Il consumo di rucola è aumentato del 192% |
Se
“meno è meglio”, con portate singole e formati più piccoli, è anche vero
che il consumatore cerca più la qualità, ma è anche alla ricerca di
prodotti “naturali”, (cosa vuol dire ?) tendenzialmente
vegetariani, veloci e più facili da cucinare, lasciando la grande cucina
ai vari MasterChef televisivi, o ai crescenti consumi nei
ristoranti dove il consumatore si deve affidare, quasi a scatola
chiusa, al ristoratore.
La
società occidentale e industrializzata – alla faccia di quelle parti del mondo
in cui si muore ancora di fame e di malnutrizione – spreca, però, quantitativi
pazzeschi di cibo ( secondo uno studio della facoltà di Agraria dell’
Università di Bologna il cibo complessivo che va perduto lungo tutta la filiera
– quello non commercializzabile, quello buttato e quello scaduto – si avvicina,
in Italia, al valore del 3% del PIL) e ha modificato la propria dieta in
funzione delle rinnovate esigenze che permettono impatti positivi
rispetto allo stato della nostra salute. In tale ambito il consumatore è sempre
più condizionato dalle notizie ( vere o false ) rispetto alle quali con
l’utilizzo di alcuni cibi aumenterebbero i benefici. Si pensi che, rispetto al
2015, è aumentato del 192% il consumo di rucola, del 141% dello zenzero,
del 94% per la curcuma e del 92% della quinoa.
Tra
il 2000 e il 2015, considerando i prezzi costanti, il valore delle
categorie di spesa degli Italiani registrano un 11% in meno delle spese per
prodotti alimentari, ma aumentano del 10% le spese per alberghi,
ristoranti, beni e servizi alimentari (abbiamo speso l’83% in
più per la voce “comunicazioni”, principalmente per i soli telefonini e
relativo indotto! ) in controtendenza con i principali Paesi UE : Francia
+14.6%, Spagna +8.1%, UK +1.2% e Germania +0.7% dove, invece, la
spesa alimentare aumenta.
Certamente
la crisi economica ha contribuito al dato: se il 52% dei consumatori si
dichiara disponibile a spendere di più per avere più sicurezza alimentare
e più qualità, il 61% dichiara di profittare regolarmente delle promozioni, il
64% cerca i prodotti più convenienti e, ancora, il 61% dichiara di
confrontare i prezzi dello stesso prodotto ma di diversi brand.
Le
tendenze, poi, variano anche a seconda delle latitudini: mentre nel nord ovest
si privilegia il benessere, il gourmet, e l’easy food, nel nord est sono
preferiti i consumi tipici fuori casa, al centro e al sud i primi piatti
basici soprattutto preparati in casa e sempre legati a prodotti tipici.
Per
concludere, l’osservatore acuto se ne sarà accorto, siamo nell’era del “Senza”:
mentre anni fa ogni elemento aggiunto al cibo era un valore (vitamine,
proteine, calcio, sali minerali, omega 3, ecc.) oggi su ogni confezione
campeggia la scritta “senza”: nell’ordine al primo posto senza dubbio i grassi
e il colesterolo, ma anche senza zucchero, senza sale, senza glutine,
senza olio di palma, conservanti, coloranti, lattosio, persino nichel e
chi più ne ha più ne metta. Pur di scrivere “senza” qualcuno scrive anche “senza
sfruttamento di mano d’opera” come se non sfruttare il lavoro fosse un merito e
non la normalità!
Fin
qui i dati, ma viene da porsi il lecito dubbio da dove il cane inizi a mordersi
la coda.....sono i consumatori – più coscienti anche grazie alle campagne
di trasparenza messe in campo dai produttori - che indirizzano sia i
consumi che l’industria alimentare o si tratta ancora dell’industria che
attraverso la pubblicità indirizza i consumi a proprio favore ?
Ezio Mossoni
Fonte dati : The European House – Ambrosetti – Forum Coldiretti di
Cernobbio ottobre 2017
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