La Valle d’Aosta improvvisamente si scopre come un crocevia importante del futuro della viticoltura italiana e non solo quella di montagna, come da tempo testimonia la presenza nella piccola regione autonoma del Cervim (qui potete trovare alcuni post sul lavoro dell'ente) che sotto la guida di François Stévénin è riuscito ad ottenere una maggior tutela. Non è una questione di numeri. Con i suoi 550 ettari di vigneto, 42 aziende imbottigliatrici, 6 cantine sociali che producono 2 milioni di bottiglie la piccola regione autonoma rappresenta una percentuale marginale della produzione italiana, pur in presenza di una qualità sempre più apprezzata anche al di fuori dei confini nazionali. Anche l’ultima vendemmia – come spiega l’enologo regionale Massimo Bellocchia – si chiuderà con un calo tra il 5-7%. «Un annata che dal punto di vista qualitativo – commenta l’enologo – si può definire media anche se caratterizzata da forte disomogeneità tra le diverse zone. Volumi pressoché stabili o in leggero aumento in l’Alta Valle per alcuni vitigni, e un calo produttivo pesante per la Bassa Valle causato da problemi in fioritura e da un andamento climatico estremamente difficile che ha provocato una infezione di peronospora come da tempo non si vedeva».
A porre la Vallée all’attenzione del mondo del vino è stata l’elezione di Costantino Charrère a presidente della Federazione italiana vignaioli indipendenti (Fivi), organizzazione di categoria appena costituita – si legge nel suo Statuto - per «rappresentare e proteggere la figura del viticoltore rispetto alle istituzioni, promuovendo la qualità e autenticità dei vini italiani».
Charrère, titolare dell’azienda Les Crêtes di Aymavilles, da lui costituita nel 1989, è condotta con la moglie Imelda e le figlie Eleonora, dottore agronomo, e Elena, laureata in giurisprudenza, è riuscito a portare la sua azienda ai massimi livelli internazionali tanto che il numero di ottobre della rivista statunitense «Wine Spectator», dedicato al meglio della produzione italiana, indicava la sua azienda tra le dieci da visitare.
Ma il nuovo incarico non porta il produttore valdostano lontano dalla piccola regione autonoma. Anzi gli permette in realtà di seguirne i problemi con maggiore incisività. «Ormai la politica di filiera del vino non è più regionale, ma europea. Basta tenere conto di come si modificherà l’attuale quadro con l’entrata in vigore dal 1° agosto dell’Ocm vino, inseguito all’approvazione del regolamento (CE) n.479/08». «Tuttavia – prosegue - sono convinto che in un simile contesto dobbiamo essere consapevoli che la marginalità è premiante. Proprio il nostro produrre in un contesto montano può rivelarsi la nostra carta vincente in quanto permette una forte tipicizzazione del prodotto».
Charrère è però consapevole che il passaggio del vino dal sistema Doc a quello Dop rischia di svincolare un prodotto dal suo territorio. Al viticultore infatti si finisce per chiedere soltanto il rispetto di determinate procedure e il legame con il territorio, il ruolo di presidio ambientale si fa meno forte.
E Charrère non nasconde che la sua nomina punta anche a difendere la piccola e media impresa a livello europeo. «Occorre governare questa visione unicamente legata al mercato. E attraverso la Fivi noi avremo una rappresentanza a Roma al "tavolo verde agricolo" e all’interno della "European Confederation of Independent Winegrowers" dove da tempo il posto riservato all’Italia era vuoto. E il segretario della Confederazione è accreditato presso la Commissione europea agricoltura. Un filo diretto che ci permetterà di tutelare la produzione del vigneto, la trasformazione delle uve in vino e la loro messa sul mercato attraverso una filiera corta gestita dalla stessa azienda». (Pubblicato sul Sole 24 Ore Nord Ovest del 27 maggio)
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