Si
deve dare atto a Coldiretti di essere stata certamente tra i primi
organismi di rappresentanza sociale a muoversi nella direzione della
trasparenza. Nel “lontano” 2004, infatti, oltre 1,5 milioni di
firme autenticate sono state depositate per una iniziativa di legge
popolare che è poi sfociata nella legge n.204 del 3 agosto 2004,
appunto sulla trasparenza dell’origine della materia prima.
La
legge ha avuto molte opposizioni – dalla rappresentanza dell’
Industria Alimentare in particolare – che si è appellata, anche
più volte, alla Commissione Europea ma la volontà dei consumatori
ha tracciato una via che potrà essere rallentata ma non fermata. La
sentenza del TAR del Lazio che ritiene “prevalente l’interesse
pubblico ad informare i consumatori considerato anche l’esito delle
consultazioni pubbliche circa l’importanza attribuita dai
consumatori italiani alla conoscenza del paese di origine e/o del
luogo di provenienza dell’alimento e dell’ingrediente primario”
ha indicato una direzione ben precisa.
La
tracciabilità è ormai obbligatoria per molti alimenti e, proprio
nel mese di Febbraio, entreranno in vigore le indicazioni per pasta
e riso, due fondamentali produzioni nazionali di grande risalto
sia per il consumo interno che per l’Export. Un pacco di pasta
imbustato in Italia su tre che è fatto con grano straniero, fenomeno
che ha provocato il crollo dei prezzi del grano italiano al di sotto
dei costi di produzione, con una drastica riduzione delle semine e il
rischio di abbandono per un territorio di 2 milioni di ettari
coltivati. Ma l’etichetta darà ossigeno anche ai risicoltori
italiano, “assediati” dagli arrivi di prodotto straniero, una
vera e propria invasione di prodotto dai paesi asiatici, da dove
proviene ormai la metà del riso importato. Il risultato è che le
quotazioni del riso italiano, per gli agricoltori, sono crollate dal
58% per l’Arborio e il Carnaroli al 37% per il Vialone nano, senza
peraltro avere effetti sui prezzi al consumo.
Secondo
quanto previsto dal decreto, dal 17 febbraio le confezioni di
pasta secca prodotte in Italia devono avere obbligatoriamente
indicato in etichetta il nome del Paese nel quale il grano viene
coltivato e quello di molitura; se proviene o è stato molito in più
paesi possono essere utilizzate, a seconda dei casi, le seguenti
diciture: paesi UE, paesi NON UE, paesi UE E NON UE. Inoltre, se il
grano duro è coltivato almeno per il 50% in un solo Paese, come ad
esempio l’Italia, si potrà usare la dicitura: “Italia e altri
Paesi UE e/o non UE”. L’indicazione in etichetta dell’origine
per il riso è scattata il 16 febbraio e deve riportare le
diciture “Paese di coltivazione del riso”, “Paese di
lavorazione” e “Paese di confezionamento”. Qualora le fasi di
coltivazione, lavorazione e confezionamento del riso avvengano nello
stesso Paese, può essere recata in etichetta la dicitura “origine
del riso”, seguita dal nome del Paese. In caso di riso coltivato o
lavorato in più Paesi, possono essere utilizzate le diciture “UE”,
“non UE”, ed “UE e non UE”.
Ricordiamo
che dal 19 aprile 2017 è d’obbligo indicare il Paese di mungitura
per latte e derivati dopo che il 7 giugno 2005 era entrato già
in vigore per il latte fresco e il 17 ottobre 2005 l’obbligo
di etichetta per il pollo Made in Italy mentre a partire dal
1° gennaio 2008 l’obbligo di etichettatura di origine per la
passata di pomodoro. A livello comunitario il percorso di
trasparenza è iniziato dalla carne bovina dopo l’emergenza
mucca pazza nel 2002, mentre dal 2003 è d’obbligo indicare
varietà, qualità e provenienza nell’ortofrutta fresca. Dal
primo gennaio 2004 c’è il codice di identificazione per le uova
e, a partire dal primo agosto 2004, l’obbligo di indicare in
etichetta il Paese di origine in cui il miele è stato
raccolto. Dopo pasta, riso e pomodoro resta però ancora da
etichettare con l’indicazione dell’origine 1/4 della spesa
alimentare degli italiani dai salumi ai succhi di frutta, dalle
confetture al pane, fino alla carne di coniglio.
Poi,
come sempre, ai consumatori la scelta.
Ezio Mossoni
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