Propongo l'editoriale che ho scritto questa settimana per il Corriere della Valle? Semplici spunti di riflessione...
Da tempo mi interrogo in merito alla recente crisi politica che ormai
si trascina nella nostra regione creando confusione, incertezze,
lacerazioni nel tessuto anche sociale valdostano. In questa scenario
convulso diventa difficile dire qualcosa che non rischi di
aggiungersi alla confusione o, peggio, apparire di parte. Sono perciò
andato alla ricerca di una sorgente che potesse aiutarmi e l’ho
trovata nella Dottrina sociale della Chiesa. Ma la mia non è stata
una ricerca casuale. La mia riflessione mi ha portato a pensare che
in questo momento si sia persa o, perlomeno, si fatichi a trovare
l’idea di bene comune per chi vive in questa regione. E con
quest’idea ho affrontato il testo.
Ho individuato
così quattro passaggi che propongo con semplicità. Disposto anche
ad ospitare le riflessioni di chi vorrà entrare in relazione con
questo pensiero.
Prima di tutto
diciamo cosa non è. «Il bene comune non consiste nella semplice
somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale.
Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché
indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo,
accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro. Come l'agire
morale del singolo si realizza nel compiere il bene, così l'agire
sociale giunge a pienezza realizzando il bene comune. Il bene comune,
infatti, può essere inteso come la dimensione sociale e comunitaria
del bene morale».
Poi facciamo un
pro-memoria a noi stessi e a chi ci legge anche senza avere ruoli
politici: «Il bene comune impegna tutti i membri della società:
nessuno è esentato dal collaborare, a seconda delle proprie
capacità, al suo raggiungimento e al suo sviluppo. Il bene comune
esige di essere servito pienamente, non secondo visioni riduttive
subordinate ai vantaggi di parte che se ne possono ricavare, ma in
base a una logica che tende alla più larga assunzione di
responsabilità. Il bene comune è conseguente alle più elevate
inclinazioni dell'uomo, ma è un bene arduo da raggiungere, perché
richiede la capacità e la ricerca costante del bene altrui come se
fosse proprio».
Infine un
passaggio sui compiti della comunità politica: «Per assicurare il
bene comune, il governo di ogni Paese ha il compito specifico di
armonizzare con giustizia i diversi interessi settoriali. La corretta
conciliazione dei beni particolari di gruppi e di individui è una
delle funzioni più delicate del potere pubblico. Non va dimenticato,
inoltre, che nello Stato democratico, in cui le decisioni sono
solitamente assunte a maggioranza dai rappresentanti della volontà
popolare, coloro ai quali compete la responsabilità di governo sono
tenuti ad interpretare il bene comune del loro Paese non soltanto
secondo gli orientamenti della maggioranza, ma nella prospettiva del
bene effettivo di tutti i membri della comunità civile, compresi
quelli in posizione di minoranza».
Tutto questo
anche per dire che, in questa particolare circostanza storica,
occorrerebbe uno spirito costituente, che non elimini le differenti
progettualità politiche, ma che le metta al servizio di un ideale
più alto. Gli stessi anniversari dello Statuto e dell’Autonomia
dovrebbero aiutarci in questo, in modo da non apparire vuoti
simulacri.
Per noi cristiani
– e cito ancora la Dottrina sociale della Chiesa - «Il bene comune
della società non è un fine a sé stante; esso ha valore solo in
riferimento al raggiungimento dei fini ultimi della persona e al bene
comune universale dell'intera creazione. Dio è il fine ultimo delle
sue creature e per nessun motivo si può privare il bene comune della
sua dimensione trascendente, che eccede ma anche dà compimento a
quella storica. Questa prospettiva raggiunge la sua pienezza in forza
della fede nella Pasqua di Gesù, che offre piena luce circa la
realizzazione del vero bene comune dell'umanità. La nostra storia —
lo sforzo personale e collettivo di elevare la condizione umana —
comincia e culmina in Gesù: grazie a Lui, per mezzo di Lui e in
vista di Lui, ogni realtà, compresa la società umana, può essere
condotta al suo Bene sommo, al suo compimento. Una visione puramente
storica e materialistica finirebbe per trasformare il bene comune in
semplice benessere socio-economico, privo di ogni finalizzazione
trascendente ovvero della sua più profonda ragion d'essere».
Fabrizio Favre
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