7 settembre 2009

«Come ho fatto io, fate anche voi. Una comunità che pratica la carità»

Sull'Avvenire in edicola ieri c'era un'intera pagina dedicata alla festa di San Grato. In particolare un mio articolo si occupava della lettera pastorale del Vescovo che oggi in Cattedrale sarà consegnata a tutta la comunità diocesana attraverso i suoi presbiteri.
Propongo ai visitatori del mio blog il testo dell'articolo uscito sul quotidiano cattolico. Gli abbonati del Corriere invece riceveranno la copia di Avvenire nelle loro case e chi è andato a messa domenica dovrebbe averne trovata una copia gratuita in gran parte delle parrocchie della Diocesi. 
Sul sito della diocesi è possibile scaricare il testo integrale. Cliccate qui. Gli abbonati del Corriere lo leggeranno come sempre all'interno del settimanale accompagnato da un mio articolo (più ampio di quello uscito su Avvenire) che illustra i temi più importanti della lettera. Inoltre sul Corriere sarà possibile leggere quasi integralmente l'omelia che Mons. Giuseppe Anfossi pronuncerà oggi in Cattedrale durante la funzione che inizierà alle 9,30. Nel pomeriggio, alle 16,30, ci saranno i Vespri. Radio Proposta in Blu trasmetterà la celebrazione in diretta facendola precedere da una serie di interviste.

«Come ho fatto io, fate anche voi. Una comunità che pratica la carità». Questa volta è il Vangelo di Giovanni, quando Gesù lava i piedi ai suoi discepoli (nella foto potete vedere l'immagine scelta per l'Anno pastorale 2009-2010. Museo del Tesoro della Cattedrale di Aosta, pannello ligneo del XIII sec. con le scene della vita di Cristo, riquadro della lavanda dei piedi), ad aver ispirato la lettera pastorale di Mons. Giuseppe Anfossi alla comunità diocesana. Così il prelato tratteggia l’obiettivo dello scritto. «Quest’anno desidero mostrare che nella vita di ogni comunità cristiana la Carità dovrebbe avere lo stesso posto che hanno la Parola di Dio e la Liturgia». Il Vescovo vuole provare a rispondere ad una precisa domanda: cosa vuol dire per noi far parte di comunità nelle quali la carità è vissuta e praticata? Il suo è un invito concreto che si rivolge prima di tutto ai fedeli che hanno responsabilità di tipo istituzionale o professionale non mancando però di sottolineare come queste parole raggiungano ogni cristiano che voglia essere un buon cittadino. «L’appello è semplice, - scrive - ma impegnativo: si tratta di lavorare veramente al servizio del bene comune, di mettere in atto piani di lotta alla povertà intervenendo sulle cause che la producono e di costruire una società giusta e solidale».
Ma chi sono i protagonisti della carità nella comunità cristiana? «Potremmo rispondere: tutti i cristiani. – osserva il prelato - La risposta è giusta, ma forse è bene articolare il discorso, perché parlare di carità e di persone che, vivendo in una comunità cristiana, si sforzano di prendere esempio da Gesù che lava i piedi ai suoi discepoli chiede che si riscopra la radice profonda dell’amore a cui sono chiamate. In omaggio all'Anno sacerdotale desidero partire dai pastori, ben sapendo che molto di quanto dirò può applicarsi anche a tutti i fedeli, con i dovuti aggiustamenti». E così Mons. Anfossi nella sua lettera descrive il sacerdote come «uomo di relazione». « Il suo servire il popolo nasce da relazioni di fede e vive di relazioni che sono insieme umane e spirituali».

Due le piste di lavoro che qualificano una comunità che voglia praticare la carità. «La prima – spiega - tocca il cuore o l’animo interno con cui ci mettiamo in relazione con gli altri. E’ molto importante avere cura delle relazioni, come ho tentato di dire spesso, soprattutto nelle visite pastorali. Per fare questo occorre innanzitutto ridare posto a Dio nella vita privata e pubblica. (…). I tipi di relazione che metto sotto il vostro sguardo in modo privilegiato sono i rapporti familiari. So che tocco un problema delicato perché sono sempre più numerose le famiglie divise e ricomposte. Desidero naturalmente dire che tutte le relazioni, anche le ricostruite, hanno bisogno di cura oltre che di perdono».
La seconda pista di lavoro riguarda invece l'educazione e il Vescovo fa due precise osservazioni. «La prima raccomandazione è un invito rivolto a chi è genitore – preferibilmente in coppia – a lasciarsi coinvolgere maggiormente nel rapporto con i figli fin dai primi anni d’età e a coltivarlo in continuità diventando per loro non un amico, ma un adulto significativo. E’ buona regola che uno dei due genitori prima di intervenire con i figli e prima di definire una regola di condotta e di permessi si confronti con l’altro, e quindi il marito con la moglie. Questa regola vale anche per i genitori separati a condizione che conservino un rapporto civile e leale per il bene dei loro figli. Il genitore non pensa a se stesso, non deve aver paura di perdere il figlio e perciò assecondarlo in tutto: il genitore ha un proprio punto di vista su ogni situazione e su ogni questione, pur essendo disponibile a discuterlo con il figlio».

Il vescovo evidenzia poi un altro un errore tipico del nostro tempo: «togliere dalla vita dei ragazzi e dei giovani ogni fatica, ogni impegno a lunga durata e ogni sofferenza». «L’errore si aggrava – commenta - perché il contesto culturale e sociale della nostra società non obbliga mai i ragazzi a rimandare nel tempo un desiderio, un bisogno o un capriccio. La conseguenza è evidente: i nostri giovani non sono preparati ad affrontare le difficoltà normali della vita; chiedendo soddisfazione subito e sempre, sembrano non trovare quasi mai nella vita gioia, ma più spesso fastidio e noia. Un altro esito è la convinzione che è triste, pesante e inutile sacrificarsi per sé o per gli altri».

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