro - non progredivano e in cui El Bashir, che in passato aveva giocato la carta del dialogo, negli ultimi mesi aveva mostrato solo la sua irremovibilità, la Corte ha forzato in qualche modo la mano». «Che fare? – aggiunge Moro - Forse si sarebbe potuto aspettare o scegliere una via più interlocutoria, convocando El Bashir anziché richiedendone l'arresto. Ma ora non si può voltare la testa. L'unica scelta possibile è lavorare per eseguire il mandato di cattura, come si farebbe in qualunque contesto nazionale per un imputato eccellente».
L'iniziativa della Cpi spinge forse inconsapevolmente ad un salto di qualità nel servire la giustizia internazionale.
Lo ha spiegato bene Desmond Tutu, il grande vescovo sudafricano premio Nobel per la Pace: «Il mandato d'arresto spiccato per Bashir potrebbe costituire un evento straordinario per il popolo sudanese e per coloro che nel mondo sono arrivati ormai a mettere in dubbio che popoli e governi potenti possano essere chiamati a rispondere delle loro azioni efferate. I capi di Stato e di governo africani dovrebbero sostenere questa occasione storica, non adoperarsi per ostacolarla». (Pubblicato sul Corriere della Valle d'Aosta del 12 marzo 2009)

1 commenti:

Anonimo ha detto...

Che il Presidente sudanese non rappresenti la personificazione della bontà è pacifico , ma altra cosa è il mandato di cattura : non che non lo meriti , ma è inattuabile ( a meno che sia stato evidenziato dopo aver già individuato una tipologia di blitz stile Entebbe ) . Non ha senso decretare qualcosa se poi non può essere messo in pratica : perde prestigio il tribunale penale internazionale , fa irrigidire il superman in questione forse dietro il sequestro poi ben risolto , crea strumentali dichiarazioni in sua difesa da parte di Stati e organizzazioni importanti . Bastava una condanna morale , buco nell'acqua come il mandato di cattura , ma almeno non si creavano le reazioni che sono seguite .

 

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