Dal sito dell'Institut Agricole |
Del resto i numeri parlano chiaro. In dieci anni (il precedente censimento si era svolto nel 2000) le aziende sono calate del 41,25%: da 5981 a 3520. E anche accogliendo il suggerimento di Ceccarelli a prendere come dato di riferimento la superficie utilizzata dall’impresa il calo si attesta comunque intorno al 22,3%. Una differenza di velocità che perlomeno certifica l’aumento della superficie media aziendale, riducendo la frammentazione, passata dagli 11,91 ettari del 2000 ai quasi 16 ettari del 2010.
«E’ il processo che abbiamo rilevato anche noi - ha commentato il direttore della Coldiretti Ezio Mossoni, - le aziende agricole si stanno strutturando dal punto di vista economico e si avvicinano ad una gestione senza dubbio più imprenditoriale che in passato». Luci e ombre. Come già da tempo certificato da Banca d’Italia a calare in maniera significativa è il comparto zootecnico che, comunque, ancora oggi contribuisce per oltre due terzi al valore della produzione del settore primario.
Gli allevamenti erano 2811 nel 2000 e sono 1367 nel 2010. I bovini svettavano a quota 38.888 e in un decennio sono scivolati a 32.953. In controtendenza caprini e ovini dove pur in presenza di una diminuzione delle aziende sono aumentati i capi: le aziende dove si allevano pecore sono oggi 129 (169 nel 200) e i capi sono passati da 2.216 a 2.256; quelle dove ci si occupa di capre sono scese da 282 a 224, mentre le capre hanno fatto il percorso inverso: da 3.399 a 3.528.
Un quadro tutt’altro che consolante, anche se non inatteso su cui la Giunta prevede di lavorare con attenzione. «Quanto ci ha fornito il censimento regionale - ha commentato Giuseppe Isabellon, assessore regionale all'agricoltura - sarà oggetto di analisi e valutazioni utili alla redazione dei prossimi piani di sviluppo del comparto».
Il tempo, tuttavia stringe, e un primo aiuto al settore sta arrivando dagli enti locali. Il CELVA, guidato da Elso Gerandin, intende portare avanti un progetto denominato “In mensa a km zero”, che nasce dalla volontà degli amministratori valdostani di promuovere i “saveurs du pays”, al fine di valorizzare la produzione locale, sostenere l’economia valdostana e diffondere una maggiore conoscenza del territorio. Il progetto si pone l’obiettivo ambizioso di introdurre in tutti i servizi di somministrazione di alimenti gestiti dagli enti che aderiranno all’iniziativa (quali le mense scolastiche, i servizi per gli anziani e l’assistenza domiciliare sul territorio) almeno il 70 % di alimenti di produzione locale, quali ad esempio le carni, i prodotti lattiero-caseari, il pane, il miele, gli ortaggi, i succhi e le confetture di frutta.
Le opposizioni sono preoccupate da un quadro che non esitano a definire «desolante» e evidenziano forti responsabilità in capo a chi guida l’assessorato. «Le politiche attuali, se fossero applicate – commenta Albert Chatrian (Alpe) - così come descritte sulla carta, potrebbero anche ricevere un nostro giudizio positivo. Ma così non è. Nonostante gli strumenti, attraverso cui si attuano le politiche regionali di sostegno al settore agricolo, contengano nelle loro finalità tanti buoni propositi, analisi di contesto, strategie di sviluppo, obiettivi di peso da raggiungere, nonostante i capitoli di bilancio dedicati al settore agricolo continuino ad essere abbastanza importanti, la dura realtà dei fatti ci dimostra ogni giorno che si naviga a vista, che manca totalmente la regia. La pianificazione, all’Assessorato agricoltura, è una parola svuotata di ogni significato. Ciò che non demorde invece è la burocrazia, la pesantezza delle procedure, la moltiplicazione degli sportelli e degli uffici competenti, l’incapacità di spendere le risorse. Nel 2010, ad esempio, a fronte di 61 milioni di fondi per investimenti impegnati dal Dipartimento Agricoltura, solamente 14 sono stati liquidati ai beneficiari». (Pubblicato sul Sole 24 Ore Nord Ovest del 27 Luglio)
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