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Da sinistra Giorgio Girardi, Valerio Faccenda e Giò Pomodoro |
Entrambi
lavoravate in Deltasider. Con che ruoli?
Faccenda: Giorgio Girardi era un
Direttore Deltacogne, responsabile dello stabilimento di Verrès, io ero un
dirigente Deltacogne, responsabile della Ricerca e Sviluppo dell’intero gruppo.
Per le sue caratteristiche, le dimensioni ed il fatto di essere sempre in utile
, lo stabilimento di Verrés godeva di una notevole autonomia gestionale, specie
se confrontato con lo stabilimento di Aosta.
Producevate
tondelli, monete. Industria pesante tanto per capirci ma ad un certo punto vi
aprite ad una esperienza nuova. Quale?
Girardi:
Alla
Verrés esisteva un impianto industriale per il colaggio a cera persa, che aveva
un discreto utilizzo con la produzione di pezzi per l’industria
automobilistica, in particolare precamere di combustione per motori diesel
(IVECO). Per saturare l’impianto si erano esaminate varie strade: particolari
per l’industria nautica, che però si rivelarono di scarso interesse (piccole
quantità), biomedicale (protesi dell’anca), dove si riuscirono a produrre pezzi
di ottima qualità. Ma il biomedicale si rivelò un settore molto chiuso:
praticamente impossibile entrarci, in particolare per un newcomer quale la
Verrés era. A quel punto si è pensato alle fusioni artistiche, in un primo
momento per la produzione di oggetti che promuovessero l’immagine della
Deltacogne (omaggistica, ecc). Si è aperta la collaborazione con uno scultore
valdostano, il prof. Ferdinando Regazzo, che è stato fondamentale per sviluppare
la sensibilità artistica del laboratorio e si è cominciato a produrre piccoli
oggetti. In questa prima fase un buon successo venne riscosso da una fibbia per
cintura, firmata, che vedeva una piacevole interpretazione di Regazzo dell’uomo
Vitruviano. Niente era fatto per caso: l’idea della fibbia era frutto di
un’indagine di mercato che aveva dimostrato che un oggetto che si indossa tutti
i giorni era il più indicato per richiamare l’immagine dell’azienda che lo
produceva. Le fibbie erano prodotte sia in acciaio inox, che in bronzo. Alle
fibbie seguirono altri oggetti di dimensioni sempre maggiori: soprammobili
vari, come cavalli, galletti, colombe, sempre di Regazzo, tutti in acciaio
inox. Molti di questi oggetti furono donati dalla Deltacogne a vari personaggi
dell’amministrazione regionale.
Poi
ci sono stati i primi contatti a livello nazionale…
Faccenda:
Il passo successivo è stato quello di cimentarci con uno scultore molto noto in
ambito nazionale: Paolo Baratella. Con lui si produsse il giuoco degli scacchi:
gli opposti schieramenti, così come la scacchiera, erano in acciaio inox ed in
bronzo. La scacchiera era in riquadri staccati, che venivano ricomposti al
momento della partita. Opera molto bella e di valore, che è stata donata dalla
Regione anche al Presidente della Repubblica in occasione di una sua visita in
Valle. Con Baratella, nel tempo, vennero fatte varie altre opere, tutte di
successo, Tra le quali due omaggi per il Papa Vojtyla in occasione delle sue
visite a Les Combes. L’ultima di queste opere, nel 1989, fu una bellissima
reinterpretazione della grolla d’oro, il prestigioso premio di St. Vincent,
utilizzata negli anni 1989 e 1990. Nella seconda metà degli anni ’80 si
collaborò anche con gli scultori Bruno Cassinari e Umberto Mastroianni, con
buoni risultati. Oramai si era maturi per entrare a pieno titolo
nell’artistico. Ma mancava la conoscenza del mercato. A questo proposito ci si
è rivolti ad un importante gallerista di Torino, Gian Alvise Salamon,
appartenente ad una nota famiglia di mercanti d’arte piemontese. Nasce così
l’idea dei multipli. I multipli sono copie certificate e firmate di importanti
scultori, che possono andare da un minimo di tre a cento ed oltre. Maggiore è
il numero, minore è il valore, come avviene, per esempio, con le stampe. I
multipli non erano cosa nuova nel settore: Pietrasanta, in Toscana, produce
multipli in bronzo. La novità era la produzione artistica di oggetti in acciaio
inox. E Verrés si sarebbe dovuta affermare come produttore di multipli in
acciaio inox.
Come
siete arrivati a questo progetto che in un rapporto del gennaio 1988 chiamavate
“Tecnologia ed Arte in Valle d’Aosta»?
Girardi:
Dovevamo
accelerare l’ingresso della fonderia in un settore piuttosto chiuso come quello
artistico. Ma non sapevamo come fare. Era il 1988, anno della 43esima Biennale
di Venezia. Si pensò ad un’idea molto ambiziosa: partecipare alla Biennale,
facendo sponsorizzare la sezione scultura dalla Regione. Sarebbe stata la prima
volta che una regione sponsorizzava la Biennale. Si era in un periodo
elettorale. Riuscimmo ad ottenere l’attenzione della Regione e si ottenne il
finanziamento dell’operazione. A questo punto bisognava produrre le opere
d’arte e mancavano pochissimi mesi all’inaugurazione della Biennale. Si tenga
presente che alla Biennale possono partecipare solamente gli artisti
selezionati dalla direzione della Biennale stessa. Per cui corsa a contattare i
vari scultori, tentando di convincerli a fare delle opere in acciaio inox,
raccogliere le opere ed iniziare a produrle. Cosa non semplice, soprattutto per
il blocco mentale degli artisti ad utilizzare un materiale per loro
sconosciuto, come l’acciaio inox al posto del tradizionale bronzo. Si riesce
comunque ad ottenere opere da nomi importanti: Arnaldo e Giò Pomodoro, Andrea
Cascella, Massimo Chia, Mimmo Paladino, Mario Ceroli, Ievolella, il
sudamericano Joachim Roca Rey, il giapponese Nagasawa. Tutte queste opere
dovevano essere pronte in tre mesi, per essere esposte nel padiglione della
Regione, un’originale struttura in legno all’ingresso dei giardini della
Biennale. Si tralasciano le difficoltà che si sono dovute superare. Va
ricordato solo che non ritenevamo che si sarebbero incontrati problemi dal
punto di vista della qualità finale, abituati come eravamo alla qualità
richiesta dai particolari meccanici, che venivano prodotti quotidianamente. Non
conoscevamo gli artisti! Ognuno aveva le sue particolari esigenze di
lucidatura, patinatura, ecc. Una volta poi scoperto che l’acciaio inossidabile
si poteva colorare, provocando a caldo la formazione di sottili pellicole di
ossido, le richieste aumentavano in maniera esponenziale, con i tempi che si
andavano assottigliando rapidamente. Comunque, anche se all’ultimo momento,
tutte le opere arrivarono ad essere pronte per l’inaugurazione della Biennale
ed il successo di critica e di pubblico superò ogni più rosea aspettativa, con
piena soddisfazione della Regione e dell’azienda. Tra gli artisti della
Biennale che riuscimmo a contattare, c’era anche l’inglese Joe Tilson, che sul
momento non aveva da darci nulla che potesse essere colato a Verrés. Ci
commissionò in un secondo tempo una sua scultura, la Dafne, che venne prodotta
con sua piena soddisfazione. La Dafne, così come la “Corona Ferrea” del Mimmo
Paladino, fu una delle due opere colate non in acciaio inox, ma in semplice
acciaio al carbonio, perché era richiesto dai due scultori “un aspetto da
scavo”. Anche in questi due casi, realizzare in pochi giorni una pellicola di
ruggine resistente e del colore voluto, non fu cosa da poco.
Faccenda:
E’ in questo periodo che nasce il progetto Tecnologia ed Arte in Valle d’Aosta:
la partecipazione alla Biennale era solo una chiave di ingresso nel settore.
Per creare un vero business era fondamentale un progetto ben articolato e di
ampio respiro. Gli obiettivi erano: sviluppare nuovi business economicamente
profittevoli e duraturi nel tempo; contribuire alle iniziative di job creation
dell’Amministrazione Regionale; contribuire allo sviluppo culturale della
Regione Valle d’Aosta nel settore artistico della scultura in metallo;
sviluppare l’immagine della Regione e della Deltacogne a livello nazionale ed
internazionale. Il progetto era molto variegato. Prevedeva la produzione di
multipli e repliche, una scuola di restauro, un artist’s master per la scultura
oltre alla partecipazione a mostre e fiere. Era stato preparato un piano
industriale e si era studiata la possibilità di collaborare con la fondazione
Gianadà della vicina Martigny. Il successo della Biennale era solo un primo
passo. La macchina era partita bene, ma ora bisognava guidarla e la strada non
era certo in discesa!
Infatti
ad un certo punto tutto sembra bloccarsi?
Girardi:
Dopo la Biennale l’attenzione della Regione calò rapidamente: si stavano
affacciando molti problemi, che richiedevano decisioni rapide e difficili.
Dall’altra parte, la Direzione centrale della Deltacogne dava l’impressione di
vivere malamente l’attività nell’artistico, considerato, a nostro avviso
ingiustamente, quasi un fastidio. Bisogna riconoscere che l’artistico, pur
rappresentando una realtà certamente interessante per Verrés e, di riflesso,
per la Regione, era un piccolo di cui nel business generale della Deltacogne,
per la quale poteva certamente essere una forma di promozione dell’immagine, ma
nulla di più. Da parte nostra si cercò di portare avanti l’iniziativa con ogni
mezzo, pensando anche ad un’operazione di management buyout dell’intero
stabilimento di Verrés. Questo tipo di operazione in quel periodo era piuttosto
incentivata. Si cercarono e si trovarono possibili alleanze con altri attori,
come la Zecca, partner storico per la monetazione, attiva anche nelle fusioni
artistiche.
Un
cammino ben avviato. Ma che cosa non funzionò allora?
Faccenda:
Quando venne presentata questa possibilità alla Direzione centrale, vi fu una
reazione estremamente violenta. Verrés fu letteralmente decapitata. La nuova
direzione dello stabilimento era
costituita da personaggi che non avevano mai partecipato all’iniziativa. I
rapporti con Fernando Ragazzo si raffreddarono. I nuovi inserimenti
nell’artistico, scelti in maniera molto superficiale, non dimostrarono di avere
né la capacità, né l’interesse, né tantomeno la competenza, per portare
positivamente avanti l’iniziativa. E il tutto si raffreddò rapidamente. La
tristezza è che rapidamente ci si è dimenticati di quello che era stato un vero
grande successo sia aziendale che della Regione. Cala il silenzio. E si arriva
al 2002, quando un dipendente dell’ufficio mostre della Regione scopre delle
casse nei magazzini di St Benin contenenti delle sculture in acciaio di cui
nessuno sembrava sapere nulla o quasi. Erano le opere che erano state esposte
alla 43esima Biennale di Venezia! Non so come si è arrivati fino a noi, ma così
si è potuta ricostruire la storia della nostra esperienza. Le opere sono state
destinate al museo della Regione al castello Gamba di Chatillon. Le opere per
la Biennale erano state prodotte in tre copie: una per l’artista, una per lo
stabilimento ed una per la Biennale, di proprietà della Regione.
E
oggi sappiamo dove siamo arrivati. Cosa ne pensate?
Girardi:
Lo
stabilimento di Verrés è andato continuamente declinando. Nel 2014 ricompaiono
le opere colate nel tempo a Verrés, tra cui alcune delle copie delle opere
colate per la Biennale: viene organizzata un’asta per aiutare le maestranze di
Verrés rimaste senza lavoro. Il risultato economico dell’asta, per quanto
interessante, va giudicato alquanto modesto e certamente inferiore al valore
delle sole opere presentate alla Biennale. Rimane un profondo rimpianto, in
particolare nell’animo di chi si era messo in gioco per questa iniziativa. Se
da questa idea del Corriere della Valle di “riesumare” il progetto rinascesse
un qualsiasi interesse per l’argomento, saremmo felicissimi di mettere a
disposizione la nostra esperienza.
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