21 luglio 2017

Dario Ceccarelli (Osservatorio Economico e Sociale): «Tra il 2007 e oggi abbiamo perso 1500 imprese»

Dario Ceccarelli
Intervistiamo questa settimana Dario Ceccarelli, responsabile dell’Osservatorio economico e sociale della Valle d’Aosta e del tradizionale annuario statistico.

Prima di tutto focalizziamo l’attenzione sul mondo delle imprese. Statisticamente cosa si può dire sulla voglia di fare impresa della nostra regione?
Certamente l’impatto della crisi ha avuto un ruolo importante anche sulla creazione di impresa. Le difficoltà che si sono riverberate dal mondo finanziario sull’economia locale sono arrivate a toccare anche il sistema produttivo. Tra il 2007 e oggi abbiamo perso circa 1500 imprese con un effetto di dimagrimento molto importante. Naturalmente è non è successo soltanto da noi, ma in tutte le regioni italiane e non solo e questo ha avuto una influenza. Parallelamente va anche fatto notare che se prima gran parte degli investimenti nell’economia locale derivavano da un bilancio regionale molto più ricco di oggi. La caduta della disponibilità finanziaria della Regione naturalmente ha avuto degli effetti negativi, ma anche l’effetto positivo probabilmente di incentivare le persone a spingersi verso uno slancio di imprenditoria con scelte individuali non più tanto supportate dalla Regione o comunque in maniera più contenuta. E quindi ha dato un po’ il la all’iniziativa personale che forse era più smorzata in precedenza. Un effetto positivo anche se le nascite sono deboli. Ricordando quello che ha detto il Presidente della Chambre, Nicola Rosset, recentemente il primo trimestre 2017 ha segnato il punto più basso delle nascite delle imprese in Valle d’Aosta da parecchi anni.

Quali sono i trend più significativi delle imprese valdostane? Ci sono trend inaspettati?
Rispetto alle imprese un trend non inaspettato in quanto di lungo periodo che però forse la crisi ha anche un po’ accelerato è la composizione interna per forma giuridica delle imprese che è interessante notare. A fronte di un calo delle imprese con struttura più semplici, cioè ditte individuali e società di persone, assistiamo ad una crescita delle società di capitale. Questo ci dà l’idea che la crisi non ha soltanto ridotto il numero delle imprese ma ha portato ad una maggiore ristrutturazione, con una complessificazione della situazione produttiva. Certamente le imprese individuali sono ancora il 59% ma quelle di capitale sono le uniche che crescono nell’ultimo anno e che continuano a crescere da prima della crisi fino ad oggi.

Settore per settore cosa possiamo dire? L’industria e i servizi ad esempio?
Qui c’è una chiara contrapposizione, anche se va detto che lo stesso terziario è un insieme composito di tanti settori con servizi che vanno più o meno meglio. Di sicuro quelli produttivi sono quelli che hanno subito di più la crisi quindi continuano a perdere in termini di unità di imprese. Nell’ultimo anno le costruzioni sono scese del 2% circa, le attività manifatturiere sono rimaste sostanzialmente stabili con un calo dello 0,4%. Se guardiamo il tutto sul lungo periodo, cioè prima della crisi, però le imprese di costruzioni sono diminuite del 15% e le manifatturiere del 10%. Per contro il settore dei Servizi è in crescita. E’ evidente che il settore commerciale ha un trend negativo ma il cosiddetto settore turistico, cioè attività di ristorazione e alberghiere, è in crescita del 7% rispetto al pre-crisi e rispetto all’ultimo anno dell’1,5%.

Settore agricolo?  
Dal punto di vista delle imprese è di difficile lettura in quanto contano anche le regole amministrative sulle imprese agricole. Sicuramente è un settore con un trend in decremento e che si sta un po’ ristrutturando, di conseguenza le imprese stanno diminuendo di numero ma aumentando un po’ di scala. E’ un mutamento che non dipende dalla crisi. Anzi sul fronte del valore aggiunto il consolidato 2016 segna una crescita. Poi ci sono i problemi del meteo che sul prossimo anno potrebbero avere delle conseguenza importanti

Globalmente qual è la sua impressione sull’economia valdostana?
Di un’economia fiacca come dinamica con il settore turistico che tiene e ha trend positivi e altri che devono ancora affrontare delle criticità. Certamente la struttura molecolare della nostra economia e della nostra società talvolta non permette di leggere bene i fenomeni. Alcuni settori sono fatti di piccoli numeri e quindi ci sono imprese che vanno bene ma non sono sufficienti affinchè si registri un dato positivo di tutto il comparto.

Un elemento che preoccupa sono le dinamiche demografiche? 
Forse non di preoccupazione ma sicuramente di attenzione. Nel nostro caso abbiamo avuto una crescita di popolazione negli ultimi 20-30 anni grazie ai movimenti migratori in quanto abbiamo avuto sempre dei saldi naturali negativi. Più recentemente c’è stata una ripresa delle nascite. Potremo dire che la demografia registra con un leg temporale piuttosto lungo gli effetti della crisi. Chiaramente la propensione  a fare figli non è agevolata dalle situazioni di incertezza e criticità economica. A questo si aggiunge il fatto che tendenzialmente è diminuita  a componente migratoria che normalmente ha una propensione  a fare figli più alta e contribuiva per circa il 25% sulle nascita in Valle d’Aosta di conseguenza per il secondo anno consecutivo abbiamo un numero di nati inferiore alle mille unità  e così per il terzo anno consecutivo la popolazione residente in Valle d’Aosta è diminuita e siamo scesi sotto i 127mila abitanti. Gli ultimi dati sui movimenti migratori sembrerebbero invece far pensare ad una ripresa.

Sul fronte del disagio economico i numeri che realtà fotografano?
La crisi ha avuto un impatto importante sul benessere delle famiglie e sulla coesione sociale. Se sono diminuiti gli occupati automaticamente diminuisce il reddito disponibile pro capite per le famiglie. In questo momento si tratta di un quadro composito. Alcuni indicatori stanno migliorando e altri segnalano ancora qualche difficoltà. Non va dimentica che il reddito pro capite medio in Valle d’Aosta è molto alto di circa il 13% rispetto alla media nazionale. Quindi queste dinamiche non hanno interessato soltanto noi. Il fatto di partire da un livello più alto ci ha permesso, forse, di contenere un po’ di più il disagio ma le famiglie hanno comunque subito delle criticità.

In sintesi l’uscita dalla crisi c’è, ma è lenta, troppo lenta?
Direi proprio così. Non c’è ancora stato il punto di svolta determinante quello che dà il cambio di passo definitivo. Ci sono dei segnali positivi ma ancora un po’ deboli all’interno di un quadro che presenta ancora diverse criticità. Questo deriva dal fatto che non bisogna dimenticarsi che la crisi e unica e lineare, ma è fatta di due punte negative. Una nel 2009 e una più recente nel biennio 2012-2013. Nella prima parte abbiamo avuto un impatto più contenuto rispetto al resto d’Italia questa seconda ci tocca in maniera più forte ed è anche più prolungata. Il passo nostro è ancora un po’ troppo lento rispetto a quello di altri. Ma non dobbiamo dimenticare che noi siamo entrati nella crisi più tardi di altri, proprio per la struttura economica e produttiva della nostra regione, e quindi, anche per questo usciamo dopo gli altri. Non dimentichiamoci poi che nel Pil vengono conteggiati gli investimenti, se consideriamo che il bilancio regionale ha avuto una caduta delle risorse disponibili per via dei vari patti di stabilità, dell’equilibrio della finanza pubblica, del contenimento della spesa, tutto questo ha avuto ricadute immediate sull’economia.

Un sogno statistico da realizzare?
Il sogno statistico è che le imprese, le persone, i cittadini quando vengono contattati dalle indagini statistiche ufficiali rispondano nella maniera più corretta possibile perché poi su questo si basano tutti i dati che noi leggiamo e analizziamo e quindi invito tutto a non sottovalutare questi aspetti in quanto sono un elemento di conoscenza della realtà da cui non si può prescindere.

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