27 dicembre 2019

Ad #Aosta l'#Omama (social) Hotel

Proponiamo l’intervista ad Alessandro Cavaliere, titolare dell’Albergo Duca d’Aosta. 

Parliamo di turismo, ma non partiamo dal Duca d’Aosta… C’è un nuovo progetto che è stato inaugurato nei giorni scorsi...
È un progetto a cui abbiamo lavorato per quasi due anni. Ed è il più importante della mia vita: la
trasformazione del vecchio Hotel Turin in via Torino. È importante perché si tratta di una trasformazione totale che ha coinvolto le facciate dell’edificio, facendo partire un inizio di  trasformazione in un quartiere importantissimo che in realtà sembrava delimitare l’inizio di una periferia paradossalmente a due passi dal decumano massimo, la nostra via centrale, che invece è ancora pieno centro. Poi si tratta del quartiere del mercato centrale, indubbiamente il più importante di tutta la regione. Con una zona che sicuramente rinascerà non soltanto per merito nostro, anche se
speriamo di aver dato il nostro contributo.

Con il vostro Gruppo Alpissima avete acquistato l’albergo Turin. Come nasce questa operazione?
Il Gruppo Alpissima è comunque una famiglia. Mio padre e mia madre, che hanno iniziato questo
percorso tanti anni fa proprio dalla gavetta, e poi ci siamo aggiunti io e mio fratello non appena terminati gli studi. Non è un gruppo industriale anche se ormai siamo una realtà importante in quanto siamo il primo gruppo alberghiero per numero di strutture, posti letto, presenze… Oltre alle due aostane, ne abbiamo una a Courmayeur e una a La Thuile. Il progetto del recupero nasce come nascono i rapporti belli in territori piccoli come la Valle d’Aosta, cioè attraverso le relazioni vere tra le persone. I vecchi proprietari, la famiglia Sozzi, che ha costruito questo edificio importante, storico, pur avendo due figli straordinari che però hanno scelto altre strade professionali, non volevano, pur
avendone la possibilità – e io questo glielo riconosco come straordinario merito –, trasformarlo in
appartamenti e far finire una storia importante di ospitalità; perciò si sono battuti fino all’ultimo per
dare un futuro alla struttura. C’è stato un avvicinamento per studiare la possibilità di una  prosecuzione, non facile in quanto sono investimenti che comportano tanti debiti per realtà familiari come la nostra. C’è stata comunque una coincidenza di intenti e in qualche modo anche loro sentono
che la loro esperienza prosegue anche se abbiamo rilevato tutto noi.

Perché Omama Hotel? E soprattutto cosa intendete con Social opening?
Omama è un suono affettivo ma anche una esclamazione di stupore. Per ispirarci a dare vita a questo
edificio che si era ingrigito negli anni – tutti del resto lo ricordiamo come set cinematografico
nel film Avengers dove rappresentava la repubblica di Sokovia – ho potuto contare sul supporto dell’artista Chicco Margaroli. Io e lei ci siamo nutriti dei colori e della vita del mercato e chi è che va a fare la spesa al mercato? È la mamma. È questo suono affettivo che anche commercialmente funziona perché in tutte le lingue del mondo la radice è la stessa. Social perché in realtà con questo
albergo, ed è un elemento assolutamente innovativo, noi rompiamo le frontiere che dividono
tradizionalmente gli alberghi dalle forme di accoglienza alternative, notoriamente bed&breakfast
e Airbnb. In passato c’è stata una conflittualità tra questi modelli. È corretto chiedere che tutti giochino con le stesse regole, alla luce del sole, non con un’economia sommersa. Fatte queste premesse in realtà le nuove forme di ospitalità hanno messo sotto i riflettori alcune esigenze della clientela odierna. Molto spesso è il mio stesso cliente che magari paga pure di più in un Airbnb, in un appartamento, a fare questa scelta. Noi ci siamo chiesti perché? Cosa cerca? E abbiamo sviluppato questo progetto su tre elementi fondamentali: libertà, condivisione e tecnologia. Libertà perché se tu
vai in un appartamento non hai bisogno di dipendere da qualcuno se vuoi farti un uovo strapazzato
come piace a te o lavarti le tue magliette senza aspettare il servizio di lavanderia dell’hôtel. Noi tutti
questi servizi li abbiamo portati, pur rispettando tutti i criteri e standard di un servizio di albergo a 4
stelle, all’interno dell’hôtel. Social diventa perciò che la colazione non si fa più in una sala colazione,
ma in lounge bar con i salottini dove ci sono però anche grossi tavoli comuni. Non c’è perciò posto
per tutti se vuoi fare da solo colazione con il tuo tavolino isolato. Social diventa quindi una rottura
con il termine rubato dal web riappropriandoci del suo significato di relazione sociale. E così puoi fare colazione in un hôtel con persone che non conosci anche in un quattro stelle.

Si tratta di un albergo che guarda dichiaratamente ad una clientela giovane… A cosa vi siete ispirati?
Non si inventa nulla. Con tutte le critiche che gli si possono fare in questo un maestro è Oscar Farinetti che è il primo a dire “io non ho inventato niente”. Eataly è stata una reinterpretazione innovativa di qualcosa che all’estero già esisteva. Noi abbiamo guardato a tante cose che stanno succedendo nel mondo. Sicuramente per la Valle d’Aosta questa è una cosa nuovissima, ma anche in campo nazionale. Qualcosa di simile si trova negli Stati Uniti, ad Amsterdam, a Londra, a Berlino e quindi ci siamo ispirati interpretando in una maniera diversa il trend e ponendo l’attenzione sul modo diverso di “ospitare”. L’altro elemento fortemente innovativo è quello del retail, cioè del commercio all’interno dell’hôtel. In un momento di crisi del commercio tradizionale che deve combattere con le vendite online, noi diamo l’opportunità al cliente di sperimentare tutta una serie di prodotti, dai materassi alle poltroncine all’illuminazione, e tutto quello che è all’interno dell’hôtel si può acquistare. Questo è un nuovo modo di interpretare l’hôtel che trasforma spazi notoriamente improduttivi, ad esempio le hall, in showroom dove dei produttori possono esporre. Questo potrebbe
far nascere delle collaborazioni reali con i negozi del centro, invitando i nostri clienti a raggiungere
questi esercizi commerciali.

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