Primo maggio 1958. Paolino Savio sotto la guida del capo torrefazione dell'allora grande Co In Ca di Torino completa la prima tostata di caffè Savio. Un giorno festivo, dovuto alla disponibilità dell’illustre insegnante, che dà il via ad una storia aziendale che proprio oggi compie mezze secolo. Indubbiamente uno dei modi migliori per celebrare la festa del lavoro. Del resto lo stesso Marco Savio, figlio del fondatore, ricorda come in tutti questi anni l’azienda con i suoi venti dipendenti non abbia mai fatto ricorso alla cassaintegrazione e, soprattutto, come non si siano mai verificati infortuni sul lavoro.
La produzione di caffè e la commercializzazione dello zucchero lasciano però spazio al vero business aziendale: i liquori. Nel 1965 la Savio, che ha la sua sede a Châtillon, prende in affitto dalla Parrocchia di Valtournenche la parte alta dell'alpeggio di Cime Bianche per poter raccogliere il génépy la cui vendita inizia l'anno successivo. Anche se il business cresce non è però facile la permanenza valdostana. L’azienda ha fame di spazi. «Nel 1990 – ricorda Marco Savio - acquistiamo dei terreni edificabili a Saint-Vincent. A progetti fatti ed approvati la sovrintendenza ai beni culturali blocca i lavori in quanto la zona viene individuata come probabile passaggio della strada delle Gallie. Non potendo più costruire, decidiamo di trasferirci a Parma: posto ideale per la distribuzione dei prodotti. Siamo ad un passo dall’andarcene. Fortunatamente la Regione nel 1995 ci offre a prezzo di mercato il terreno su cui sorge l'attuale sede nell'area ex Montefibre». Del resto sarebbe stato assurdo dire addio ad una realtà imprenditoriale che annualmente fa registrare un fatturato da 20 milioni di euro e che, grazie al riparto fiscale, assicura alla Regione un’entrata considerevole. «Fatturato – precisa il giovane Savio – che contiamo di far crescere del 30%. Puntiamo a quota 30 milioni”. L’azienda in questi ultimi anni è riuscita ad assumere una dimensione importante sul mercato nazionale, ma ha anche fatto registrare alcuni importanti risultati sui mercati esteri. Nel 1998 acquisisce il contratto di distribuzione delle vodke russe Moskovskaya e Stolichnaya (dal 2005 passate alla «Fratelli Rinaldi Importatori» di Bologna).
Nel 1999 registra il marchio Malecon, nel 2003 Malteco, due rhum che si stanno facendo strada nel mondo. Sono questi ultimi due prodotti si basano le maggiori proiezioni di crescita.
Oggi il gruppo è composto da quattro aziende: due in Italia (Châtillon e Milano) e due all’estero, una in Lettonia per gestire la commercializzazione nel est europeo e una in Spagna, alle Isole Canarie, di tipo immobiliare.
«In Italia, tra i nostri clienti, possiamo contare i principali gruppi della distribuzione moderna. Proprio questi contatti hanno permesso al nostro génépy di essere presente su tutto il mercato nazionale. Inoltre Abbiamo partners commerciali in tutta Europa, negli Stati Uniti e in America Latina».
I festeggiamenti per il cinquantennale si presentano all’insegna anche di una eccezionale promozione commerciale che durerà fino al 4 maggio. «Presso i nostri tradizionali punti vendita con lo slogan “50 anni, 50 percento di sconto, ovvero promozione compri 2, paghi 1” vogliamo sia fare un "regalo" con uno sconto esagerato ai nostri clienti fedeli, sia offrire, a chi ancora non ci conosce, una occasione irripetibile per provare i nostri prodotti». L’intenzione è però anche quella di proporre una festa-evento, in collaborazione con l’Amministrazione comunale di Châtillon, presso il castello del Baron Gamba. Ma i festeggiamenti non fanno perdere di vista il core-business e nel corso del 2008 la Savio ha annunciato il lancio di due nuovi prodotti, attualmente in fase di sviluppo: da un lato la «Grappa cuor di vitigno» che va a completare la gamma di distillati dell’azienda e dall’altro il «Fior d’acqua alpina». «E’ il prodotto cui teniamo maggiormente. E’ un nuovo génépy – conclude Marco Savio - nella cui realizzazione abbiamo concentrato i risultati di 50 anni di ricerca e impegno, unendoli a tradizione e tecnologia. Abbiamo, infatti, scoperto che, se si riesce a mettere in infusione solo i fiori del genepì entro i primi minuti dopo la raccolta, riusciamo a conservare molti più profumi e sapori. Un’operazione non facile se fatta oltre 2000 metri quota». (Pubblicato sul Corriere della Valle del 1° maggio 2008).
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