14 marzo 2013

Le contraddizioni del settore agricolo: più Pil più lavoro, più esportazioni ma meno reddito


Ospito un post a firma di Ezio Mossoni, direttore di Coldiretti Valle d'Aosta. 


Tutti gli economisti convengono che il settore primario sia – per definizione – “anticiclico” cioè che riesca a produrre le migliori performance economiche in momenti di crisi generalizzata e che, viceversa, soffra particolarmente quando l’economia “tira”. Vi sono motivi tecnici-economici sui quali non vorrei dilungarmi ma anche motivazioni sociali ed etiche. Nei momenti di restrizione si torna – quasi inconsciamente – a pensare in maniera più pragmatica, più legata “all’indispensabile” – e nulla è più indispensabile del cibo che l’agricoltura produce – e il settore diventa, come vedremo, anche fonte di occupazione, quella terra, sempre troppo bassa per molti, e che diventa leggermente più alta e accessibile in momenti di disoccupazione diffusa. Infatti secondo una analisi della Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi al 2012 si evidenzia un andamento positivo delle assunzioni nel nord, centro e sud Italia. Il trend positivo dell’agricoltura è particolarmente importante perché è il risultato di una crescita del 7,2 per cento al nord, dell’11,2 per cento al centro e dell’1 per cento al sud. Si stima che abbia meno di 40 anni un lavoratore dipendente su quattro assunti in agricoltura, dove si registra anche una forte presenza di lavoratori giovani e immigrati che hanno abbondantemente superato quota centomila. Continua invece il calo tra gli imprenditori agricoli dovuto in parte ai processi di ristrutturazione che stanno portando ad un aumento della dimensioni aziendali medie. Questo processo è particolarmente presente anche nella nostra Regione dove le aziende più piccole stanno chiudendo a favore di imprese più strutturate.

Per quanto riguarda le esportazioni, in occasione della diffusione dei dati Istat sul fatturato sulle ordinazioni dell’industria si rileva la controtendenza rispetto all’andamento sul mercato nazionale anche per il fatturato agroalimentare all’estero che vola e  fa segnare un aumento del 5,4 per cento per un valore record di 31,8 miliardi nel 2012.  Il vino  si classifica  come il prodotto alimentare Made in Italy piu’ esportato con 4,5 miliardi (+7 per cento). A seguire  l’ortofrutta fresca (3,9 miliardi di euro), che resta sostanzialmente stabile così come l’olio (1,2 miliardi). Aumenta, invece, la pasta che rappresenta una voce importante del Made in Italy sulle tavole straniere con 2,1 miliardi (+7 per cento). Analizzando le performance dei prodotti nei singoli Stati si scoprono aspetti sorprendenti soprattutto sul mercato cinese, dove si registra un vero e proprio boom dei prodotti della dieta mediterranea, ma anche con i formaggi , con gli acquisti di Grana Padano e Parmigiano Reggiano che triplicano, mentre quelli di prosciutto sono addirittura quintuplicati. Questi dati confermano che il mercato Cinese è – senza dubbio – fonte di concorrenza, ma anche fonte di grande opportunità se sapremo portare in quel paese le eccellenze del Made in Italy, e non solo quelle alimentari.

A livello di PIL, poi, il valore aggiunto agricolo italiano nel 2012 cresce in Italia del 2,2% a prezzi correnti nonostante il drastico tagli dei raccolti agricoli per effetto dell’andamento climatico anomalo.

Si tratta – ripetiamo – di un vero e proprio record che sottolinea l’impegno del settore primario, la dinamicità con cui viene affrontata e aggredita la crisi, l’innovazione e l’impegno che – però – non vengono assolutamente premiati dal mercato. Infatti l’eterno problema dell’aumento dei costi, per effetto dei forti rincari dei prodotti energetici (+7,9% rispetto al 2011), degli animali di allevamento (+6,6%), dei mangimi (+5%) e dei concimi (+4,1%) portano ad un aumento medio dei costi stimato dall’ISTAT del 2,8% mentre l’aumento medio dei listini alla produzione dei prodotti agricoli  é risultato del 2,1%.

Chiunque può valutare che il settore ( 2,1 – 2,8 = - 0.7%)  ha lavorato in perdita. 

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