«Globalizzazione e autonomia oggi e domani ». E’ stato questo il titolo scelto dal settore adulti
di Azione Cattolica per la relazione dell’economista Mario Deaglio, noto editorialista
de La Stampa nonché docente di economia internazionale, tenuta presso la Villa del Seminario
di Valtournenche in occasione della due giorni organizzata dall’associazione (slideshow della giornata). Un intervento strutturato in quattro parti: prima di tutto una descrizione della geografia economica di quella che Deaglio definisce una «fase postglobale in quanto dopo il 2001 la globalizzazione ha cominciato a perdere colpi e siamo in un periodo molto incerto». Poi ha analizzato i caratteri della crisi finanziaria, le possibili evoluzioni nel futuro prossimo e, infine, il caso italiano. Tra il 1985 e il 2005 si è verificato uno spostamento del baricentro economico mondiale. Usa e Ue hanno perso quote del prodotto lordo mondiale, ma soprattutto la Cina ha fatto registrare un balzo in avanti che nella storia non si era mai verificato in un periodo così breve passando dal 4,8% al 14. Buone performance anche per India e Tigri asiatiche. Ma il dato indubbiamente più significativo è che se si analizza da dove è venuta la crescita nel 2005 ogni 100 dollari 48,5 provenivano da Cina, India e Tigri asiatiche. «Se aggiungiamo il Giappone – ha spiegato Deaglio – si arriva a 55. L’area atlantica, cioè Usa e Ue arriva a 25,1. L’Europa contribuisce poco alla crescita mondiale soprattutto perché la nostra popolazione non cresce. Questo significa che dobbiamo renderci conto che non siamo più noi a comandare. E’ notizia recente che la banca d’affari Morgan Stanley sarà acquistata dalla prima banca del Giappone. Forse dovremmo smetterla di fare carte geografiche dove l’Europa è al centro. Ne ho viste alcune con al centro la Cina e devo dire che siamo molto piccoli». Inutile poi convincersi che l’Occidente produca però prodotti di qualità. Se si prende come riferimento la produzione dei semiconduttori la quota cinese è passata dal 5,9 % del 1980 al 46,6% del 2006. Su questo sfondo si è così innescata la crisi finanziaria nata da un sistema di concessione dei mutui tutto statunitense. «In Europa il mutuo – ha osservato Deaglio – prevede un rapporto diretto tra mutuatario e banca. Negli Usa il mutuatario si rivolge ad una serie di istituzioni finanziarie che lavorano a catena. E ognuno rivende il mutuo a quella successiva impacchettandoli in prodotti finanziari di vario genere la cui natura è spesso ignota anche ad alcuni istituti di credito che li commerciano».
di Azione Cattolica per la relazione dell’economista Mario Deaglio, noto editorialista
de La Stampa nonché docente di economia internazionale, tenuta presso la Villa del Seminario
di Valtournenche in occasione della due giorni organizzata dall’associazione (slideshow della giornata). Un intervento strutturato in quattro parti: prima di tutto una descrizione della geografia economica di quella che Deaglio definisce una «fase postglobale in quanto dopo il 2001 la globalizzazione ha cominciato a perdere colpi e siamo in un periodo molto incerto». Poi ha analizzato i caratteri della crisi finanziaria, le possibili evoluzioni nel futuro prossimo e, infine, il caso italiano. Tra il 1985 e il 2005 si è verificato uno spostamento del baricentro economico mondiale. Usa e Ue hanno perso quote del prodotto lordo mondiale, ma soprattutto la Cina ha fatto registrare un balzo in avanti che nella storia non si era mai verificato in un periodo così breve passando dal 4,8% al 14. Buone performance anche per India e Tigri asiatiche. Ma il dato indubbiamente più significativo è che se si analizza da dove è venuta la crescita nel 2005 ogni 100 dollari 48,5 provenivano da Cina, India e Tigri asiatiche. «Se aggiungiamo il Giappone – ha spiegato Deaglio – si arriva a 55. L’area atlantica, cioè Usa e Ue arriva a 25,1. L’Europa contribuisce poco alla crescita mondiale soprattutto perché la nostra popolazione non cresce. Questo significa che dobbiamo renderci conto che non siamo più noi a comandare. E’ notizia recente che la banca d’affari Morgan Stanley sarà acquistata dalla prima banca del Giappone. Forse dovremmo smetterla di fare carte geografiche dove l’Europa è al centro. Ne ho viste alcune con al centro la Cina e devo dire che siamo molto piccoli». Inutile poi convincersi che l’Occidente produca però prodotti di qualità. Se si prende come riferimento la produzione dei semiconduttori la quota cinese è passata dal 5,9 % del 1980 al 46,6% del 2006. Su questo sfondo si è così innescata la crisi finanziaria nata da un sistema di concessione dei mutui tutto statunitense. «In Europa il mutuo – ha osservato Deaglio – prevede un rapporto diretto tra mutuatario e banca. Negli Usa il mutuatario si rivolge ad una serie di istituzioni finanziarie che lavorano a catena. E ognuno rivende il mutuo a quella successiva impacchettandoli in prodotti finanziari di vario genere la cui natura è spesso ignota anche ad alcuni istituti di credito che li commerciano».
Troppa malafede
Ma al di là della complessità del sistema la situazione americana per Deaglio, è stata caratterizzata da parte di certi operatori anche da un certo livello di malafede. A differenza dell’Italia, negli Stati Uniti si davano volentieri mutui per la casa per l’intero ammontare anche a persone relativamente prive di garanzie. Perché? Perché negli Stati Uniti è molto più facile che in Italia portar via la casa a chi non paga. Ecco allora, in anni di prezzi delle abitazioni vigorosamente crescenti, nascere una vera e propria «industria del mutuo fondiario»: società specializzate prendono a prestito denaro a basso costo e offrono mutui a persone che danno poche garanzie. Sono mutui di serie B (subprime), ad alto rischio, che vengono spesso rivenduti («cartolarizzati») ad altre società finanziarie specializzate in crediti dubbi. Se il mutuatario non paga, saranno loro a iniziare le azioni legali necessarie e ad appropriarsi della casa, che nel frattempo è aumentata di valore. «Ma il vento è cambiato – precisa Deaglio - negli ultimi 6-12 mesi: i prezzi delle abitazioni hanno cominciato a scendere e i conti non quadrano più. Per le società di mutui fondiari è più difficile cartolarizzare, per le società di cartolarizzazione è diventato impossibile rivendere con profitto l’immobile espropriato; e siccome l’economia rallenta, il numero dei mutuatari insolventi aumenta. Sono già due milioni le famiglie americane a minaccia di sfratto». In questa maniera la prima ondata si abbatte sui cosiddetti «titoli tossici» e colpisce soprattutto gli Usa, ma questa ondata crea una successiva situazione di sfiducia tra gli istituti di credito che fa sì che si riducano le liquidità disponibili nei prestiti tra banche. La sfiducia porta ad un aumento dei tassi bancari e ad una riduzione dell’attività bancaria. «Ma c’è un terzo effetto. Negli Usa a differenza dell’Europa – spiega Deaglio – il prezzo delle case non era mai sceso. Se perciò una banca ha fatto un prestito con garanzia immobiliare del 100% e il valore del bene diminuisce in quanto l’impossibilità di pagare i mutui ha causato un aumento impressionante della vendita delle case, facendo crollare il prezzo del 20-25%, il credito garantito non è più di 100 ma di 80. Ecco come si materializzano le perdite». Deaglio teme però una quarta ondata. «Molti osservatori – ha spiegato ai partecipanti all’incontro - prevedono che, a questo punto, gli effetti delle cadute di Borsa sulla ricchezza degli americani e il generale clima di preoccupazione provocheranno effetti reali sull’economia americana. Per questo gli occhi di tutti cominciano a guardare oltre l’estate, al periodo che trascorre dai Santi alla fine dell’anno, in cui si concentrano gli acquisti di gran parte dei beni durevoli e semidurevoli». Per l’economista un primo insegnamento da trarre dalla gravità della crisi sarebbe quello di raccogliere il suggerimento del direttore della Banca d’Italia e creare un organismo sovranazionale di mercato, osteggiato però da molte nazioni, fra cui gli Stati Uniti.
Pranzo canavesano con Bill Gates
Dopo aver provato a disegnare alcuni possibili scenari in materia di Pil, tra ottimismo e pessimismo, Deaglio ha spostato la sua attenzione sull’Italia dove attraverso numerosi indicatori economici ha mostrato una situazione che continua ad aggravarsi. «Tuttavia – ha concluso l’economista – a fronte di dati complessivi negativi si riscontra un andamento in molti settori positivo. Un fatto apparentemente bizzarro che però si spiega con il fatto che l’Italia è uscita da tutti quei settori in cui la produttività era maggiore. La Chimica, l’informatica. Far morire l’Olivetti è stato un errore gravissimo. Eravamo i primi in Europa ». «Recentemente sono stato ad un convegno a Ivrea – conclude Deaglio – e l’organizzatore era un ex-dirigente dell’Olivetti. Mi ha portato in un ristorante nella zona della Serra. Ad un certo punto ha indicato un tavolo e mi ha detto: “ Lo sa? Una trentina di anni fa’ a quel tavolo era seduto un giovanissimo Bill Gates venuto apposta a Ivrea per venderci il sistema Dos per i nostri computer”». (Pubblicato sul Corriere della Valle d'Aosta del 25 settembre 2008)
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