8 maggio 2011

Lettera (di un Valdostano) da Barcellona - Catalunya: 28° Stato dell'Unione Europea

Come promesso ecco la prima puntata dell'annunciato «Lettere da Barcellona» di Federico Martire, universitario valdostano in terra iberica dove sta portando a termine il suo Phd. 


La Spagna intera aspetta con trepidazione le elezioni autonomiche e municipali del 22 maggio prossimo, una tornata elettorale che, sebbene non avrà riflessi sul Parlamento statale, le Cortes Generales, sicuramente produrrà effetti sulla politica del paese iberico e potrebbe segnare la fine anticipata dell'era Zapatero, attuale primo ministro che ha comunque annunciato di non volersi ripresentare nel 2012.

Tutta la Spagna aspetta, dunque. Tutta o quasi. Perché in Catalunya, terra notoriamente percorsa da fremiti indipendentisti sin dalla nascita del Regno, l'attenzione è rivolta altrove. Non si tratta della finale di Champions League che vedrà impegnato il Barça, tuttavia. E non è neppure dovuto al fatto che le elezioni autonomiche nella Comunità si sono già svolte lo scorso autunno, riportando al governo i nazionalisti catalani di Convergencia i Uniò (CiU) di Artur Mas. La ragione è, invece, le consultazioni popolari sull'indipendenza della Catalunya. Un referendum alegale, nel senso che non è illegale ma che neppure produrrà effetti vincolanti per lo Stato spagnolo, iniziato il 13 settembre 2009 nel piccolo comune di Arenys de Munt e che è andato poco a poco crescendo anche nelle municipalità più grandi, sino a raggiungere il climax a Barcellona lo scorso 10 aprile. L'iniziativa, pressoché unica nel suo genere in Europa, è stata promossa dalla Coordinadora Nacional per la Consulta sobre la Independència, un'associazione politica apartitica che si pone quattro semplici obiettivi: favorire il raccordo tra le varie piattaforme indipendentiste catalane, favorire la partecipazione democratica dei cittadini, promuovere la realizzazione di un referendum istituzionale sull'indipendenza della Catalunya e raccontare al mondo che la nazione catalana è pronta a esercitare il proprio diritto all'autodeterminazione.

I risultati, finora, danno ragione agli organizzatori: circa 200 comuni della Comunità Autonoma hanno aderito all'iniziativa, contro solo 36 che si sono dichiarati contrari, quantunque questi ultimi siano in maggior parte le municipalità costiere maggiormente popolate. Alle consultazioni hanno partecipato, a tutt'oggi, quasi 900mila persone, circa il 21% di quelle potenzialmente interessate. Un risultato indubbiamente ragguardevole, soprattutto che si considera che le consultazioni non hanno ricevuto supporto istituzionale (sono state interamente condotte dalla Coordinadora e da volontari locali) e che l'affluenza alle ultime elezioni catalane è stata inferiore al 60%. La partecipazione, inoltre, ha raggiunto percentuali ben oltre il 50% in svariati comuni, toccando punte del 70% nelle zone più interne della Catalunya. 
I risultati, ovviamente, premiano gli indipendentisti, con i 'sì' alla secessione che si assestano, al momento, al 92,2% e sono stati validati da esperti osservatori internazionali, tra cui anche l'ex presidente della Valle d'Aosta Robert Louvin che – a seguito della partecipazione ai referendum a Vilanova i la Geltrú, Vilafranca del Penedès eL'Arboç – definì le consultazioni "un punto di riferimento per il futuro della democrazia europea".

I referendum, ad ogni modo, non si sono ancora conclusi – l'obiettivo dei promotori è di coinvolgere tutti i comuni catalani – ma gli effetti si fanno già sentire. E se i media spagnoli tendono, erroneamente, a sottovalutare la vicenda, all'estero le voci a favore sono molteplici, soprattutto in altre nazioni senza Stato come la Scozia, il Galles, i Paesi Baschi e le Fiandre, e hanno raggiunto anche l'Italia, con reazioni positive in Valle d'Aosta (vedi sopra) e in Sardegna. A livello di Parlamento catalano, la sinistra repubblicana indipendentista (Esquerra Republicana de Catalunya) ha proposto una risoluzione sull'indipendenza della nazione, bocciata solo perché il partito di maggioranza, CiU, ha optato per una diplomatica astensione, chiedendo di rinviare la votazione "a tempi più fecondi". Molti, invece, osteggiano le consultazioni per mere ragioni economiche, in quanto la Catalunya fa registrare il più alto debito pubblico regionale spagnolo – oltre 31 miliardi di Euro a fine 2010, in aumento del 36% rispetto al 2009 e pari al 27,6% del totale del debito autonomico (fonte: Banco de España) – e un tasso di disoccupazione a fine marzo 2011 pari al 19% della popolazione attiva (fonte: Institut de Estadistica de Catalunya), in ogni caso in linea con il dato statale spagnolo.

L'esplosione dei referendum indipendentisti è però frutto di un lungo percorso secessionista che ha raggiunto il suo culmine con la parziale bocciatura dello Statuto di Autonomia catalano da parte del Tribunal Supremo spagnolo, che ha cassato tutti i riferimenti alla nazione e alla lingua catalana, chiudendo, di fatto, la porta alla possibilità di una creazione di una federazione multi o plurinazionale. Gli independentisti, comunque già contrari allo Statuto, hanno avuto buon gioco nel coinvolgere anche porzioni di popolazione generalmente più moderate e meno favorevoli alla secessione. L'idea di fondo è di condurre un referendum come quello sostenuto in Montenegro nel 2006 o in Kosovo (Stato peraltro non riconosciuto dalla Spagna) due anni più tardi, già basati sull'esperienza degli anni '90 in Québec.

E se la storia catalana si ripetesse anche altrove? E se altre nazioni senza Stato seguissero questo percorso anche in altri paesi? E' possibile ipotizzare un percorso verso l'Europa delle regioni e dei popoli? Il Parlamento europeo si è già occupato del caso delle consultazioni catalane lo scorso 25 novembre, per iniziativa della deputata gallese Jill Evans, ragionando sul cambio in atto in Spagna e sulle possibili ripercussioni fuori dai confini iberici. L'Europa sta cambiando, lo sappiamo, ma la via che può seguire potrebbe anche portare, nel lungo periodo, alla disgregazione degli Stati che conosciamo oggi? E riguardo il caso valdostano, storicamente un'altra nazione senza Stato, è ipotizzabile un percorso come quello catalano?

12 commenti:

giancarlo borluzzi ha detto...

Federico Martire è tale di cognome e di fatto. O martire perchè la movida tra le ramblas gli impedisce di essere realista e straparla di una Valle quale "nazione senza stato"; o, se alzare il gomito non è suo hobby, martire perchè madre natura non lo ha dotato della capacità di capire l'insostenibilità di tale definizione.
Non sono caustico verso il comunque martire, semplicemente mi difendo: la sua bizzarra teoria è offensiva nei confronti miei, dei miei figli e del 99.9% dei residenti in Valle d'Aosta; lo è in quanto tutti veniamo ritenuti una massa acritica disposta ad accettare passivamente definizioni/obiettivi/speranze di quello 0,1% di residenti che si trastullano con tali bizzarre fughe dalla realtà volte a equiparare la Valle d'Aosta al Nagorno Karabakh.
Non c'è, nel 2011, nessuna specificità in Valle che giustifichi quella definizione, oltre al fatto che la nascita della Repubblica è stata una partenza che ha posto la museruola a qualunque rivendicazione sul trapassato e che nessun martire può misconoscere fingendo patrimonio condiviso le amenità care a quello 0,1% cui i martiri appartengono.
Non è accettabile che quattro gatti diano i numeri se questi coinvolgono anche un prossimo che nulla ha e nulla vuole avere a che spartire con tali vaneggiamenti.
Su Roberto Louvin controllore: è concettualmente una barzelletta equivalente al conferire al Gran Mufti di Gerusalemme il compito di indicare l'intensità dell'islam contando lui stesso il numero di frequentatori della moschea di Al Aqsa durante la preghiera del venerdì.

ImpresaVda on 8 maggio 2011 alle ore 19:02 ha detto...

@Borluzzi
Credo che le siano sfuggiti un po' di punti interrogativi. Sulla questione si può essere d'accordo oppure no tuttavia ciò non toglie che il quesito lo si possa porre... Non mi sembra un reato. La libertà di pensiero vale per tutti, soprattutto per quelli che la pensano molto differentemente da noi. Diversamente trattasi di aria fritta.

giancarlo borluzzi ha detto...

Qual'è la critica, poniamo, all'integralismo religioso?
Che chi si riconosce in una fede (legittima scelta) la voglia imporre a chi ne ha un'altra o è ateo.
Non è legittima la teoria di chi la pensa come Federico Martire perchè costoro partono da una soggettiva (quanto "lunare") premessa per poi procedere con una mentalità integralista che ritiene il prossimo una massa amorfa destinata a seguirli evidenziando una guareschiana obbedienza cieca/pronta/assoluta: l'indipendentismo riguarda infatti tutti, non può essere appannaggio dei soli lunari.
Non c'è la libertà di auspicare ciò che deve forzatamente coinvolgere un prossimo tanto numeroso quanto insensibile a un tema.
Per questo non ha senso il riferimento alla libertà di opinione in questo caso.

ImpresaVda on 8 maggio 2011 alle ore 21:41 ha detto...

@Borluzzi
Poco logico. Qui Martire utilizza unicamente le parole e finchè si rimane in questo agone i ragionamenti che lei, Borluzzi, fa (mirando a togliere ogni diritto di parola a chi ragiona secondo certi canoni) rischiano di apparire un integralismo in direzione inversa a quella di cui lei accusa Martire. Mi piacerebbe comunque che fosse lo stesso Martire a confrontarsi con lei in questo spazio...

giancarlo borluzzi ha detto...

Concordo al 101% con l'ultimo periodo di Favre.
Ma è tipico di una determinata tipologia di persone esprimere una loro verità rifuggendo dal motivarla.
Per centrare l'eventuale quanto gradita replica sottolineo che sarei interessatissimo a conoscere le ragioni che portano qualcuno a equiparare la situazione della Valle d'Aosta nel 2011 a quella del Nagorno Karabakh al momento della dissoluzione dell'impero sovietico.

Federico Martire on 9 maggio 2011 alle ore 09:30 ha detto...

Mi rallegro del fatto che l'articolo abbia suscitato l'attenzione di una personalità che, dall'alto della sua esperienza in ambito storico-politico, si permette di affibbiarmi, alternativamente e tra le righe, il titolo di beone o di deficiente. Per poi aggiungere, sempre tra le righe, che sono anche un vigliacco perché non pronto a rispondere immediatamente alle sue elucubrazioni.
Ad ogni buon modo, mi pare di capire che i concetti di 'nazione' e di 'Stato' siano ben lontani dalla concezione di comunità politica e sociale che ha in mente Borluzzi, per il quale, evidentemente, il centralismo e il diniego dell'autodeterminazione dei popoli (un diritto riconosciuto nell'ambito delle Nazioni Unite - Capitolo 1, articolo 1, paragrafo 2 della Carta ONU) sono elementi focali. Come sottolinea giustamente Fabrizio, le devono essere sfuggiti alcuni punti interrogativi, ma immagino che il fastidio che le deve aver creato l'articolo le abbia impedito una lettura adeguata. Mi pare abbastanza ovvio che non mi sono neanche lontanamente permesso di comparare la situazione attuale di VdA e Catalunya a quella della dissoluzione post-sovietica, quantunque al momento della fine della seconda guerra mondiale e del franchismo le condizioni fossero comparabili. Tuttavia l'idea che un popolo, una nazione, venga confinato all'interno di uno Stato al quale non sente appartenenza e/o rappresentazione è, mi perdoni, un'idea fascista. O forse nega che Kosovo e Montenegro, tanto per citare due esempi recenti e non spingerci oltre i confini europei, non potessero esercitare tale diritto? E se vale tanto per popoli usciti da condizioni di guerra (Kosovo) quanto in situazione di pace (Montenegro), perché non dovrebbe valere per Catalunya, Euskadi, Scozia, Sud Tirolo, ecc. E chi dice che sarebbe una minoranza a decidere? Le consultazioni popolari catalane non sono legalmente vincolanti (altro aspetto dell'articolo che forse le è sfuggito), e hanno l'obiettivo di porre una questione politica sull'indipendenza del territorio attraverso la realizzazione di un referendum istituzionale sulla secessione. Mi chiedo, dov'è il problema? Dov'è lo scandalo? E dove sarebbe il problema se questo si estendesse anche altrove, magari anche il Valle d'Aosta? (tra l'altro, chi le dice che io sono a favore dell'indipendenza? L'ho forse scritto? Non sarebbe meglio leggere con più attenzione?). Si tratterebbe, né più né meno, che di un esercizio di democrazia diretta. Da esercitare con attenzione, non c'è dubbio, ma da non escludere. D'altra parte, mi verrebbe da chiederle, siccome lei è così sicuro che i valdostani 'duri e puri' siano una minoranza, perché temere una consultazione popolare? (lo stesso valga per la Catalunya o altri territori). Ha forse timore dell'esito delle urne? Forse, a giudicare dai suoi successi politici, mi verrebbe da dire di sí, ma è una mia considerazione.
In sostanza, egregio Borluzzi, nell'articolo io pongo l'attenzione riguardo un problema che in Europa - che ci piaccia o no - esiste e non può essere sottovalutato. Le sue argomentazioni, mi perdoni, sono decisamente deboli e basate su sue assunzioni e opinioni politiche (il 99,9% dei valdostani, il Nagorno, etc.) che cerca di imporre anche con qualche insulto che si sarebbe potuto risparmiare, e sulla scarsa conoscenza del caso catalano.

giancarlo borluzzi ha detto...

Sono di fretta, replico stasera o domattina, ma prima gradirei un'effettiva risposta al mio quesito, risposta inesistente nelle righe precedenti: cosa fa ritenere a Federico Martire che la Valle d'Aosta costituisca una nazione?
Secondo me nulla, per cui è imprescindibile che mi si dica il perchè del contrario e solo su tale perchè si può imbastire una discussione.
Tutto quanto scritto sopra, al di là di soggettive e oggettive critiche che posso avanzare, costituisce un ritrito girare attorno al problema.
Sempre tenendo presente che la Valle ha una popolazione pari a un cinquecentesimo dell'Italia e che la medesima costituisce un caleidoscopio umano che impedisce di estrapolare una tipologia di residente per poi fingere, o imporre, le sue aspirazioni come patrimonio/aspettativa comune a tutti.
Da ultimo: la bontà di un messaggio (liberale e quindi sacrosanto in questa regione di integralisti che alla realtà etnolinguistica sostituiscono una patologica deformazione della medesima) è indipendente dai consensi elettorali che racimola, essendo i secondi frutto di tempo e denaro che io destino altrimenti, nonchè espressione di una realtà culturale da buoni benzina/riscaldamento e da pacche sulle spalle.

Federico Martire on 9 maggio 2011 alle ore 18:04 ha detto...

Tralasciando commenti sulla sua autodefinizione di liberale, le dò una risposta breve e poi la chiudo qui, perché vedo che non ha molto senso proseguire in un dibattito nel quale non giungeremmo mai da nessuna parte viste le divergenze. Una nazione è un concetto astratto molto difficile da definire, ma si potrebbe spiegare come un'unione di individui legati da un sentimento di solidarietà e che sentono di condividere un destino comune in quanto condividono storia, lingua, territorio, cultura etc. Stando a quanto riportato, la VdA è identificabile come una nazione (condivisione di una lingua, il francoprovençal, di una storia anche giuridica vecchia di secoli, di una cultura, quella alpina, etc.). So già che lei non la pensa così, quindi non mi soffermo oltre su questo punto, tanto perderei tempo io a scrivere e lei a leggere.
In secondo luogo, e poi giuro che la smetto, un processo di creazione di una nazione è estremamente complesso e lungo, e passa attraverso fasi distinte. Tuttavia, definendoci in uno Stato liberale di ispirazione illuministica, la definizione di una nazione non può che partire dall'autodeterminazione del popolo (visione romantica di Rousseau). Ora, un referendum istituzionale come richiesto dalle consultazioni popolari catalane andrebbe proprio in questo senso. Non solo, ma realizzerebbe anche il suo sogno, caro Borluzzi, ossia quello di dimostrare che la VdA è, in tutto e per tutto, italiana e che prova un sentimento di appartenenza verso questo paese. Qualora lei avesse ragione, beninteso.
Quindi, anziché osteggiare il referendum catalano (o quello che si terrà in Scozia a seguito del successo elettorale dello SNP) per partito preso, forse sarebbe il caso di analizzare più in profondità la vicenda, da ogni punto di vista.

giancarlo borluzzi ha detto...

Federico Martire, prendi in giro un prossimo che dovrebbe deve prendere in giro te: dovevi (usa il tu, pls.)illustrare le ragioni per cui si può ritenere la Valle una nazione,invece nei due interventi non l'hai fatto e stabilisci che è doverosa una fuga codarda perchè tanto divergeremmo comunque.
Bel concetto di democrazia, oltretutto evidenziato agli occhi dei frequentatori del blog,come numero inversamente proporzionali a quanti intervengono.
Solo nella prima metà del tuo secondo parto c'è un accenno alle ragioni della Valle nazione, accenno che rifugge dall'entrare nel merito delle motivazioni e dalle ovvie critiche conseguenti.
La Valle sarebbe nazione per il francoprovenzale: onore al tuo merito per essere fuggito con la coda tra le gambe relativamente al francese rifiutato da tutti.
Ma il dialetto che indichi è altro da una lingua unificante.
Ho vissuto in Valle ben più che in Friuli e Piemonte, ma di queste due regioni conosco perfettissimamente i dialetti, non perchè li gradisco (vorrei che nel mondo tutti si sentissero fratelli parlando inglese non per la sua eventuale bellezza, ma per il suo esser oggi la lingua che si parla all'estero con chiunque si incontri) ma perchè li ho orecchiati e memorizzati senza volerlo.
Non conosco il dialetto che indichi perchè l'ho rarissimamente ascoltato.
In Friuli tutti parlano friulano (senza comunque mai vaneggiare di una nazione friulana), in Valle un quarto dei residenti avrà nozioni del tuo dialetto e dubito che metà lo parli almeno una volta nella giornata.
Nè puoi sostenere che chi parla patois deve essere il riferimento cui gli altri italiani in Valle si devono inchinare: articolo 3 della Costituzione, nessuno è più importante di altri.
Procedo per pezzi, a poi.

giancarlo borluzzi ha detto...

La seconda caratteristica che renderebbe la Valle una nazione secondo FM è la sua "storia anche giuridica vecchia di secoli".
Ridere per non piangere.
Non entro in merito alla verità di quanto in parentesi, faccio presente che c'è stato il 1861 prima e poi la nascita dell'attuale repubblica basata su una Costituzione.
Quanto tra parentesi andava eventualmente fatto pesare nei due passaggi storici preindicati, ora gli scenari sono altri e diversi da quelli vagheggiati/vaneggiati da chi utilizza il torcicollo per titillare il proprio ego.
Nell'attuale Costituzione mancano riferimenti alla possibilità di fuoriuscita dall'Italia di un francobollo abitato da un cinquecentesimo del numero complessivo degli italiani( cinquecentesimo costituito per oltre il 20% da calabresi e così via per gli originari di altre regioni); inoltre viene stabilita l'uguaglianza tra i cittadini nonchè la necessaria difesa della loro dignità.
Faccio il caso mio: nessuno in Friuli o in Piemonte ha preteso di considerarmi parte di una (inesistente) nazione friulana o piemontese; più in generale, chi si sposta in 6 oppure 15 regioni italiane va rispettato per le sue caratteristiche che non devono forzatamente adeguarsi a quelle di chicchessia altro presente nei luoghi eletti a residenza.
Nessuno è obbligato a sentirsi solidale con quelli che FM definisce (credo includendo se stesso) i valdostani "duri e puri", ma che io ritengo essere solo dei semplici dissociati dal reale che manco comprendono la supremazia, per ogni italiano, della Costituzione rispetto a qualunque Carta Onu.
A poi.

giancarlo borluzzi ha detto...

Per FM la cultura alpina dovrebbe essere il terzo pilastro della nazione valdostana.
Come dire che la cultura marina dovrebbe essere alla base di un'ipotetica nazione ligure, che il Veneto è nazione perchè possiede sia mare sia monti, che l'Umbria è nazione perchè priva di monti e mari, che Lampedusa è una nazione per la specificità dell'essere un frequentato punto di approdo di rotte dal nordafrica.
FM, è un arrampicarsi sui vetri. Oltretutto i residenti in Valle non sono per nulla interessati, nel complesso, alla realtà alpina. L'agricoltura di montagna e l'allevamento sono ai titoli di coda e si fanno notare quasi solo denunciando i ritardi nei contributi statali(la regione serve da mero transito).
FM, tu dovevi entrare veramente nelle motivazioni di una Valle nazione, specificando anche come bypassi i contenuti della Costituzione nel tuo afflato: la realtà è che non lo puoi fare, l'invenzione di una Valle nazione è nella testa di quattro gatti che trovano nell'autoreferenzialità la propria motivazione esistenziale sull'argomento.
La mia durezza è giustificata dal fatto che tali quattro gatti dimostrano disprezzo per la pressochè totalità dei 120mila residenti in Valle, ritenuti massa amorfa disposta ad allinearsi a patologiche dissociazioni altrui dalla realtà.
Anche il riferimento a Kosovo e Montenegro ti dà la zappa sui piedi, FM: tu li citi perchè ci sono stati due referendum e vorresti illuderti che per analogia ce ne dovrebbe essere un giorno uno in Valle.
Ma questi referendum sono figli della dissoluzione della Jugoslavia titina, mentre la repubblica italiana esiste da quasi 70 anni e possiede una Costituzione che non offre spazio ai tuoi spasimi.
Oltretutto il referendum kosovaro è anzichenò bizzarro nella misura in cui avrebbe dovuto servire a separare entità diverse, ma ha incluso realtà serbe (Mitrovica e non solo)in uno stato che nasce già conflittuale.
La Valle sarebbe (periodo ipotetico del terzo tipo) una nazione se e solo se si caratterizzasse rispetto all'Italia come il Nagorno-Karabakh nei confronti dell'Azerbajian.
Metodologicamente l'esempio è perfetto: il centralismo sovietico ha posto il silenziatore all'estraneità del Nagorno-Karabak nei confronti di Baku. La liquefazione del sovietismo ha portato a una guerra i cui risultati sono evidenti, quantunque poco recepiti dal contesto internazionale: esiste oggi un Nagorno-Karabak, che si riconosce nella lingua e nella religione armena, e c'è un Azerbajian con lingua diversa e religione musulmana. Ma la Valle non possiede nè una religione propria nè una sua lingua (c'è un dialetto locale parlato solo da pochi, anche perchè il piemontese è quasi altrettanto diffuso, ma ogni regione ha un suo dialetto senza per questo voler assurgere a nazione).
Da ultimo: dici di dubitare che io sia liberale. Lo sono perchè voglio che ogni persona sia libera di estrinsecare il proprio dna culturale scegliendo i percorsi linguistici preferiti; tu, accettando l'imposizione scolastica generalizzata dello studio della lingua inutile che saggiamente non citi per non arrossire, ti dimostri non liberale ma un integralista concettualmente simile agli studenti di teologia frequentanti le mederse.
Fabrizio Martire, non fuggire ma replica entrando nei meriti.

giancarlo borluzzi ha detto...

Federico Martire non sa difendere i concetti che esprime.
La spara grossa, aggiunge anche tante parole attorno alla sua uscita corroborata solo da genericissimi accenni motivazionali; chi entra criticamente in questi ultimi motivando l'insostenibilità del parto complessivo di FM non riceve replica.
Ma forse era scontato, l'indipendenza della Valle non è un qualcosa di attinente alla politica bensì alla psicologia di chi trova motivo di esaltazione discutendo autoreferenzialmente dell'argomento solo con lo 0,1% sintonizzato con le proprie fantasie.
L'Europa è oggi un problema, allargamenti improvvidi pongono criticità, non solo monetarie, che a mio avviso richiederebbero una ripartenza dai sei paesi fondatori allargati ai paesi dall'economia omogenea; altri avranno diverse ricette, ma sicuramente un abito di Arlecchino europeo con francobolli equivalenti a un cinquecentesimo dell'Italia (con il francobollo valdostano assolutamente disomogeneo in tutto al suo interno) entra di buon diritto solo nel festival di Bordighera.
Ero dispostissimo a confrontarmi sull'argomento con chicchessia: purtroppo noto che Federico Martire è fuggito dimostrando le caratteristiche di chi aspira a una Valle d'Aosta con seggio alle Nazioni Unite.

 

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