Un camion con targa tedesca esce dallo stabilimento della Abc Company di Verrayes. Al volante c’è Karl, trent’anni, e dalla velocità con cui inforca il cancello e si immette sulla strada semiasfaltata che porta alla statale non è la prima volta che fa tappa qualche chilometro dopo il Tunnel del Monte Bianco. Neppure un anno fa il suo prezioso carico di bastoncini da sci sarebbe andato ad attenderlo ad Amburgo. Una nave cargo lo avrebbe scaricato al porto. Provenienza? Cina.
«Quel camion è la prova migliore che i cinesi si possono battere ». Oliviero Gobbi, 31 anni, amministratore delegato della Abc Company, (settecentomila bastoncini da sci prodotti con un fatturato di circa 5 milioni). - alle spalle non soltanto il background della Grivel, l’azienda di famiglia leader mondiale nel settore delle attrezzature da alpinismo, ma soprattutto un’esperienza consolidata sulla piazza milanese in quanto consulente strategico di un’importante multinazionale italiana – sa di avere vinto una scommessa.
Quando il gruppo Grivel ha deciso di acquistare lo stabilimento ex-Rossignol il primo interrogativo è stato proprio questo: «ma come si fa a battere la Cina?». «Noi eravamo sicuri che prima o poi i grandi produttori sarebbero ritornati sui loro passi – dice Gobbi - e così ci siamo messi nelle migliori condizioni per rispondere alle loro richieste». E così un giorno alle porte dello stabilimento si è presentato Richard. Anche lui tedesco, primo contatto con un produttore scottato dalle sirene del dragone. Un nome che, per motivi di riservatezza contrattuale l’azienda valdostana non può rendere pubblico. «Dal mese di febbraio – spiega – quasi ogni settimana produciamo per questa azienda tedesca, leader mondiale nei bastoni da fondo e da nordic walking. E’ un cliente che oggi vale circa 100mila paia di bastoncini che fino all’anno scorso erano prodotti in Cina».
Come è possibile? Politiche di prezzo particolarmente aggressive? Poco credibile. Mirabolanti brevetti sul fronte del prodotto? Quasi impossibile. E allora? All’origine di tutto c’è un passo falso che deve essere narrato. «Il nostro cliente – illustra Gobbi - che prima produceva in Finlandia nel 2005 assume un manager ex-Nike che decide che la produzione deve essere spostata completamente in Cina. Il risultato è che si riducono i costi diretti del prodotto, ma drasticamente si allungano i tempi di consegna, diminuisce la flessibilità e la qualità cala. La reputazione aziendale ne risente e i volumi di produzione hanno un crollo consistente. A distanza di alcuni mesi si manifestano alcuni costi originariamente non valutati correttamente, a partire dalla logistica». Inevitabilmente alla guida della società è chiamato un nuovo management per il quale diventa immediatamente prioritario ricostruire la posizione perduta, e questo poteva avvenire solo riportando la produzione in Europa. Decisi a tornare i nuovi vertici aziendali contattano diversi fornitori. «Sono loro a trovare noi – racconta Gobbi - i primi contatti risalgono alla primavera del 2008. Vengono a trovarci, esaminano a fondo il nostro modo di lavorare e scopriamo di essere apprezzati. In particolare rimangono colpiti dalla nostra storia societaria, cioè dal fatto che con varie denominazioni, alla fin fine qui a Verrayes, si producono bastoncini da 27 anni. Ma hanno anche apprezzato la nostra grande capacità produttiva e le varie tecnologie che mettiamo in campo. Ad esempio siamo l’unico impianto a livello mondiale a poter produrre internamente con le tecniche della serigrafia, dell’anodizzazione e della sublimazione. Sei mesi di negoziato e poi l’accordo e l’inizio della produzione a febbraio».
Una partenza tutt’altro che facile. «Gli uomini della società tedesca hanno dovuto rimpatriare tutto lo stock di materie prime e accessori che avevano in Cina. – aggiunge Gobbi - E tutto il materiale è arrivato da noi in tempi e modi diversi nei mesi scorsi. Prendere visione di tutto e valutare cosa poteva essere ancora utilizzato e cosa no ci ha costretto per un lungo periodo a lavorare in emergenza». Per Gobbi è la dimostrazione più evidente che la Cina non è poi così vicina come si ama scrivere e soprattutto la sua competitività varia da settore a settore. «In questo caso è chiaro – commenta – che solo un’azienda europea può seguirli assicurandogli flessibilità massima, tempi di reazione rapidi, contatto diretto quasi giornaliero. Praticamente ogni giorno ci sono delle novità di cui tenere conto: dalle priorità di produzione, alla spedizione diretta ai clienti, alla disponibilità del materiale. Solo così riusciamo a essere reattivi e agire in tempo reale. Con la Cina sarebbe impossibile. E quando ci sono problemi da risolvere, prendono la macchina dalla Germania e in mezza giornata sono qui da noi».
Per Gobbi, almeno per quanto riguarda il settore montagna la battaglia si gioca principalmente su due fronti: affidabilità totale e efficienza massima. Per Gobbi il rispetto delle scadenze, la rapidità di esecuzione e gli standard di qualità sono debolezze della Cina su cui l’Europa può costruire il proprio successo. «Abbiamo la cultura per farlo, - osserva - e abbiamo sviluppato processi e sistemi che ci possono consentire di farlo. I clienti ci devono percepire come partner affidabili e sicuri». Anche sull’efficienza l’imprenditore valdostano ha molto da dire. «Da noi i costi sono saliti anni fa, e abbiamo imparato ad arrangiarci, a muoverci in mercati altamente competitivi e a trovare soluzioni. I cinesi non hanno gli stessi stimoli. Competono quasi esclusivamente sul costo basso della manodopera. Io stesso nei miei cinque viaggi in Cina ho constatato come per loro sia meglio destinare dieci persone ad una particolare lavorazione, invece che due con un nuovo macchinario o un nuovo processo».
Il crinale fra protesta e democrazia
9 mesi fa
1 commenti:
Grazie del messaggio.
La Cina si DEVE battere
Francois
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