13 febbraio 2011

Chiedimi se sono Felice...



Ti sottopongo l'editoriale che ho scritto per il Corriere della Valle attualmente in edicola. Mi piacerebbe sapere che cosa ne pensi.

Sono in aumento gli economisti che vogliono mandare in pensione il Pil, sempre meno utile a dare l’idea dello stato di salute di un’economia; talvolta perfino maldestro anche nel segnalarne lo sviluppo visto che paradossalmente le catastrofi naturali sono uno degli elementi che maggiormente ne favoriscono la crescita. Perfino la crescita della litigiosità aiuta il Pil con certi compensi vertiginosi agli avvocati.
Ma di certo tutto questo non è sintomo di un’esistenza felice.

Oggi sempre più invece ci si interroga sull’importanza dei «beni relazionali», e su come fare affinché pesino nello stabilire lo sviluppo di un paese. Anche valori come democrazia e cultura devono contare qualcosa. Perfino la pubblicità (che ha spinto al limite dell’impossibile i nostri bisogni tanto che ci sentiamo più poveri se non possediamo l’ultimo modello di telefonino) se ne è accorta e una nota carta di credito gioca sul fatto che ci sono beni per i quali il denaro non serve, ma per tutto il resto...

Oggi, insomma, per la prima volta, si inizia a costruire ragionamenti intorno alla cosiddetta «economia della felicità», che non è l’apoteosi del consumismo. Anzi. La sobrietà ci aiuta a porre alla giusta distanza bisogni e necessità finanziaria, cogliendo con chiarezza l’esistenza di tantissimi beni che non necessitano di essere monetizzati. Sono riflessioni che si possono trovare in testi, tutt’altro che ispirati da una visione religiosa, da cui però emerge come la tenuta della famiglia costituisca ancora un bene primario. Anche se spesso vogliono convincerci del contrario.

Del resto se ciascuno pensa alla sua personale esperienza non può non percepire come profondamente vera questa considerazione. Ecco perché, anche dalle colonne di questo settimanale, si chiede, ad esempio, un fisco più a misura di famiglia; ecco perché – come sottolinea Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari – non possiamo non dirci inquieti di fronte a scelte politiche che disegnano una società in cui si sta un po’ giocando in difesa «dove i meccanismi di protezione sociale garantiscono lo “status quo”» senza preoccuparsi di alcune fasce in forte difficoltà, «in particolare giovani e famiglie con carichi familiari».

Ecco perché serve un nuovo paradigma dove non soltanto la solidità del tessuto imprenditoriale, ma pure la tenuta dei nuclei famigliari diventino volani di uno sviluppo che non si misura soltanto con il Pil. Come in quel film domandiamo agli economisti prima di chiudersi nella torre d’avorio della loro matematica finanziaria di farci una sola domanda: «chiedimi se sono felice…».

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