4 febbraio 2009

Lettera da Londra: Incominciamo dalla fine (prima parte)

Sul Corriere della Valle del 29 gennaio ho ospitato una firma nuova. Si tratta di Gilles Quey, 31 anni, laureato in Bocconi (110/110), un’esperienza da broker a Londra proprio nell’occhio del ciclone della crisi economica che ha lasciato il segno a livello mondiale. Quey nel 2002 inizia come trader sui derivati per poi spostarsi nel mondo delle banche d'affari dove si è occupato di fusioni e acquisizioni di società in qualità di analista. Si trasferisce a Londra nell'ottobre del 2006 dove ricopre fino all'agosto dell'anno scorso la posizione di associato sempre nella divisione fusioni e acquisizioni (M&A). Nell’attuale pausa forzata un comune amico ha fatto sì che la sua strada incrociasse la mia ed è nata questa idea di raccontare da Londra che cosa ci sta succedendo. Questa settimana sul blog ospito la prima parte del suo intervento mentre sul Corriere in edicola venerdì trovate già la seconda. La rubrica ora osserverà una cadenza quindicinale. Mi raccomando scriveteci (a me e a Gilles) i vostri commenti.

Incominciamo dalla fine (prima parte)

E' sempre molto difficile iniziare un articolo o introdurre un argomento: occorre contestualizzare ciò che si vuole trattare ed è per tale motivo che preferisco iniziare dalla fine. Ma qual è o meglio che cos’è questa fine? E' quella di un sistema finanziario che si è sviluppato a partire dalla seconda metà degli anni ‘90 e che ha visto la sua fine nell'estate del 2007 con le prime avvisaglie di una crisi sistemica che ha dato origine a parole oramai di uso «comune» quali «credit crunch» e «subprime».

Scrivo da Londra, l'epicentro del sistema finanziario mondiale e di conseguenza l'epicentro della crisi. La capitale inglese rappresenta la maggiore piazza finanziaria al mondo essendosi lasciata alle spalle New York e Tokyo in termini di volumi scambiati. Rappresenta inoltre la culla del sistema capitalistico, il posto in cui lo stesso ha visto i natali e dove i servizi fi-nanziari si sono concentrati.

Io facevo il «banchiere». L’ho fatto prima a Milano e successivamente mi sono trasferito nel Regno Unito, una tappa quasi obbligata per chi fa il mio mestiere. Sono cosciente che la parola banchiere susciti attualmenteun senso di sfiducia e di colpa in un clima da caccia alle streghe e di ricerca di capri espiatori, ma non intendo soffermarmi su aspetti personali né utilizzare il mio spazio per tentare una difesa di una categoria sicuramente colpevole al pari di molte altre.

Ma torniamo alla fine ed all'inizio del famigerato effetto domino ed immaginiamo di essere negli Stati Uniti. Siamo in uno scenario di crescita economica forte e tassi di interesse molto favorevoli, non rappresentativi del rischio che stanno finanziando, ma di una forte liquidità nel sistema. Si sta sviluppando una sorta di corsa nel prestare denaro nella convinzioneche il valore dell'asset finanziato sia stabile o in crescita e, di converso, il debito garantito dal valore dell'attivo stesso. Prendiamo come riferimento una casa (anche se il settore immobiliare è stato solo la goccia in un oceano di sbagli) del valore di 100 su cui una banca eroga un mutuo di 70 a un determinato tasso. Alcuni mesidopo il valore diventa 110 e un'altra banca per impiegare il proprio denaro rifinanzia il mutuo erogato dalla prima banca per 90, sicura che il valore della casa aumenti ancora, il proprietario così si trova 20 in più con i quali effettuare ristrutturazioni o ancora acquistare altri beni. Inizia in tale modo a crearsi un circolo virtuoso per banche e soggetti finanziati in cui l'accesso al credito diventa sempre più facile e le banche, per non perdere quote di mercato, e di conseguenza utili, sono disposte ad assumere rischi sempre più elevati.

Si giunge in questa maniera a finanziare oltre il 100% del valore del bene acquisito e a concedere mutui anche a soggetti che non hanno reddito sufficiente (e pertanto più rischiosi, definiti subprime) erogando mutui variabili, molto convenienti sui primi anni (solo quota interessi), i cosiddetti killer su quelli a venire. D'altronde, se il soggetto finanziato non riuscirà a ripagare le rate, la banca entrerà in possesso del bene e ne trarrà comunque profitto. I finanziatori non si limitano però a questo e decidono di vendere i rischi assunti, in maniera tale da contenerli, e i rendimenti ad essi collegati sul mercato sotto forma di prodotti finanziari (cartolarizzazioni) dividendoli in base alloro profilo, o più banalmente in base al tipo di attivo e soggetto finanziato in maniera da creare pacchettipiù o meno omogenei e certificati dalle agenzie di rating. Questi prodotti permettono di ripartire il rischio su più entità ed offrono rendimenti interessanti, poi a loro volta vengono creati mix di questi prodotti con altri ecc... e alla fine la catena, che collega finanziamento originale e finanziatore, diventa complessa e fatta di molti passaggi. Non intendo scendere in complicazioni ulteriori come ad esempio la possibilità di comprare del debito, ossia uno di questi portafogli, con ulteriore debito (specialità questa degli hedge funds). (continua)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Vogliamo le parti successive! Grande Gilles e complimenti a ImpresaVda per l'idea.

Pascal

ImpresaVda on 26 febbraio 2009 alle ore 19:02 ha detto...

Anche io ho scritto a Gilles e mi ha promesso che si farà vivo al più presto. Tieni conto che la sua lettera prima viene pubblicata anche sul Corriere della Valle d'Aosta.

 

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