La tornata elettorale si è conclusa con non poche sorprese, sia nella nostra Valle, sia nell’insieme del Paese. Si è prodotta, nella situazione italiana, quella svolta che ci si aspettava già nel 2006, dopo che un referendum aveva cancellato il sistema proporzionale per sostituirlo col maggioritario. Maggioritario che, anziché ridurre i partiti li aveva moltiplicati, rendendo ancora più complicato il sistema politico. Il numero dei partitini e la loro smania di essere sempre visibili avevano reso la vita politica un continuo susseguirsi di contrasti, di «distinguo» e di incapacità di decidere. Questo ha profondamente deluso gli Italiani. E’ stato un malessere generale che ha accompagnato tutta l’esistenza del Governo Prodi, che pur governando con oculatezza economica, ha dato l’impressione di essere paralizzato dall’intolleranza ideologica dell’estrema sinistra.
In questa situazione, dobbiamo proprio a Veltroni e alla sua scelta di «correre da solo» la semplificazione del quadro politico che consentirà, speriamolo, una migliore governabilità dell’Italia. Per ora è solo un’impressione, ma mi sembra di poter dire, sintetizzando al limite del paradosso, che se nel 2006 il principale scopo delle due coalizioni era quello di sconfiggere l’avversario, nel 2008 si è maggiormente puntato su una proposta di governo. Non è un salto da poco: sul piano culturale i due schieramenti escono entrambi più compatti e più credibili. Si sono criticati tanto i partiti, ma è proprio dal loro rinnovamento e dalla formazione culturale dei loro dirigenti che può venire il rinnovamento di tutto il Paese. In questa visione, se tale aspetto dovesse consolidarsi avremmo comunque fatto un gran passo avanti, chiunque avesse vinto le elezioni.
Ha vinto Berlusconi, che ha saputo coagulare attorno a sé la destra, facendola rientrare a pieno titolo nell’alveo democratico. Bertinotti ed i suoi escono di scena dopo aver provocato per ben due volte, direttamente o indirettamente, la caduta di un governo capeggiato da Prodi. Paladina del fondamentalismo laicista, la sinistra radicale è stata la testa d’ariete di tutte le battaglie che hanno tentato di scardinare i valori morali della famiglia, negandone la funzione sociale ed equiparandola ad altre forme di convivenza, dove viene escluso a priori qualsiasi impegno verso la società. L’odio verso il cristianesimo, condiviso purtroppo da altri settori più salottieri, non ha pagato: nessuno di coloro che hanno dato copertura ideologica ai facinorosi che hanno impedito al Papa di parlare alla Sapienza siede in Parlamento.
Tra gli obiettivi che si è dato il Partito Democratico vi è anche quello di cercare una sintesi tra valori laici e cattolici; speriamo di non assistere più alle battaglie dove ognuno ascolta se stesso e non riconosce all’altro il diritto di parlare. Si dovrà necessariamente passare attraverso un «ascolto dell’altro», che rifugga dalla dichiarata volontà di considerare laicità l’assenza di ogni religione o valore morale. E’ invece proprio la presenza di valori etici condivisi la garanzia di una vera laicità. E il risultato elettorale, che in prima battuta ha segnato una sconfitta per il PD, in una opposizione seria e costruttiva potrebbe invece indicargli la via per il suo consolidamento ideale e culturale, condizione indispensabile per renderlo protagonista di una vera democrazia dell’alternanza.
A destra vi è la sorpresa della Lega, che ha sostituito la sinistra nel raccogliere il disagio delle classi più in difficoltà: in certe aree del Nord-est i voti sono proprio passati direttamente dall’estrema sinistra alla Lega, che ha saputo salire, nella strategia politica e nel contatto con la gente, quei gradini che ha disceso la sinistra radicale. Mentre ha retto, nonostante la difficile situazione, l’Unione di Centro guidata da Casini, assieme alla Rosa Bianca di Pezzotta e Tabacci, due grandi intelligenze del mondo cattolico che potranno sicuramente mettere a frutto la loro presenza, basandosi sulla forza culturale che viene dai loro ideali e dalla loro preparazione.
E in Valle? Forse non è ancora arrivata l’onda d’urto del cambiamento che ha toccato il resto del Paese, ma qualcosa è cambiato. Il risultato di sostanziale parità dei due schieramenti impone innanzi tutto di presentarsi uniti di fronte al Parlamento nella difesa degli interessi regionali. Ma non solo per «giocare in difesa»: anche nel governo della nostra «Petite Patrie» è auspicabile che dalle elezioni del 25 maggio venga fuori un assetto culturalmente più elevato, nel quale gli schieramenti concorrano, nel rispetto dei rispettivi ruoli, alla soluzione dei problemi concreti, rinunciando ad usare quegli stessi problemi come pretesto per contrastare lo schieramento avverso.
La Valle d’Aosta ne ha bisogno, sia per il suo sviluppo economico e sociale, sia soprattutto per recuperare, dalla sua secolare tradizione, quella forza morale e quei valori etici di solidarietà e di attaccamento alla propria terra che il compianto Canonico Giovanni Domaine ci ha splendidamente sintetizzato nella bellissima canzone O ma verda Vallaye: «Lo Bon Dzeu, lo terroir, notra mama son la force de no valdoten!». Come cattolici, senza pretendere di dettare condizioni al mondo politico, per l’affermazione di quei valori siamo pronti a collaborare con tutti.
Roberto De Vecchi
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