1 febbraio 2008

Spunti di riflessione 10 - Quando Bordon chiese alla Regione di non essere antimpresa

«Se andiamo in giro per il mondo con tanti coriandoli vuol dire che il localismo uccide». Sono parole che il Presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo pronunciò a Saint-Vincent in occasione del convegno, promosso lo scorso ottobre da Confindustria Valle d’Aosta, sul tema «Dal localismo alla rete competitiva». L’intervento di Montezemolo, come era inevitabile, catalizzò l’attenzione dei molti presenti, a scapito dell’intervento del Presidente regionale Giuseppe Bordon che, invece, per i suoi contenuti meritava miglior fortuna essendo un lucidissimo contributo all’evolversi della politica economica della nostra regione. Voglio perciò recuperarne alcuni contenuti in vista proprio dell’appuntamento elettorale. E spero che stimoli qualche altro presidente di associazione ad inviarci le sue idee su cosa dovrebbe fare il futuro governo regionale per rilanciare lo sviluppo economico della Valle d'Aosta.

L’intervento di Bordon
Bordon fotografa la realtà industriale valdostana come caratterizzata dalla scarsa presenza di industrie di «prodotti finiti», da un tessuto produttivo che prevalentemente lavora per conto terzi, con una offerta di subfornitura qualificata più soggetta alla forte concorrenza di paesi che hanno un costo del lavoro più basso, meno regole e meno vincoli di carattere organizzativo, ambientale e produttivo. Un tessuto industriale, composto prevalentemente da piccole e medie imprese, multisettoriale, «non si è costituita – sottolinea - infatti in Valle quella realtà economica tipica di altre zone d’Italia che si riassume nel termine “distretto”».
Il fatto di essere localizzati in una zona di montagna, precisa, non ha comunque impedito ad alcune aziende di raggiungere risultati di eccellenza e di assumere posizioni di leadership, di operare in mercati di nicchia e in subforniture specialistiche». «Alcune importanti realtà industriali negli ultimi anni – prosegue il Presidente - hanno chiuso. E' un fenomeno “naturale”, le imprese restano su di un territorio fino a quando vi è la convenienza in termini di costi per le materie prime, il lavoro, il trasporto, le locazioni, il personale qualificato e specializzato. Ciò che è grave è che non sono state sostituite da altre realtà industriali in grado di assorbire la manodopera in esubero. Negli ultimi anni abbiamo infatti assistito all'apertura, per lo più, di attività monoimprenditoriali, soprattutto nel settore dei servizi, dove il lavoro è svolto in proprio dal titolare senza dipendenti o da piccole imprese con meno di 10 dipendenti. E' mancata, di fatto, una impresa leader che abbia assunto un ruolo guida per le altre aziende del territorio».

Il ruolo imprenditoriale pubblico
Una situazione in cui l’amministrazione regionale ha invece assunto sempre maggiore importanza sia in veste di acquirente di servizi e forniture, di committente di lavori pubblici, sia in veste di imprenditore, in particolare attraverso Finaosta. «Il forte ruolo imprenditoriale pubblico, unito al rilevante numero di dipendenti pubblici, statali, regionali e degli enti locali, - ha precisato Bordon - condiziona pesantemente un riequilibrio sul campo economico degli attori pubblico e privato. Effetti distorsivi sono presenti nel mercato del lavoro in quanto le scelte della popolazione si orientano verso l’impiego pubblico, più remunerato e più garantito di quello privato, a scapito sia della disponibilità di manodopera, sia della voglia di intraprendere».
Per il Presidente di Confindustria Valle d’Aosta la scelta della Regione di «farsi imprenditore», rispetto alla scelta nazionale di avviare le privatizzazioni delle aziende pubbliche, se giustificabile con l’obbiettivo di acquisire una maggiore autonomia finanziaria per rispondere alle peculiarità del nostro ordinamento, o fare fronte a situazioni di crisi, rappresenta però un limite allo sviluppo del settore privato».

Uno stop alle contrapposizioni
Ma il Presidente non si è semplicemente fermato ad un’analisi impietosa dei vincoli al fare imprenditoria in Valle d’Aosta ed ha chiesto a tutti un forte scatto orgoglio, il più possibile comunitario. «Non lavoriamo uno contro l'altro; - ha detto - smettiamola di lamentarci, non serve a nulla e non accusiamo sempre e solo le istituzioni. Smettiamola con la contrapposizione tra coloro che vogliono concentrare le risorse nel turismo e coloro che vogliono una economia diversificata. Iniziamo piuttosto a dire che gli interventi della Regione, per tutti i settori, devono essere destinati solo a quelle realtà che hanno una prospettiva di rimanere in piedi nel medio periodo, non usiamo i soldi pubblici per prolungare di un anno o due l'agonia di imprese che sono comunque destinate a chiudere, perchè non stanno in piedi dal punto di vista economico-finanziario». E ancora «Finanziamo chi vuole creare una nuova attività, le aziende investono, che hanno un progetto innovativo. Alla Regione chiediamo di uscire dalla logica “ragionieristica” nella valutazione di un progetto di investimento che può essere meritevole di finanziamento pubblico, anche se manca la garanzia a totale copertura del debito».

Lasciateci lavorare
Per Bordon alla Regione si deve soltanto chiedere di creare le condizioni per lasciarci lavorare, non mettere vincoli burocratici, semplificare, non avere un atteggiamento antimpresa che spesso riscontriamo, come se il chiedere un contributo pubblico, previsto da una legge regionale, fosse un reato. «Alla Regione – ha detto ancora Bordon - chiediamo di avere un'azione stimolatrice per creare delle relazioni con altri territori limitrofi, per superare i limiti ambientali, siamo sottodotati di infrastrutture, abbiamo una rete ferroviaria che risale agli anni venti, la rete infrastrutturale immateriale non copre tutto il territorio, e non parlo solo di quello di alta montagna, ma il fenomeno riguarda anche alcune aree industriali». Per Bordon appurato che in Valle d’Aosta non è possibile pensare a distretti di filiera di tipo tradizionale per la diversificazione del tessuto produttivo, è però possibile «pensare ad aggregazioni alternative, insiemi di attività industriale e terziaria, di filiera di imprese che fanno rete per la comunanza di interessi e di obiettivi, capaci di avviare processi di apprendimento, di sviluppo di nuove conoscenze, di circolazione delle informazioni e di collaborazione».

Una spinta all’aggregazione
In questo quadro, per Bordon, è importante che le politiche pubbliche di aiuto (incentivi, assistenza, istruzione), siano orientate nello stesso senso e cioè all'aggregazione delle imprese. «Bisogna pensare alla rete, come forma organizzata dello stare insieme, -osserva il Presidente - dove è possibile dare una risposta a problemi che sono fuori dalla portata della singola impresa. E' all'interno della rete che, con maggiore semplicità, possono nascere impulsi innovativi e anche nuove vie all'internazionalizzazione. La fornitura di servizi specifici alle imprese in rete, consente alle imprese di concentrarsi sulla produzione e la commercializzazione dei prodotti. Alle reti possono essere affidati compiti diretti: sportello unico per l'assistenza fiscale e per le pratiche amministrative, attività di terziario, formulazione di strategie comuni per la promozione dei prodotti, certificazione di qualità, gestione della sicurezza, gestione della privacy, forniture collettive, global contractor, servizi reali (reti distributive all'estero, apertura di sedi commerciali), campagne promozionali, partecipazioni a fiere, sgravando le imprese di una serie di incombenze, e superando gli appesantimenti burocratici spesso presenti nei rapporti con le istituzioni pubbliche».
Un cambiamento possibile soltanto se vi è un cambiamento culturale che investe tutti gli attori. «Dobbiamo riaffermare la libertà, - ribadisce Bordon - la libertà di intraprendere, senza condizionamenti, se non il rispetto delle leggi e delle persone. Dobbiamo riaffermare l’uguaglianza per dare spazio al merito e alla professionalità. Dobbiamo riaffermare la fraternità per superare le sterili divisioni, e lavorare e contribuire per il comune sviluppo».
Un’analisi serrata che si è chiusa con un invito molto diretto a tutti i protagonisti. «La nostra Regione, per il suo ordinamento autonomo, può essere un terreno di sperimentazione di formule nuove con le quali approcciare problemi che paiono insolubili. Perché non avere il coraggio di provare?».

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