Senza dubbio, in
questi ultimi anni, il cibo è diventato uno degli elementi trainanti
dell’intera economia nazionale e non solo. Se riflettiamo bene stiamo
assistendo ad un fenomeno inimmaginabile
anni fa, anni in cui – parlando
di cibo e alimentazione – il pensiero correva alla “quantità”, alle popolazioni
che non avevano di che nutrirsi (non che
non fosse un problema, legato però alla distribuzione e non alla produzione,
perché da tanto tempo l’agricoltura mondiale produce eccedenze) oggi, se
parliamo di cibo il pensiero corre alla “qualità” e cibo vuol dire varie
edizioni mondiali di “Masterchef”, decine di canali televisivi dedicati – 24
ore su 24 – alla cucina, tanto che gli Chef “stellati” sono diventati veri divi
al pari dei calciatori e degli attori,
vuol dire tonnellate di libri di ricette, guide enogastronomiche, senza
contare quanto passa “in rete”, vuol dire che tutti si riempiono la bocca con
“il territorio” e con i prodotti locali,
migliaia di sagre dedicate al cibo, con la grande distribuzione che
riserva interi reparti al prodotto “Made in Italy” (qualche volta da verificare bene !) e non a caso una delle aziende
nazionali che sta riscuotendo i più grandi successi nel mondo è Eataly, con la
sua catena di store dedicati al cibo. Dal punto di vista economico diventa poi
difficilmente valutabile il valore aggiunto del bene immateriale legato al
cibo: la convivialità, il gusto, ma soprattutto la salute e il benessere
alimentare non sono economicamente valutabili ma, senza dubbio, esistono e sono
legati indissolubilmente al cibo.
Se il Made in
Italy, nel mondo, è oramai individuato con le tre “F” ( Food, Fashion & Forniture) che, in Italiano si traduce con le
tre “A” ( Alimentazione, Abbigliamento
& Arredamento) è scontato che – proprio in questi tre settori –
dobbiamo anche sopportare i più evidenti tentativi di imitazione e di
contraffazione.
In questo panorama
la figura del consumatore è diventata centrale e, non a caso, organizzazioni
come la Coldiretti che,
sicuramente, per prima, all’inizio degli
anni 2000, ha capito il processo che stava iniziando, ha rafforzato con le sue politiche di
trasparenza il rapporto tra consumatore
e produttore. E’ stato un processo difficile, che sta superando ancora ostacoli
interni ed esterni (proprio il fenomeno
di Eataly dimostra che l’agricoltura
necessita ancora di un intermediario che sappia anche debitamente
”confezionare” la qualità) ma la rete dei mercati degli agricoltori
presenta, nel nostro Paese, livelli di successo, che solo pochi anni fa sembrava impossibile
da raggiungere. Solo nella nostra regione, nel 2016, Campagna Amica di
Coldiretti è stata presente in quasi 80 giornate di mercati, circa uno ogni
quattro giorni.
Ecco la
trasformazione del settore, lenta ma inesorabile; si inizia a non produrre più ciò che vuole l’industria agroalimentare
– che influenzava le scelte attraverso politiche di prezzo e pubblicità – ma
ciò che vuole il consumatore. Anche l’agricoltura che produce materie
prime non finite deve collocarsi all’interno di una filiera
fortemente orientata al consumatore. Se quest’ultimo vuole il barattolo di
miele o marmellata locale, lo vuole con il fazzolettino sul tappo, o vuole le
verdure locali nel cestino di vimini, o ancora vuole il formaggio di alpeggio, l’imprenditore
agricolo capisce che ha una grande
occasione per fare reddito anche nel produrre un certo tipo di cereali perché
il consumatore è orientato ad un certo tipo di birra ! Se poi l’agricoltore è anche innovativo e sa
proporre novità tali da coinvolgere il consumatore e “creare” la domanda ha
chiuso il cerchio, passando dal saper produrre al “saper vendere”.
Ezio Mossoni, Delegato Confederale Coldiretti
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