7 giugno 2017

Saper “produrre” e saper “vendere”- La trasformazione del settore primario (#Mossoni 03)

Senza dubbio, in questi ultimi anni, il cibo è diventato uno degli elementi trainanti dell’intera economia nazionale e non solo. Se riflettiamo bene stiamo assistendo ad un fenomeno inimmaginabile  anni fa,  anni in cui – parlando di cibo e alimentazione – il pensiero correva alla “quantità”, alle popolazioni che non avevano di che nutrirsi (non che non fosse un problema, legato però alla distribuzione e non alla produzione, perché da tanto tempo l’agricoltura mondiale produce eccedenze) oggi, se parliamo di cibo il pensiero corre alla “qualità” e cibo vuol dire varie edizioni mondiali di “Masterchef”, decine di canali televisivi dedicati – 24 ore su 24 – alla cucina, tanto che gli Chef “stellati” sono diventati veri divi al pari dei calciatori e degli attori,  vuol dire tonnellate di libri di ricette, guide enogastronomiche, senza contare quanto passa “in rete”, vuol dire che tutti si riempiono la bocca con “il territorio” e con i prodotti locali,  migliaia di sagre dedicate al cibo, con la grande distribuzione che riserva interi reparti al prodotto “Made in Italy” (qualche volta da verificare bene !) e non a caso una delle aziende nazionali che sta riscuotendo i più grandi successi nel mondo è Eataly, con la sua catena di store dedicati al cibo. Dal punto di vista economico diventa poi difficilmente valutabile il valore aggiunto del bene immateriale legato al cibo: la convivialità, il gusto, ma soprattutto la salute e il benessere alimentare non sono economicamente valutabili ma, senza dubbio, esistono e sono legati indissolubilmente al cibo.
Se il Made in Italy, nel mondo, è oramai individuato con le tre “F” ( Food, Fashion & Forniture) che, in Italiano si traduce con le tre “A” ( Alimentazione, Abbigliamento & Arredamento) è scontato che – proprio in questi tre settori – dobbiamo anche sopportare i più evidenti tentativi di imitazione e di contraffazione.
In questo panorama la figura del consumatore è diventata centrale e, non a caso, organizzazioni come la Coldiretti  che, sicuramente,  per prima, all’inizio degli anni 2000, ha capito il processo che stava iniziando,  ha rafforzato con le sue politiche di trasparenza il rapporto  tra consumatore e produttore. E’ stato un processo difficile, che sta superando ancora ostacoli interni ed esterni (proprio il fenomeno di  Eataly dimostra che l’agricoltura necessita ancora di un intermediario che sappia anche debitamente ”confezionare” la qualità) ma la rete dei mercati degli agricoltori presenta, nel nostro Paese, livelli di successo,  che solo pochi anni fa sembrava impossibile da raggiungere. Solo nella nostra regione, nel 2016, Campagna Amica di Coldiretti è stata presente in quasi 80 giornate di mercati, circa uno ogni quattro giorni.
Ecco la trasformazione del settore, lenta ma inesorabile; si inizia a non produrre  più ciò che vuole l’industria agroalimentare – che influenzava le scelte attraverso politiche di prezzo e pubblicità – ma ciò che vuole il consumatore. Anche l’agricoltura che produce materie prime  non finite  deve collocarsi all’interno di una filiera fortemente orientata al consumatore. Se quest’ultimo vuole il barattolo di miele o marmellata locale, lo vuole con il fazzolettino sul tappo, o vuole le verdure locali nel cestino di vimini, o ancora vuole il formaggio di alpeggio, l’imprenditore agricolo  capisce che ha una grande occasione per fare reddito anche nel produrre un certo tipo di cereali perché il consumatore è orientato ad un certo tipo di birra !  Se poi l’agricoltore è anche innovativo e sa proporre novità tali da coinvolgere il consumatore e “creare” la domanda ha chiuso il cerchio, passando dal saper produrre al “saper vendere”.
Ezio Mossoni, Delegato Confederale Coldiretti 

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