«Il tema di questa Settimana Sociale è"La famiglia, speranza e futuro per la società italiana". Esprimo tutto il mio apprezzamento per questa scelta, e per aver associato alla famiglia l’idea di speranza e di futuro. E’ proprio così!Ma per la comunità cristiana la famiglia è ben più che "tema": è vita, è tessuto quotidiano, è cammino di generazioni che si trasmettono la fede insieme con l’amore e con i valori morali fondamentali, è solidarietà concreta, fatica, pazienza, e anche progetto, speranza, futuro. Tutto questo, che la comunità cristiana vive nella luce della fede, della speranza e della carità, non è mai tenuto per sé, ma diventa ogni giorno lievito nella pasta dell’intera società, per il suo maggior bene comune». Le Parole di Papa Francesco ai partecipanti alla Settimana torinese si sono concretizzate nel corso dei lavori iniziati con le parole, pacate ma severe, del Cardinale Angelo Bagnasco che non ha mancato di ricordare come destabilizzare la famiglia inevitabilmente indebolisca la società, anche perché la famiglia - ha detto il presidente della Cei nella sua Prolusione - è pure «l’antidoto alla stessa crisi, l’unica alternativa praticabile ad una esasperazione dell’individuo, la cui pesantezza è diventata insostenibile sotto l’imperativo di un’autonomia rivelatasi ben presto ingenua e cinica allo stesso tempo».
Una Settimana caratterizzata anche da analisi approfondite e proposte concrete. Welfare, lavoro giovanile, famiglie immigrate, agenzie educative, sistema fiscale sono stati alcuni dei temi affrontati. Minimo comune denominatore di molti interventi la percezione di una sottovalutazione da parte della Società del ruolo della famiglia.
Il professor Luigi Campiglio, ordinario di Politica economica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di mIlano, non ha mancato, ad esempio, di sottolineare come nel corso degli ultimi vent’anni l’aumento della pressione fiscale sulle famiglie abbia ridotto il loro reddito medio reale e la loro capacità di risparmio, con profonde conseguenze sulla domanda interna, gli investimenti e il potenziale di crescita: la pressione fiscale è aumentata a causa di irrisolti squilibri strutturali, in particolare bassa produttività e bassi salari, che hanno provocato tre grandi manovre fiscali il cui onere è ricaduto in gran parte sulle famiglie, innescando una spirale economica al continuo ribasso.
I numeri sono impressionanti. «Il reddito medio lordo disponibile per famiglia – ha detto Campiglio - in termini “reali”, cioè al netto dell’inflazione, è diminuito del -25% fra il 2012 e il 1991». La conseguenza economica più rilevante è stata la diminuzione del tasso di risparmio delle famiglie, diminuito dal 24% all’inizio degli anni ’90 all’8% nel 2012, con una parallela diminuzione della capacità d’investimento interno e quindi un maggior ricorso al risparmio estero. L’elevato tasso di risparmio ha consentito di stabilizzare i consumi reali delle famiglie fino al 2007, ma al prezzo di una sua rapida diminuzione: questo meccanismo si è interrotto con la Grande Crisi e la caduta del tasso di risparmio, e di conseguenza il consumo reale per famiglia è caduto del -12% fra il 2007 e il 2012, con una conseguente paralisi della domanda interna.
Per Campiglio «per almeno metà delle famiglie italiane il sistema tributario presenta caratteristiche regressive, o al meglio di proporzionalità, che possono essere riequilibrate solo diminuendo la disuguaglianza con maggiori opportunità di lavoro, introducendo un vincolo di equità basato sul reddito familiare e un efficiente sistema di protezione sociale».
Ma l’intervento che mi ha maggiormente colpito è stato quello del professor Luca Antonini, ordinario di Diritto Costituzionale dell’Università di Padova, che ha offerto un’analisi davvero impietosa del nostro sistema di welfare. Nella sua analisi il professore evidenzia come dal dopoguerra fino agli anni 1970, quando i modelli familiari prevalenti sono stati abbastanza stabili, le politiche sociali si sono limitate ad assistere le famiglie con interventi di tipo compensativo e di riparazione dei deficit familiari. «A partire dalla metà degli anni 1970, - osserva il docente - si è affermata una linea teorica e pratica di forte deistituzionalizzazione della famiglia e una certa liquefazione dei modelli familiari. L’accento delle politiche sociali è stato spostato sul carattere preventivo degli interventi. Di fatto, in ogni caso, le pratiche sociali di tutela della famiglia si sono sempre più ispirate ad un’etica di individualismo emancipatore, che si è avvalso di strategie ‘opportunistiche’, volte a cercare soluzioni che, in linea di principio, dovevano aumentare il benessere degli individui sollevandoli dai loro carichi familiari».
Per Antonini «di questa pochezza culturale e politica è emblematico quanto avvenuto sul piano fiscale, dove l’ordinamento si è sviluppato in palese elusione della Costituzione, che invece, prevede: “La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei relativi compiti, con particolare riguardo alle famiglie numerose” (art. 31). Mai una disposizione fu tanto inattuata: oggi il fisco italiano riconosce una detrazione di 800 Euro per figlio a carico, che equivale ad un abbattimento dell’imponibile di poco più di 3.000 Euro. La spesa media di mantenimento di un figlio oscilla invece tra 7.700 e i 9.400 Euro all’anno. In questi termini il fisco italiano colpisce i genitori (anche quelli poveri) come se quanto speso in più rispetto alla detrazione fosse rimasto nelle casse domestiche. E’ una palese violazione anche del principio costituzionale di capacità contributiva, che inizia solo dopo aver assolto alle esigenze primarie della vita».
Non è inutile ricordare che Giovanni Paolo II, quando parlò al Parlamento italiano, insistette sulla necessità di una “iniziativa politica che, mantenendo fermo il riconoscimento dei diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, secondo il dettato della stessa Costituzione italiana, renda socialmente ed economicamente meno onerose la generazione e l’educazione dei figli”.
Quell'appello a oggi è rimasto inascoltato.
Non è inutile ricordare che Giovanni Paolo II, quando parlò al Parlamento italiano, insistette sulla necessità di una “iniziativa politica che, mantenendo fermo il riconoscimento dei diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, secondo il dettato della stessa Costituzione italiana, renda socialmente ed economicamente meno onerose la generazione e l’educazione dei figli”.
Quell'appello a oggi è rimasto inascoltato.
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