Valle d’Aosta: serve libertà in economia
Il 22 gennaio Unioncamere, l’Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, ha pubblicato la «Mappa del capitalismo pubblico locale», un censimento dell’evoluzione, dal 2003 al 2005, del mondo delle società partecipate e controllate da Comuni, Province, Regioni e Comunità Montane in Italia, un esercito di oltre 30.000 amministratori, tra Presidenti, consiglieri d’amministrazione e collegi sindacali.
«Decisamente tante e poco efficienti, soprattutto nel mezzogiorno (dove, come vedremo, dovremmo collocare la Valle d’Aosta), con un numero elevato di amministratori, un tasso di crescita dell’occupazione e del costo del lavoro notevole e una bassa produttività», questa l’apertura del documento con cui Unioncamere ha presentato la Mappa.
Se, come è emerso dai dati Istat sulla produttività da noi in costante calo, pesanti sono i problemi dell’economia valdostana, il quadro delle nostre partecipazioni regionali era drammatico nel 2003 ed è divenuto tragico nel 2005. Né, ad oggi, Casinò docet, abbiamo motivo di pensare che nel 2007 la situazione sia migliorata.
Nel 2003 solamente il 47% delle società pubbliche valdostane controllate produceva utili, nessuna era in pareggio e perciò il 53%, oltre la metà, chiudeva il bilancio in perdita. Diciamo subito che questo dato era già molto negativo, comparandolo sia con la media nazionale (60% di società pubbliche in utile), sia con quella del Centro-Nord (62%), sia infine con la media del Sud (51%). A parte la pecora nera, il Molise (13% di società in utile), eravamo in zona retrocessione che vedeva la Sardegna con il 46% e la magnifica terna Basilicata, Calabria e Valle d’Aosta (47% appunto). Pronti per il terzo mondo, insomma.
Mentre negli anni successivi tutte le regioni più disastrate hanno cercato di porre rimedio ed hanno migliorato, la Valle d’Aosta nel 2005 era sprofondata ancora di più: 68% di società pubbliche in perdita (il 23% in più del 2003…!), penultima solo perché il Molise, che da un fallimentare 88% nel 2003, pur migliorando decisamente (+13%), si teneva la maglia nera con il 75%. La media nazionale è migliorata, la media del Centro-Nord è migliorata di poco, quella del Sud è peggiorata di un punto, La nostra Valle, grazie alle dissennate politiche economiche dei suoi amministratori, è crollata di altri quindici punti!
A parte pochi esempi di successo (il più brillante è CVA, alla quale peraltro si sta mettendo mano…) questo è il quadro del fallimento della politica di Finaosta e dell’assessore alle partecipazioni regionali Aurelio Marguerettaz. Una volta eravamo il socialismo reale che funziona, ci stiamo avviando a diventare il socialismo reale che, come gli altri, non funziona e fallisce. E’ essenziale che questa Regione inizi a destinare parte delle grandi risorse di cui dispone ad una riconfigurazione di tutto il comparto produttivo, liberando energie per il mercato, mollando il cappio che sta soffocando l’economia privata e le impedisce di crescere. Mantenendo le attività private gracili e in costante crisi di astinenza da contributi si rafforza la rete di un omnipervasivo controllo politico, ma si porta questa Valle alla rovina.
Il 22 gennaio Unioncamere, l’Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, ha pubblicato la «Mappa del capitalismo pubblico locale», un censimento dell’evoluzione, dal 2003 al 2005, del mondo delle società partecipate e controllate da Comuni, Province, Regioni e Comunità Montane in Italia, un esercito di oltre 30.000 amministratori, tra Presidenti, consiglieri d’amministrazione e collegi sindacali.
«Decisamente tante e poco efficienti, soprattutto nel mezzogiorno (dove, come vedremo, dovremmo collocare la Valle d’Aosta), con un numero elevato di amministratori, un tasso di crescita dell’occupazione e del costo del lavoro notevole e una bassa produttività», questa l’apertura del documento con cui Unioncamere ha presentato la Mappa.
Se, come è emerso dai dati Istat sulla produttività da noi in costante calo, pesanti sono i problemi dell’economia valdostana, il quadro delle nostre partecipazioni regionali era drammatico nel 2003 ed è divenuto tragico nel 2005. Né, ad oggi, Casinò docet, abbiamo motivo di pensare che nel 2007 la situazione sia migliorata.
Nel 2003 solamente il 47% delle società pubbliche valdostane controllate produceva utili, nessuna era in pareggio e perciò il 53%, oltre la metà, chiudeva il bilancio in perdita. Diciamo subito che questo dato era già molto negativo, comparandolo sia con la media nazionale (60% di società pubbliche in utile), sia con quella del Centro-Nord (62%), sia infine con la media del Sud (51%). A parte la pecora nera, il Molise (13% di società in utile), eravamo in zona retrocessione che vedeva la Sardegna con il 46% e la magnifica terna Basilicata, Calabria e Valle d’Aosta (47% appunto). Pronti per il terzo mondo, insomma.
Mentre negli anni successivi tutte le regioni più disastrate hanno cercato di porre rimedio ed hanno migliorato, la Valle d’Aosta nel 2005 era sprofondata ancora di più: 68% di società pubbliche in perdita (il 23% in più del 2003…!), penultima solo perché il Molise, che da un fallimentare 88% nel 2003, pur migliorando decisamente (+13%), si teneva la maglia nera con il 75%. La media nazionale è migliorata, la media del Centro-Nord è migliorata di poco, quella del Sud è peggiorata di un punto, La nostra Valle, grazie alle dissennate politiche economiche dei suoi amministratori, è crollata di altri quindici punti!
A parte pochi esempi di successo (il più brillante è CVA, alla quale peraltro si sta mettendo mano…) questo è il quadro del fallimento della politica di Finaosta e dell’assessore alle partecipazioni regionali Aurelio Marguerettaz. Una volta eravamo il socialismo reale che funziona, ci stiamo avviando a diventare il socialismo reale che, come gli altri, non funziona e fallisce. E’ essenziale che questa Regione inizi a destinare parte delle grandi risorse di cui dispone ad una riconfigurazione di tutto il comparto produttivo, liberando energie per il mercato, mollando il cappio che sta soffocando l’economia privata e le impedisce di crescere. Mantenendo le attività private gracili e in costante crisi di astinenza da contributi si rafforza la rete di un omnipervasivo controllo politico, ma si porta questa Valle alla rovina.
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