7 settembre 2011

Buon San Grato a tutti!


Da sinistra il vicario generale don Franco Lovignana, Mons. Giuseppe Anfossi e l'autore di questo blog
 Per celebrare San Grato, il patrono della Diocesi (messa oggi in Cattedrale alle 9,30 con diretta su Radio Proposta in Blu) ti propongo il mio articolo, pubblicato sul quotidiano Avvenire in cui riassumo i contenuti della nuova lettera pastorale del Vescovo che verrà consegnata oggi alla comunità diocesana. Per saperne di più acquista il Corriere che troverai in edicola questo venerdì.

Famiglia diventa comunità credente ed evangelizzante! La nuova lettera pastorale del Vescovo di Aosta, Mons. Giuseppe Anfossi, si pone in perfetta continuità con quella dello scorso anno «Priscilla e Aquila, miei collaboratori in Cristo (Rom 16, 3)». L’invito è chiaro «dedicare ancora intelligenza, affetto e discernimento spirituale ai problemi degli sposi e delle famiglie», aiutandoci con un modello ed un testimone caro alla Chiesa e ai valdostani: il Beato Giovanni Paolo II, in occasione della ricorrenza del 25° anniversario della visita del Santo Padre alla Diocesi di Aosta. Il titolo è tratto dalla Familiaris consortio, l’enciclica dedicata dal papa polacco alla famiglia. Una scelta che crea un ponte anche con l’anno prossimo visto che il 3 giugno 2012 si terrà a Milano il VII Incontro Mondiale delle Famiglie, iniziativa sempre voluta dal Papa polacco. Sono tre i punti che il Vescovo chiede di approfondire in questo nuovo anno pastorale.
Il primo è il lavoro con il pensiero, il cuore e l’azione per far nascere dei buoni matrimoni e per mantenerli vivi. «Per questo – si legge nella lettera - occorre  migliorare i percorsi di preparazione al matrimonio, curare la formazione di gruppi adulti, se possibile anche di gruppi famiglia e promuovere altre iniziative in favore dei giovani sposi, degli sposi genitori dei bambini e dei ragazzi del catechismo, degli oratori e dei gruppi giovani, e altro come, ad esempio, una pastorale delle giovani coppie».
Il secondo induce le comunità cristiane «a sentirsi immedesimate nella maternità della Chiesa e ad inventare segni concreti che la manifestino, sia pure senza compromessi, in particolare nei confronti degli sposi che vivono (e spesso con sofferenza), il dramma della separazione». Per il Vescovo non deve essere il compito di qualcuno che se ne incarica con la paura di esporsi o di incontrare una certa indifferenza, «ma una sensibilità condivisa di più da tutta la comunità. Non si risolve neppure con la sola organizzazione di gruppi di preghiera e di incontri rivolti a questi fratelli e sorelle, cosa però che auspico».
Il terzo punto è il fenomeno delle convivenze giovanili. Dopo aver tracciato un’analisi del fenomeno dal punto di vista sociologico il Vescovo non esita a far notare come la convivenza sia fondamentalmente dovuta alla paura, al timore del futuro, alla mancanza di fiducia. «Chi ha fede – scrive - è certamente consapevole della sua debolezza e del suo peccato e delle incertezze anche economiche del tempo che viviamo, ma ciononostante invoca la grazia di Dio perché ‘salvi’ il suo amore coniugale e lo difenda da ogni fragilità e incertezza. Nella convivenza è presente quindi la previsione delle difficoltà e del fallimento che si traduce nella libertà mantenuta di comune accordo di lasciarsi senza troppo dolore, senza difficoltà burocratiche e senza strascichi di cattiveria». Il Vescovo però si dice fortemente inquietato dalla strana leggerezza con cui i giovani oggi entrano nella convivenza: «la danno come normale, non è discussa né approfondita, e ci scivolano dentro senza una seria riflessione». Un fatto che il Vescovo contesta con decisione «A mio modo di vedere sono molti i problemi ai quali i giovani rischiano di non dedicare tempo, intelligenza, discussione e progetto: il futuro politico ed economico del mondo, la povertà e la ricchezza, il terzo mondo e i profughi, il mondo dei valori, la legalità o l’illegalità … E questo del matrimonio e della famiglia (quale famiglia?) è uno non di poca importanza». Mons. Anfossi però scrive anche di dover «rimproverare prima me stesso, gli adulti della mia generazione e la Chiesa perché i luoghi della discussione offerti ai giovani non ci sono o sono estremamente limitati o deresponsabilizzanti. Si può fare di più forse nella scuola, nella comunicazione sociale, nella vita politica e istituzionale … e nella Chiesa?».

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