11 febbraio 2011

Il Giornale non è la sua Carta, Parola di Luca De Biase

Siccome ho scoperto che un nutrito numero di fan (numerosi quasi come i lettori del Manzoni) attende un mio post notturno (del resto di giorno chi diavolo ce la fa tra Corriere e Radio Proposta, mica sono supermen!!!) sulla chiacchierata con Luca De Biase (di Paolo Conta mi occuperò in seguito) sul tema «Dalla carta all'eBook», per non scontentarli, ma allo stesso tempo per non fare le ore piccole, mi limiterò a due regali.

Il primo è un post (del 2006) tratto dal blog di De Biase dal titolo «Chi ha ucciso i giornali?!?». Non lo riporto integrale ma è già sufficiente per esprimere alcuni dei concetti centrali illustrati nel corso della chiacchierata.
Molto altro potete trovare sul suo blog che vi consiglio di visitare.

Il secondo regalo è soprattutto per chi non c'era. Si tratta del video che ho proposto in visione alla sala.
Il titolo è «Ecco perchè un iPad non potrà mai sostituire un giornale...».
Dimenticavo. Lo spazio commenti è a tua disposizione per dirmi le tue impressioni su questo secondo appuntamento..

Chi ha ucciso i giornali?!?

L'Economist riporta una previsione secondo la quale i giornali spariranno entro il 2043. Io avrò 87 anni allora e l'avrò sfangata. Ma che cosa vedrò tra ora e quell'anno? Un triste declino, una gioiosa rivoluzione, o una sordida trasformazione? (...) 



Mi sono fatto alcune ipotesi interpretative:

1. Il giornale non è la sua carta
2. Gli editori tradizionali sono il cuore del problema
3. Il rapporto con il pubblico attivo è strategico

In particolare:
1. Distinguere. La carta è un medium e non coincide col concetto di giornale. La carta ha la sua dinamica, i suoi costi e i suoi vantaggi. Finirà, forse, ma il giornale non finirà necessariamente con lei. Il giornale non è la sua carta: è la redazione, la testata, il rapporto che ha costruito con il suo pubblico, la sua visione, la sua interpretazione dei fatti, la sua competenza. E il giornale non è neppure il suo editore.
2. Gli editori tradizionali sono il problema centrale. Possono puntare ai profitti immediati e portare i giornali alla crisi del 2043, restringendo la loro strategia alla riduzione dei costi e alla difesa delle posizioni. Possono essere pessimi se non fanno che sfruttare le posizioni acquisite senza innovare. Ma possono anche funzionare se: guardano al rapporto di lungo termine con il pubblico, pensano in modo crossmediale, riorganizzano la raccolta pubblicitaria per i contenuti generalisti e sviluppano nuovi contenuti da vendere, investono sulla competenza delle redazioni, la credibilità delle testate, la relazione costruttiva con il pubblico, la libertà di interpretazione.
3. Lo sviluppo incontenibile del pubblico attivo è un'opportunità fondamentale. La strategia dei giornali, dei giornalisti, degli editori, si deve ridefinire in modo da tener conto che una relazione costruttiva con il pubblico attivo genera ricchezza e qualità. La distinzione dei ruoli non sarà messa in discussione da nessuno. Ma la collaborazione, la conversazione, l'apertura dei giornali, la consapevolezza delle qualità del pubblico attivo finirà per essere la chiave per far diventare gli anni che restano da qui al 2043 una simpatica rivoluzione. Il mondo dei blog è il primo laboratorio nel quale sviluppare questa innovazione.

Non sarà per tutti lo stesso. I giornalisti e i giornali avranno molto da imparare. Ma questo è l'unico motivo per cui è bello fare il giornalista: si lavora per imparare.


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