Sul tema dell'etichetttatura dopo il post ufficiale di Coldiretti ospitiamo anche un intervento di Ezio Mossoni, fino a pochi mesi fa direttore di Coldiretti, oggi Delegato confederale di Coldiretti, che dalla scorsa settimana ha iniziato a collaborare con il Corriere della Valle. I suoi interventi saranno anche ospitati sul blog ImpresaVda.
Las corsa settimana è scaduto il
termine, i classici 90 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, (
19 gennaio), per l’entrata in vigore della disposizione interministeriale
relativa alla indicazione dell’origine in etichetta della materia prima per il
latte e i prodotti lattiero caseari. L’entrata in vigore della norma, in
effetti, non è completa perché il decreto stesso indica in 180 giorni il
termine in cui ci si dovrà adeguare per yogurt e formaggi, dovendo provvedere –
questa filiera – allo smaltimento del sistema di etichettatura precedente e
anche per tenere conto del processo di stagionatura.
Intanto possiamo dire che il
latte a lunga conservazione si uniforma, da subito, – a livello di trasparenza
– con le procedure che riguardano il latte fresco, ricordiamo, già
“etichettato” dal 2005.
L’Italia è tra i maggiori
importatori mondiali di latte. Ogni giorno si stima siano circa 24 milioni di
litri a varcare le frontiere tra latte, cagliate, semilavorati imbustati o
trasformati che erano pronti ad assumere la marca o il nome dell’ultimo
trasformatore e che – in mancanza di tracciabilità – diventavano, nell’immaginario
del consumatore, “Made in Italy”. Ora
l’indicazione dell’origine – che si applica al latte vaccino, ovicaprino e
bufalino e ogni altra origine animale – prevede l’utilizzo, in etichetta, delle
diciture “Paese di Mungitura” e “Paese di Confezionamento e trasformazione”. Gli obblighi relativi
potranno essere assolti indicando il
nome del Paese, oppure se il latte proviene da più Paesi, con la dicitura
“latte paesi UE” per quelli europei, oppure “ latte paesi non UE”.
Si tratta di un ulteriore processo
di trasparenza per i consumatori e di una norma a tutela della produzione
nazionale. Non è certo volontà del mondo agricolo bloccare le importazioni –
ricordiamo che la produzione nazionale è destinata, in gran parte, alla
produzione dei 49 formaggi dop e dei ben 487 formaggi tradizionali, ma
eliminare dal mercato le distorsioni provocate da latte estero prodotto a
costi, e qualità bassi, che vengono “spacciati” per prodotti dell’allevamento nazionale.
Naturalmente il latte non è il
solo prodotto sottoposto a tale circostanza, dalla legge 204 del 2004 molti
passi sono stati fatti – oltre al latte fresco sono tracciati la carne bovina e
di pollo, frutta e verdure fresche, uova, miele, passata di pomodoro, pesce,
extravergine di oliva, ma restano ancora fuori la carne di maiale e, quindi,
tutti i salumi – due prosciutti su tre sono stranieri - la carne di coniglio,
quella trasformata, frutta e verdura trasformata compresi i succhi e le
marmellate, tutti i derivati del
pomodoro diversi dalla passata, mentre sono in via di itinere i decreti per la
pasta – un pacco di pasta su tre è fatto con grano straniero - e sul riso, prodotto che subisce importazioni
da tutto il mondo e che viene, regolarmente, spacciato per nazionale.
Coldiretti, che sull’etichettatura
ha fatto una battaglia incessante, sostiene che il processo di trasparenza è ulteriore elemento a
disposizione del consumatore che potrà, più informato, fare le proprie scelte in
maniera consapevole valutando la qualità dei prodotti e il rapporto con il
giusto prezzo. Gli agricoltori, per contro, vedranno valorizzato il loro
prodotto da quelle imprese agroalimentari che intendono puntare sul “Made in
Italy”.
Ezio Mossoni
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