Ti sottopongo una riflessione di Paolo VI suggerita dalle monache Benedettine di Saint-Oyen.
«Vi invitiamo oggi ad uscire con la memoria dal mondo dei vivi ed a fare,
come è costume in questo mese, una visita al mondo dei nostri cari defunti, a
tutta l’umanità trapassata dalla scena del tempo a quella dell’esistenza fuori
del tempo. Visitare i cimiteri ci fa riflettere all’inesorabile caducità della
vita presente; ed è questa una formidabile lezione, anche se l’effetto pratico
può essere ambiguo, stimolando in chi non riflette un’ansia maggiore di vivere
la vita presente, ma crescendo invece nei credenti la sapienza per il buon uso
di ogni valore, del tempo durante la nostra effimera attuale giornata terrena. È
una scuola di alta filosofia questa sosta sui sepolcri umani. Anche per due
altre ragioni: per compiere un dovere di memoria e di riconoscenza verso chi ci
ha lasciato un’eredità, quella della vita specialmente, e poi tante altre,
dell’amicizia, della cultura, del sacrificio forse. Dimenticare non è umano,
non è saggio. L’altra
ragione perché la memoria dei defunti non è soltanto una rimembranza, è una
celebrazione della loro sopravvivenza, dell’immortalità della loro anima, anche
se tanto velata di mistero; è un contatto con una comunione viva e commovente
con coloro che “ci hanno preceduti con il segno della fede e dormono il sonno
della pace”. In
Cristo poi li possiamo in qualche modo raggiungere, i nostri morti, che in Lui
sono vivi. In Cristo continua la circolazione dell’amore. La nostra vita –
“ecco, io vi dico un mistero”, scrive san Paolo ai Corinti – riprenderà. Un
giorno, se qui siamo inseriti in Cristo, il nostro corpo risorgerà, ricomposto,
perfetto e felice. Non è vano pensare così: è vero, è pio, è consolante. Lo
sguardo del passato si volge al futuro, verso l’aurora del ritorno di Cristo.
Per questo riflettiamo e preghiamo per i nostri defunti e, ricordando ciò che
ci attende, preghiamo per noi vivi».
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