6 luglio 2008

Il ruolo delle cantine sociali in Valle d'Aosta: in arrivo il super-consorzio

Le cantine sociali studiano nuove strategie per sfruttare al meglio il buon momento del vino valdostano e far crescere la redditività dei propri produttori. Con 11.300 quintali di uve lavorate, 1,24 milioni di bottiglie prodotte, e 4,2 milioni di fatturato le sei «Caves Coopératives» (vedi tabella) della piccola regione autonoma rappresentano il 60-70% del mondo vitivinicolo valdostano e, nel corso del 2007, hanno trasformato in vino il lavoro di quasi 700 soci distribuiti su 162 ettari. Un peso economico rilevante che però, rispetto al passato, richiede di focalizzare maggiormente l’attenzione sulla qualità in vigna e durante la vinificazione nonché su tutto ciò che oggi significa commercializzazione: dallo studio del packaging fino alle campagne di comunicazione al di fuori dei confini regionali. In questa logica c’è particolare attesa per l’annuncio, previsto per la prima quindicina di luglio, dell’ufficializzazione del Consorzio unico «Quatremillemètres» che porterà sotto una regia unica l’attività di tre cantine sociali: la «Cave du vin Blanc de Morgex et de La Salle», la «Cave de l’Enfer d’Arvier» e la «Crotta di Vegneron» di Chambave. Regista dell’operazione Gianluca Telloli, attuale enologo e responsabile commerciale di Morgex e Arvier. «Nascerà un soggetto che con le sue 540mila bottiglie sarà il primo produttore valdostano (primato fino ad ora detenuto dalla «Cave des Onze Communes»di Dino Darensod con le sue 450 mila bottiglie ndr) – sottolinea Telloli –. Un’alleanza fondamentale sia sul mercato regionale che su quello nazionale che ha già alle spalle la positiva esperienza degli spumanti Fripon Dry, Refrain Dry e Ancestrale Dry realizzata proprio grazie all’azione comune delle tre cantine. Ora però arriva la parte più complessa. Tra luglio e agosto dovremo impegnarci per razionalizzare e amalgamare le scelte produttive di ogni realtà».
Mario Dalbard, presidente della Cave di Donnas e della Associazione Route des vins, ritiene necessario creare occasioni di promozione comuni dei vini valdostani. «La commercializzazione sul territorio regionale – osserva – avviene grazie alla Comproval, una cooperativa di secondo grado di cui fanno parte tutte le cooperative, non soltanto quelle viticole. Uno strumento utile cui però si deve dare maggiore autonomia di gestione. La struttura di vendita deve essere più flessibile, soprattutto per quanto riguarda la scontistica, e non doversi attenere rigidamente a quanto fissato dalle singole Cave. Solo così possiamo competere con i privati».
Interrogato sulla recente questione del Brunello «allungato» Dalbard spiega come in Valle i controlli siano sicuramente superiori ad altre regioni. «Da un lato ci sono i tecnici regionali e poi i responsabili delle cantine sociali. I controlli avvengono già in vigna. Inoltre il conferimento non è fatto tramite trattori, ma in cassette e c’è sempre un componente della Cave a vigilare. Se la qualità dell’uva non è considerata sufficiente il viticultore se la riporta a casa».
Ivo Joly, presidente de «La Kiuva» di Arnad, è invece maggiormente interessato a fare sinergia con il territorio. «Al di là delle alleanze con le altre cantine – spiega Joly che è anche assessore comunale all’agricoltura – per noi è più importante legare la nostra immagine alla realtà enogastronomica di Arnad, cioè al suo Lardo Dop. Il salumificio Bertolin da solo porta in paese 20mila turisti soltanto per visitare lo stabilimento». (Pubblicato sul Sole 24 Ore Nord Ovest del 25 giugno 2008)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Dividendo il fatturato per il numero di bottiglie si deduce che ciascuna costa mediamente poco più di tre euro . A quanto salga il prezzo sui banconi dei grandi magazzini , per non parlare di enoteche e ristoranti , è noto a ogni estimatore di Bacco . Verrebbe da dire , visti i ricarichi successivi , che le cantine sociali lavorano per i guadagni altrui . Le cantine in questione operano oculatamente laddove poi altri imperversano ... E' un problema , forse andrebbe analizzato e disciplinato studiando la filiera dall'uva raccolta al bicchiere pieno in mano . Vedendo il prezzo di una certa bottiglia in un certo ristorante non si può tacere e non si può far pagare al cliente la messa in scena dei rituali che accompagnano in determinati ristoranti l'apertura di una bottiglia e folkloristici riti successivi .

ImpresaVda on 7 luglio 2008 alle ore 23:15 ha detto...

Ricordo a Metello che il nome e il cognome sarebero graditi. Comunque, al di là di questa questione puramente metodologica, ci tengo anche a ricordare che uno dei problemi principali dei vini valdostani (per non parlare dei liquori) è che nei ristoranti della nostra regione sono proposti, purtroppo, con scarso entuasiasmo.

 

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