12 ottobre 2008

Un filo rosso

L'appuntamento domenicale ormai è fisso con i fondi che pubblico sul Corriere della Valle, il settimanale della diocesi che trovate in edicola ogni venerdì, e spesso si tratta di commenti non attinenti alla materia economica, ma in massima parte di materia religiosa. Piccole pillole di spiritualità che spero che ci ricordino il senso primo di questo giorno festivo e ci invitino ad interrogarci sulla fede sia che sia o non sia una dimensione del nostro quotidiano.

C’è un filo rosso che lega questi ultimi due numeri del Corriere: ed è l’attenzione alla famiglia. La scorsa settimana con lo speciale dedicato a Retrouvaille e questa in cui raccontiamo l’incontro del Vescovo con gli sposi dell’anno in vescovado e il convegno sull’«Humanae Vitae» di Paolo VI, che ha visto fra i relatori anche Mons. Giuseppe Anfossi. Ma è la famiglia al centro della nostra attenzione anche dove si parla di vocazioni e, in questo senso, è particolarmente apprezzabile la lettera di don Giuseppe Lévêque di risposta a Massimo Ratto. Uno scambio epistolare che mi ha suggerito come prima di tutto sia la parola vocazione (intesa non soltanto nel significato sacerdotale) ad essere in crisi. Leggevo, credo sul Sole 24 Ore, di come sia difficile indicare ai giovani un insieme di valori per i quali impegnarsi. Con i figli c’è il pericolo di infilarsi in una logica contrattualistica. «Se studi, ti faccio un regalo». Mi verrebbe quasi da dire, se non temessi di assumere atteggiamenti troppo pretenziosi, che oggi manca il senso del sacrificio, inteso nel senso più letterale del termine, cioè «sacrum facere», rendere sacro. Mettere a disposizione il proprio tempo per uno scopo, per una missione, per un ideale. Perfino le cosiddette tribù urbane oggi nascono intorno ad una moda, ad un modo di vestirsi e niente più. Forse è sbagliato pensare che sia soltanto il mondo ecclesiale in difficoltà.
Tutta la società è in un momento di transizione e deve ridefinirsi fino alla radice. Chi ha fede, però, sa qual è la propria identità, forse deve soltanto rileggerla nel nuovo contesto, individuando nuove forme per comunicarla. Anche se al di là delle forme, al di là delle strategie che possiamo inventare, rimane - e questo ci deve dare più fiducia - la ricchezza della Parola che siamo chiamati a diffondere, aiutati dalla sua stessa forza intrinseca che va al di là dei nostri poveri talenti. E poi c’è il respiro ampio del Concilio Vaticano II che il Vescovo ci ha invitato ad
approfondire, magari insieme, offrendo nuove occasioni di incontro, senza preoccuparsi dei piccoli numeri. Occorre, fare memoria delle prime comunità cristiane dove si pregava insieme, si ascoltava la Parola insieme e si riceveva l’eucarestia insieme.
Dobbiamo, infine, renderci conto dell’immensa fortuna del dono della messa domenicale che ci riunisce per un incontro e può aiutarci davvero a farci incontrare perché il futuro ha sempre «un cuore antico». (Pubblicato sul Corriere della Valle d'Aosta del 9 ottobre)

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