Dario Ceccarelli |
Prima di tutto
focalizziamo l’attenzione sul mondo delle imprese. Statisticamente cosa si può
dire sulla voglia di fare impresa della nostra regione?
Certamente l’impatto della crisi ha avuto un ruolo
importante anche sulla creazione di impresa. Le difficoltà che si sono
riverberate dal mondo finanziario sull’economia locale sono arrivate a toccare
anche il sistema produttivo. Tra il 2007 e oggi abbiamo perso circa 1500
imprese con un effetto di dimagrimento molto importante. Naturalmente è non è
successo soltanto da noi, ma in tutte le regioni italiane e non solo e questo ha
avuto una influenza. Parallelamente va anche fatto notare che se prima gran
parte degli investimenti nell’economia locale derivavano da un bilancio
regionale molto più ricco di oggi. La caduta della disponibilità finanziaria
della Regione naturalmente ha avuto degli effetti negativi, ma anche l’effetto
positivo probabilmente di incentivare le persone a spingersi verso uno slancio
di imprenditoria con scelte individuali non più tanto supportate dalla Regione
o comunque in maniera più contenuta. E quindi ha dato un po’ il la all’iniziativa
personale che forse era più smorzata in precedenza. Un effetto positivo anche se
le nascite sono deboli. Ricordando quello che ha detto il Presidente della
Chambre, Nicola Rosset, recentemente il primo trimestre 2017 ha segnato il
punto più basso delle nascite delle imprese in Valle d’Aosta da parecchi anni.
Quali sono i trend
più significativi delle imprese valdostane? Ci sono trend inaspettati?
Rispetto alle imprese un trend non inaspettato in quanto di
lungo periodo che però forse la crisi ha anche un po’ accelerato è la
composizione interna per forma giuridica delle imprese che è interessante
notare. A fronte di un calo delle imprese con struttura più semplici, cioè
ditte individuali e società di persone, assistiamo ad una crescita delle
società di capitale. Questo ci dà l’idea che la crisi non ha soltanto ridotto
il numero delle imprese ma ha portato ad una maggiore ristrutturazione, con una
complessificazione della situazione produttiva. Certamente le imprese
individuali sono ancora il 59% ma quelle di capitale sono le uniche che
crescono nell’ultimo anno e che continuano a crescere da prima della crisi fino
ad oggi.
Settore per settore
cosa possiamo dire? L’industria e i servizi ad esempio?
Qui c’è una chiara contrapposizione, anche se va detto che
lo stesso terziario è un insieme composito di tanti settori con servizi che
vanno più o meno meglio. Di sicuro quelli produttivi sono quelli che hanno
subito di più la crisi quindi continuano a perdere in termini di unità di
imprese. Nell’ultimo anno le costruzioni sono scese del 2% circa, le attività
manifatturiere sono rimaste sostanzialmente stabili con un calo dello 0,4%. Se
guardiamo il tutto sul lungo periodo, cioè prima della crisi, però le imprese
di costruzioni sono diminuite del 15% e le manifatturiere del 10%. Per contro il
settore dei Servizi è in crescita. E’ evidente che il settore commerciale ha un
trend negativo ma il cosiddetto settore turistico, cioè attività di
ristorazione e alberghiere, è in crescita del 7% rispetto al pre-crisi e rispetto
all’ultimo anno dell’1,5%.
Settore agricolo?
Dal punto di vista delle imprese è di difficile lettura in
quanto contano anche le regole amministrative sulle imprese agricole.
Sicuramente è un settore con un trend in decremento e che si sta un po’ ristrutturando,
di conseguenza le imprese stanno diminuendo di numero ma aumentando un po’ di
scala. E’ un mutamento che non dipende dalla crisi. Anzi sul fronte del valore
aggiunto il consolidato 2016 segna una crescita. Poi ci sono i problemi del meteo
che sul prossimo anno potrebbero avere delle conseguenza importanti
Globalmente qual è la
sua impressione sull’economia valdostana?
Di un’economia fiacca come dinamica con il settore turistico
che tiene e ha trend positivi e altri che devono ancora affrontare delle
criticità. Certamente la struttura molecolare della nostra economia e della
nostra società talvolta non permette di leggere bene i fenomeni. Alcuni settori
sono fatti di piccoli numeri e quindi ci sono imprese che vanno bene ma non
sono sufficienti affinchè si registri un dato positivo di tutto il comparto.
Un elemento che
preoccupa sono le dinamiche demografiche?
Forse non di preoccupazione ma sicuramente di attenzione.
Nel nostro caso abbiamo avuto una crescita di popolazione negli ultimi 20-30
anni grazie ai movimenti migratori in quanto abbiamo avuto sempre dei saldi
naturali negativi. Più recentemente c’è stata una ripresa delle nascite.
Potremo dire che la demografia registra con un leg temporale piuttosto lungo gli
effetti della crisi. Chiaramente la propensione
a fare figli non è agevolata dalle situazioni di incertezza e criticità
economica. A questo si aggiunge il fatto che tendenzialmente è diminuita a componente migratoria che normalmente ha una
propensione a fare figli più alta e
contribuiva per circa il 25% sulle nascita in Valle d’Aosta di conseguenza per
il secondo anno consecutivo abbiamo un numero di nati inferiore alle mille
unità e così per il terzo anno
consecutivo la popolazione residente in Valle d’Aosta è diminuita e siamo scesi
sotto i 127mila abitanti. Gli ultimi dati sui movimenti migratori sembrerebbero
invece far pensare ad una ripresa.
Sul fronte del
disagio economico i numeri che realtà fotografano?
La crisi ha avuto un impatto importante sul benessere delle
famiglie e sulla coesione sociale. Se sono diminuiti gli occupati
automaticamente diminuisce il reddito disponibile pro capite per le famiglie. In
questo momento si tratta di un quadro composito. Alcuni indicatori stanno
migliorando e altri segnalano ancora qualche difficoltà. Non va dimentica che
il reddito pro capite medio in Valle d’Aosta è molto alto di circa il 13%
rispetto alla media nazionale. Quindi queste dinamiche non hanno interessato
soltanto noi. Il fatto di partire da un livello più alto ci ha permesso, forse,
di contenere un po’ di più il disagio ma le famiglie hanno comunque subito
delle criticità.
In sintesi l’uscita
dalla crisi c’è, ma è lenta, troppo lenta?
Direi proprio così. Non c’è ancora stato il punto di svolta
determinante quello che dà il cambio di passo definitivo. Ci sono dei segnali
positivi ma ancora un po’ deboli all’interno di un quadro che presenta ancora
diverse criticità. Questo deriva dal fatto che non bisogna dimenticarsi che la
crisi e unica e lineare, ma è fatta di due punte negative. Una nel 2009 e una
più recente nel biennio 2012-2013. Nella prima parte abbiamo avuto un impatto
più contenuto rispetto al resto d’Italia questa seconda ci tocca in maniera più
forte ed è anche più prolungata. Il passo nostro è ancora un po’ troppo lento
rispetto a quello di altri. Ma non dobbiamo dimenticare che noi siamo entrati
nella crisi più tardi di altri, proprio per la struttura economica e produttiva
della nostra regione, e quindi, anche per questo usciamo dopo gli altri. Non
dimentichiamoci poi che nel Pil vengono conteggiati gli investimenti, se
consideriamo che il bilancio regionale ha avuto una caduta delle risorse
disponibili per via dei vari patti di stabilità, dell’equilibrio della finanza
pubblica, del contenimento della spesa, tutto questo ha avuto ricadute
immediate sull’economia.
Un sogno statistico
da realizzare?
Il sogno statistico è che le imprese, le persone, i
cittadini quando vengono contattati dalle indagini statistiche ufficiali
rispondano nella maniera più corretta possibile perché poi su questo si basano
tutti i dati che noi leggiamo e analizziamo e quindi invito tutto a non
sottovalutare questi aspetti in quanto sono un elemento di conoscenza della
realtà da cui non si può prescindere.
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