Sessantamila bottiglie, dieci ettari e 103 soci di cui però soltanto quindici attivi. Già da questi primi numeri si può cogliere il delicato equilibrio su cui si poggia la Cave Cooperative de l’Enfer di Arvier che produce uno dei primi vini valdostani ad ottenere la Denominazione di Origine Controllata nel 1972, anche in virtù di una storia plurisecolare con documenti che fanno risalire la produzione di questo vino al 1312. I vigneti, qui regna il Petit Rouge che da disciplinare costituisce l’85% dell’Enfer, sorgono a picco sulla Dora, costantemente soleggiati tanto da meritarsi l’appellativo di «Enfer». La proprietà estremamente polverizzata e l’età avanzata di molti produttori fa sì che questo incredibile anfiteatro naturale possa sopravvivere grazie all’impegno degli uomini della Co-enfer. «Con coraggio l’anno scorso – sottolinea Gianluca Telloli che è anche enologo della Co-Enfer – abbiamo reinserito le corvées con l’intenzione di ribadire la responsabilità di tutti i soci nei confronti dell’azienda intorno al progetto del vino dell’Enfer che appartiene di diritto ai grandi nomi dell’enologia italiana». Un vino intenso dal sapore corposo apprezzato anche al di fuori dei confini regionali, tanto da trovare lungo la strada alleati inattesi. «Un nostro importatore svedese – osserva Telloli – ha adottato un vigneto che sorge su una area di 2500 metri quadri facendosi carico dei costi di gestione. Utilizzerà l’immagine di questo vigneto come icona promozionale di tutto il suo canale distributivo. Le 1200 bottiglie prodotte ovviamente saranno tutte destinate al mercato svedese. E’ l’ennesima riprova che un vino autoctono va vissuto in un paesaggio». «Quest’anno – aggiunge Telloli – abbiamo creato un punto degustazione in una cantinetta nella roccia sotto una volta del ‘600 sopra la quale sorge un vigneto. Gli appassionati rimangono estremamente ben impressionati da questa particolare location». Immediatamente scatta l’idea di trasformare l’Enfer in un volàno turistico per il territorio. «E’ chiaro – precisa ancora l’enologo – che ogni bottiglia del nostro vino è un potenziale biglietto da visita, ma la carta turistica va giocata con attenzione. Questo paesaggio va mostrato soltanto a chi è in grado di apprezzarlo. A chi nella quando è in vacanza vuole entrare in contatto con un terroir, con una civilisation. Alcuni mesi fa, ad esempio, ho portato un gruppo di russi a visitare le gole dove le nostre viti sfidano incredibili precipizi e ho riscontrato una certa indifferenza. Era un’esperienza che non destava in loro particolare interesse». Ora anche la Co-Enfer si è lanciata nell’avventura del superconsorzio uno dei primi frutti si vedrà nel 2009 con la creazione con il marchio «Quatremillemetres» di un rosato autoctono con Petit Rouge che si chiamerà «Caron». Obiettivo primario far crescere la redditività dei soci che devono confrontarsi con un territorio pieno di vincoli, dove il lavoro manuale è inevitabile, ma che può puntare su un atout importante. «Chi compra l’Enfer – conclude l’enologo – è disposto a spendere pur di avere un prodotto di qualità. In effetti non si riscontrano significative differenze a livello di vendita tra il Clos de l’Enfer, cioè il top di gamma, l’Enfer classico, realizzato con uve di zone meno vocate, e un Enfer base, solitamente indirizzato al mercato nazionale». (Pubblicato sul Corriere della Valle d'Aosta del 31 luglio 2008)
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