Proprio
per questo la FIPE (Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi), con
l’assistenza del Prof. Avv. Antonio Baldassarre e dell’Avv. Massimiliano
Brugnoletti, si è rivolta alla Commissione Europea denunciando il contrasto
dell’art. 62 del Decreto legge n. 1/2012 con la normativa europea; in
particolare con la Direttiva 29 giugno 2000 n. 35 e la Direttiva 16 febbraio
2011 n. 7, che disciplinano in sede sovranazionale la materia dei termini di
pagamento.
Dette
norme, infatti, nel fissare termini generali di pagamento per le transazioni
commerciali dei prodotti agroalimentari, riconoscono comunque alle parti la
possibilità di derogare negozialmente tali termini: in ambito europeo è dunque
riconosciuto che l’autonomia imprenditoriale possa esercitarsi anche prevedendo
termini di adempimento più lunghi, per favorire la dinamica degli scambi e
mettere in concorrenza fornitori ed appaltatori.
Per
la Fipe Confcommercio la norma italiana, oggetto della denuncia, si pone in
netto contrasto con tutte le norme richiamate: l’articolo 62 del decreto
liberalizzazioni stabilisce termini di pagamento di 30 giorni (per i prodotti
freschi) e di 60 (per le altre derrate), la decorrenza immediata ed automatica
degli interessi di mora a tasso maggiorato, la possibilità di irrogare
addirittura sanzioni, impedendo al contempo qualsivoglia autonomia alle parti.
«Il
provvedimento – spiega Pier Antonio Genestrone, presidente di Confcommercio-Fipe
Valle d’Aosta - costituisce un ulteriore appesantimento burocratico».
«L’introduzione della nuova normativa – aggiunge Paola Gottardi, presidente di
Confesercenti - avrà conseguenze tali da influire sull’attuale gestione
finanziaria delle imprese, già provate dalla crisi economica».
Confcommercio-Fipe
e Confesercenti evidenziano inoltre che «la situazione è, se possibile, ancora
più preoccupante se la norma si applica ai servizi prestati in favore della
Pubblica Amministrazione, a causa dei ritardi che contraddistinguono i
pagamenti nel settore pubblico e che raggiungono in Italia tempi allarmanti
anche di dieci volte superiori rispetto a quelli imposti dalla normativa
nazionale ed europea, contro i quali le imprese sono del tutto inermi. Le
imprese che erogano servizi di ristorazione, infatti, si troveranno comunque
costrette ad eseguire il servizio, pena gravi conseguenze, in alcuni casi
anche di natura penale, ma, al contempo, non disporranno dei capitali necessari
per corrispondere quanto dovuto ai propri fornitori di prodotti agroalimentari
nei tempi imposti – e si rammenta non derogabili – dalla norma in commento».
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