I libri liturgici offrono la possibilità di scegliere le letture e le preghiere per celebrare la Commemorazione di tutti i fedeli defunti in tre formulari che sono – ciascuno a suo modo – una sorta di finestra aperta sul mistero della morte… sul mistero del dolore per la perdita delle persone che abbiamo amato e da cui siamo stati amati.
Se è vero come sosteneva lo psicanalista C. G. Jung, che «le religioni sono dei complessi sistemi di preparazione alla morte», possiamo accogliere come un gesto di delicata sapienza il fatto che la Chiesa all’indomani della solennità di Tutti i Santi, tenga conto e metta in conto non solo la luce che proviene dalla speranza della vita eterna per noi e per i nostri cari, ma pure il carico di inquietudine che la morte, con la prova della separazione e l’esperienza dell’assenza, comporta anche al credente.
Nel secondo formulario, la Colletta della Messa ci fa pregare in questi termini: «sii misericordioso con i nostri fratelli defunti; quando erano in mezzo a noi essi hanno professato la fede nella risurrezione: tu dona loro la beatitudine senza fine». La preghiera crea uno splendido triangolo d’amore fatto di mesta e dolce nostalgia: i fratelli defunti, noi e il Signore della vita. Questo triangolo è ciò a cui allude una delle parabole finali del vangelo secondo Matteo e che, comunemente, chiamiamo «del giudizio universale». Forse sarebbe meglio indicare questa parabola come dell’universale giudizio: «perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi » (Mt 25, 35-36). Ciò che sta a cuore al Signore è proprio rivelare
nel pieno della sua signoria sulla storia - ormai seduto «sul trono della sua gloria» (25, 31) - il criterio che guida a autentica ogni frammento di umana avventura: «tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (25, 40). Visitando i cimiteri e facendo
memoria dei nostri defunti e del loro essere passati tra di noi, sarebbe impossibile non trovare almeno uno di questi gesti d’amore nella loro vita.
Se leggiamo fino in fondo la parabola dell’universale giudizio e impariamo a leggere la storia dei nostri fratelli e sorelle che ci hanno preceduto verso il regno, attraverso lo sguardo del Signore Gesù, non potremo che aprirci alla gratitudine e alla meraviglia per ogni minimo gesto d’amore che rimane in eterno e su cui la morte non ha nessun potere. Tutti conosciamo in prima persona la fatica d’amare e di fare il primo passo verso l’altro, specialmente quando si presenta a noi nella forma del «più piccolo» che nulla può pretendere e nulla può imporre.
Guardando con attenzione nel nostro cuore, ci rendiamo conto che «se siamo figli… se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria» (Rm 8, 17) non possiamo che attendere e sperare, condividendo «l’ardente aspettativa della creazione protesa verso la rivelazione dei figli di Dio» (8, 19) e tali siamo tutti… sempre… in ogni modo. Certo, nella sua parabola il Signore Gesù mette anche davanti ai nostri occhi la possibilità di non essere all’altezza della nostra natura di «figli». Ma se questo viene lasciato sullo sfondo delle possibilità per salvaguardare l’ambito della libertà, rimane comunque più radicale la divina deliberazione di cui
si fa interprete il profeta: «strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli… eliminerà la morte per sempre. Il Signore asciugherà le lacrime su ogni volto» (Is 25, 7-8).
La liturgia di questo giorno di commemorazione,in cui con serena mestizia visitiamo i cimiteri e le tombe dei nostri defunti, ci aiuta a cogliere la continuità tra la vita e la Vita attraverso la morte che permette di desiderare prima ancora di vedere «un nuovo cielo e una nuova terra» (Ap 21, 1). Ma questa novità di orizzonti per l’Apocalisse sembra possibile proprio e solo «perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più» (Ap 21, 1). La continuità esige una rottura, la novità e il compimento esigono una capacità di dare pienezza e di saper assaporare la fine di un certo modo di vivere e di relazionarsi con se stessi e con gli altri.
Proprio per questa solenne continuità tra la festa di ieri e la commemorazione di oggi, i cimiteri diventano luoghi di speranza e la speranza è una virtù che non nasce sul terreno della superficialità ma della meditazione e della consapevolezza, del consenso al mistero e alla complessità della vita. Ponendo sulle tombe dei fiori vogliamo dire che il profumo della vita attraversa il tempo e i crisantemi ne sono un simbolo particolare.
Questo «fiore d’oro» che, in Giappone, è l’emblema dell’imperatore rende ogni fratello e sorella
onorabile e venerabile non solo per il bene che ha fatto, ma per il dono che è stato.
Fr MichaelDavide, osb – Koinonia de la Visitation
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