29 aprile 2014

#Cia: diminuzione capi monticati


La sezione valdostana della Confederazione italiana agricoltori, guidata da Gianni Champion, ha diffuso una nota legata alla diminuzione di capi monticati 2012-2013 che volentieri ospito nel blog.


La pratica dell'allevamento ad alta quota, con la conduzione di alpeggi e mayen, garantisce la salvaguardia della montagna su più piani: da una parte vi è il discorso economico, con la realizzazione di prodotti unici (filiera latte in primis), dall'altra vi è il discorso estetico ed ambientale, con il mantenimento del paesaggio. Le nostre “bovine delle Alpi” sono la chiave di volta per garantire un futuro equilibrato alla nostra regione di montagna. E proprio su questi animali di razza valdostana si stanno concentrando gli sforzi per il loro mantenimento e valorizzazione. Sforzi che si basano sulla prosecuzione e il rispetto di un sistema di allevamento tradizionale, se con questo aggettivo si intende un corretto passaggio di consegne da una generazione all'altra, mantenendo i principi di buon senso e migliorando le tecniche e gli strumenti. In questo caso è la transumanza ad essere sotto osservazione: i nostri bovini passano circa 5-6 mesi in stabulazione, per poi “inseguire l'erba”, partendo dal fondo valle fino ad arrivare a duemila e più metri di altitudine.

Nel corso di redazione del documento di lavoro intitolato “Programma di valutazione del benessere degli animali nelle aziende zootecniche della Valle d'Aosta”, AREV, ANABORAVA, COLDIRETTI e Confederazione Italiana Agricoltori (CIA) si sono imbattuti in cifre significative relative alla monticazione: in particolare, dal 2012 al 2013 è emerso un calo di circa tremila capi, ossia tremila animali che, rispetto al 2012, non sono stati mandati in alpeggio. E non si tratta di un calo fisiologico, dovuto ad una diminuzione degli animali allevati. Dall'ultima assemblea AREV è emerso addirittura un aumento di soggetti (34.110 nel 2012 a 35.272 nel 2013). Abbiamo quindi tremila capi che in estate sono rimasti in piano, come si dice in gergo.
Le cause sono sicuramente riconducibili alla crisi e non ad un'improvvisa pigrizia dei nostri allevatori: mandare in montagna il giovane bestiame costa, così come il trasporto su gomma. Molti conduttori di azienda decidono quindi di gestire il proprio bestiame anche durante l'estate, magari sfruttando quei pascoli difficilmente raggiungibili per lo sfalcio.

Ma vi è anche chi decide di prolungare, se non stabilizzare, la stabulazione. Se il nostro vanto finora era quello di poter vantare allevamenti di media-piccola dimensione, gestiti a livello famigliare, con un rapporto uomo-animale privilegiato, con bovine in movimento, adesso il rischio è che le nostre aziende di stampo alpino tenderanno ad assomigliare sempre più alle aziende di pianura, con tutte le conseguenze annesse e connesse.

Il direttivo della CIA auspica che le cifre sopra indicate siano solo un piccolo campanello d'allarme e che gli allevatori valdostani continuino a pascolare le proprie mandrie, anche se questo diventa sempre più difficile, tra i costi sopra citati e le difficoltà nel percorrere la maggior parte delle strade carrozzabili.

Ma dobbiamo essere consapevoli che questo sistema di allevamento ci rende unici, che le bovine da noi allevate possono salvarci dall'omologazione e dalla conseguente sparizione. Non abbiamo numeri per competere con le grandi aziende ad allevamento intensivo: dobbiamo quindi puntare sulla qualità e sulla tipologia dei nostri allevamenti. L'elevata capacità locomotoria, con l'andatura “svelta, sciolta e sicura” citata dal Libro Genealogico delle razze valdostane, l'adattamento ai climi difficili sono solo alcune delle caratteristiche sviluppate dalle nostre bovine nei secoli: se iniziamo a tenerle al chiuso, queste caratteristiche spariranno a lungo andare e noi non potremo più vantare l'unicità che ci può salvare, e che è alla base dei nostri prodotti, e del prodotto Valle d'Aosta in toto.

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