Ti propongo il testo dell'editoriale che ho pubblicato questa settimana sul Corriere della Valle.
Uno degli aspetti che più mi colpisce dell’attuale congiuntura politica è che - per quanto ci possa essere
confusione sul come e mi riferisco al tipo di maggioranza – la società civile nel suo complesso (forze sociali,
mondo cattolico, associazioni di categoria) indichino tutti – se si ha davvero a cuore il futuro dell’Italia una
precisa road map.
Una nuova legge elettorale (personalmente ritengo il doppio turno alla francese uno dei modelli più validi), la riduzione del numero dei parlamentari e dei loro emolumenti, lo snellimento di tempi e procedure legislative sono passaggi obbligati prima di tornare al voto. Ma non solo.
L’Azione Cattolica diocesana in sintonia con quella nazionale, prima delle elezioni politiche ha diffuso un documento dove, fra l’altro, è posta come urgente
una regolamentazione dei partiti politici, «
a partire da una seria disciplina, che garantisca la trasparenza dei finanziamenti e dei rimborsi elettorali, fino ad una definizione di meccanismi di selezione interna su base democratica e alla limitazione dei mandati parlamentari, per garantire la pienezza del diritto di scelta dei cittadini».
E faccio notare che si tratta di un elenco che tiene conto delle particolari condizioni di governabilità del nostro Parlamento in quanto per tutta un’altra serie di provvedimenti occorrerebbe un governo in grado di pianificare un’azione almeno quinquennale con una svolta davvero riformista per dare un futuro alla nostra nazione.
Insomma da tempo ciò che si deve fare, almeno in parte, appare chiaro.
Eppure il passo rimane lento, poco cadenzato, invischiato negli interessi di parte. Di certo non da montanaro. «
Oltre ogni sterile proclama, - si leggeva sempre in quel testo -
serve uno scatto di corresponsabilità tra cittadini e rappresentanti: uno slancio civile e morale che sappia tenere unito il Paese, e che veda impegnati insieme, in questa delicatissima fase storica, giovani e adulti, partiti e società civile, per restituire finalmente all’Italia normalità, pace sociale, sviluppo e benessere, quindi più vita per tutti».
E' davvero tempo di ritrovarsi intorno ad un comune sentire, ad una voglia di riscatto, appunto, che solitamente si è sempre rivelata come il silenzioso incubatore dei momenti migliori di questa nazione. Anche la nostra tradizione di autonomia, la nostra specialità - celebrata Domenica scorsa, in un clima di preoccupazione crescente - la nostra cultura federalista acquisiscono credibilità e forza soltanto se letti come tessere di un mosaico tricolore, contributi alla ricchezza - valoriale più che economica - di uno Stato.
Domenico delle Foglie, già vicedirettore di Avvenire, oggi alla guida del Sir, sostiene che sia l'ora dell'«orgoglio repubblicano», una formula che mi piace molto. E - nel tentativo di far comprendere la gravità del momento - aggiunge
«Se qualcuno non l’ha ancora capito, la casa brucia. E se tutti i pompieri non collaborano, non possono bastare neppure la saggezza e la lungimiranza del presidente della Repubblica».
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