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«Benedetto XVI è convinto che i tempi sono propizi per un ritorno a Dio, e il suo viaggio in Francia è stata una nuova occasione per ripetere questa sua convinzione. Ai cattolici, in primo luogo, ma anche agli altri cristiani, ai credenti di religioni diverse, a quanti non si riconoscono in alcuna di esse». E’ il commento di Gian Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano, al viaggio del Papa in Francia. Una fiducia che il Papa ha manifestato più volte sin dal suo arrivo a Parigi, e poi nei giorni che ha trascorso a Lourdes. «Qui – prosegue ancora Vian - ha detto di essere venuto come un pellegrino tra i tanti, tantissimi che vi si affollano in questo anno che celebra il secolo e mezzo di uno dei fenomeni più toccanti della modernità di Maria. A mostrare l’urgenza di Dio che dal cuore dell’Ottocento ha poi attraversato tutti i drammi e le tragedie della contemporaneità novecentesca». Il Papa ha toccato con mano in Francia questa emergenza di Dio che in una società secolarizzata sembra, paradossalmente, diventare pressante, ma allo stesso tempo esigente nella sua domanda di senso. E Benedetto XVI si è rivolto al mondo della cultura francese partendo da un linguaggio comune, quello della cultura appunto, indicando il grande Sconosciuto e sottolineando come la ragione sia uno dei nomi di Dio. Ragionamenti che si sono fatti manifesti nel discorso al Collège des Bernardins (pubblicato integralmente dal quotidiano Le Monde, insieme a quello tenuto all’Eliseo) dove ha spiegato come una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e, quindi, un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. «Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, - ha detto il Papa - la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarlo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura».
Due i riferimenti che hanno attraversato tutto il discorso: la «cultura monastica» e gli scritti di san Paolo, entrambi orientati al «quaerere Deum», al mettersi alla ricerca di Dio: il vero atteggiamento filosofico, che consiste nel «guardare oltre le cose penultime e mettersi in ricerca di quelle ultime, vere». Per il Papa «Quaerere Deum – cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui: questo è oggi non meno necessario che in tempi passati».
Di qui la perenne attualità dell’annuncio cristiano, il cui «schema fondamentale» si trova nel discorso di san Paolo all’Areopago, e l’analogia, «pur nella differenza», tra la nostra situazione
di oggi e quella che incontrò san Paolo ad Atene, «Le nostre città – ha concluso il Papa – non sono più piene di are e immagini di molteplici divinità. Per molti, Dio è diventato veramente il grande sconosciuto. Ma come allora dietro le numerose immagini degli dèi era nascosta e presente la domanda circa il Dio ignoto, così anche l’attuale assenza di Dio è tacitamente assillata dalla domanda che riguarda Lui». Oggi come allora bisogna però trovare le parole nuove in grado di ridire l’essenziale della fede. Di qui anche la sfida ad inventare un cammino di iniziazione cristiana, come è indicato nella lettera pastorale del Vescovo, che ci permetta di passare da una pastorale di conservazione ad una pastorale di missione permanente. (Pubblicato sul Corriere della Valle d'Aosta del 18 settembre 2008)
Il crinale fra protesta e democrazia
9 mesi fa
1 commenti:
Mah , direi che quanto qui scritto non mi tocca direttamente . I genitori mi hanno instradato nella loro fede e dai 7 anni ho frequentato assiduissimamente un oratorio salesiano ove il catechismo e il calcio si alternavano , col risultato che mi sono trovato dentro , direi senza accorgermi , una fede non frutto del " cercare " . Francamente non so come si possa convertire o creare dal nulla la fede : per questo cerco di spiegarmi il missionariato , ma non arrivo a conclusioni . Conferma soggettiva che la fede è fede e non so come ci si possa giungere con argomentazioni interiori personali partendo da tabule rase .
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