25 gennaio 2014

Marco Martin (Lo Triolet): «Spero che in Valle d#Aosta i Vigneron siano più considerati»

Marco Martin
Intervista a Marco Martin, titolare dell'etichetta Lo Triolet.

Lo Triolet ha appena compiuto vent'anni di vita. Una bella età. Possiamo provare a raccontare un po' di storia dell'azienda?
Quando ho iniziato non pensavo sicuramente che sarebbe stato il mio lavoro principale. Difatti dopo l'Institut agricole e gli studi fuori regione ho iniziato a lavorare presso l'amministrazione regionale come tecnico nel settore viticolo e casualmente ero proprio fianco a fianco a Vincent Grosjean e da lì mi è scattata la molla di provarci. Inizialmente era la voglia di provare a mettermi un po' in discussione. Fare un po' di bottiglie per hobby.

E invece...
E invece poi nel tempo, soprattutto negli ultimi anni, è aumentata la consapevolezza di poter fare dei vini di qualità confrontandosi anche con prodotti di altre regioni. Questo ha dato l'impulso per ampliare i vigneti e fare un po' di investimenti.

Che cosa ha imparato in questi vent'anni?
Ho compreso che si può imparare a fare qualsiasi a patto di avere la giusta dose di umiltà ma allo stesso temo senza avere paura di puntare in alto, a fare il massimo.

Una curiosità. Come mai il nome Triolet?
L'ho scelto nel 1993 perché in quel momento facevo soltanto Pinot grigio e avevo nei miei vigneti tre cloni di Pinot grigio. Dovevo dare un nome di fantasia. L'accostamento tre-triolet è stato immediato. Un nome musicale, facile da pronuciare.

Quali sono le tipologie di vino proposte?
Nella mia azienda produco soprattutto vini internazionali. Con il Pinot Gris realizzo tre tipologie diverse: uno affinato in acciaio, uno in barrique e un passito chiamato Mistigri. Poi come bianchi faccio il Gewurztraminer e il Muscat Petit Grain. Infine per i rossi Gamay, Pinot Noir. un Nus, assemblaggio di vien de Nus, Petit Rouge e Cornalin, il Coteau Barrage, che prende nome da un vigneto che coltivo a Nus, 80% Sirah e 20% Fumin, e poi  il Fumin in purezza.

I vigneti sono in zone molto diverse?
Noi abbiamo i bianchi abbastanza in alto, dagli 800 ai 900 metri, in alta valle, mentre i rossi li coltivo soprattutto nella zona di Nus a 600 metri.

Quanti ettari?
Ci avviciniamo a cinque ettari con una produzione di quasi 50mila bottiglie.

Di recente avete presentato l'ultimo nato: l'Heritage. Di cosa si tratta?
E' nato dall'idea di trovare un'espressione ancora superiore rispetto ai vini che già realizzavo quelli per festeggiare questi vent'anni di attività e utilizzando i vitigni che ho già in azienda, quelli più tardivi, cioè il Sirah e Fumin. Sia sul Coteau Barrage sia sul Fumin utilizzo la tecnica dell'appassimento ma qui ho voluto vinificare soltanto uve appassite e, quindi, la tipologia che ne consegue è un vino più concentrato in quanto le uve tengono una parte di acqua e se il vino ha inizialmente un potenziale di 13 gradi qui si arriva a 15, simile all'amarone, allo sforzato. L'aspetto più interessante è che non si tratta di una novità per la Valle d'Aosta. Già il mitico Lorenzo Francesco Gatta nel 1883 nel suo «Saggio intorno alle viti e ai vini della Valle d'Aosta» scriveva di «vini di lusso» ottenuti da uve vinificate a gennaio, ma vendemmiate a ottobre e appese in fienili, in zone ventilate,  fatte appassire per alcuni mesi e poi vinificate con una concentrazione zuccherina molto elevata.

Si tratta di una superselezione. Di bottiglie dell'Heritage ne sono state prodotte soltanto 600. Come mai questa scelta?
Intanto perché volevo anche io rendermi conto del prodotto che usciva e devo dire che mi ha dato molte soddisfazioni e penso di riproporlo in futuro e poi va detto che per l'appassimento delle uve bisogna essere organizzati e non è così semplice realizzarlo in grande scala.

Questo vino ha una dedica...
Ho voluto dedicarlo a mio suocero Egidio Bionaz, mancato un anno fa, e che in questi anni mi ha aiutato molto nella mia attività e mi insegnato ad amare il lavoro del vigneron. In merito vorrei raccontare un piccolo aneddoto. Tutti gli anni noi come molti vigneron andiamo in vacanza all'inizio di settembre per una settimana in quanto è il momento in cui l'uva non è ancora pronta e noi abbiamo finito le consegne estive e lui si stupiva che noi andassimo in vacanza proprio in quel periodo quando c'era la possibilità di andare in vigna e vedere maturare l'uva giorno per giorno. Questa è secondo me l'essenza della passione del Vigneron.

Come commercializzate i vostri prodotti? Sta aumentando la vendita in cantina?
Il vino è commercializzato per il 50% in Valle d'Aosta, un 15% in Italia e un 30-35% all'estero, soprattutto Stati Uniti. In cantina devo dire che è aumentata molto la vendita. Molta gente, soprattutto turisti, ma pure locali, che conoscono i vini nei ristoranti e poi vengono a cercarmi. La cosa fa piacere. E' bello incontrare un turista che è in vacanza in Valle e desidera venire in cantina, conoscere il produttore e sapere come lo produci. Oltre alla vendita è un riconoscimento, uno stimolo ad andare avanti.

Farinetti, il fondatore di Eataly,  l'ultima volta che è venuto in Valle d'Aosta, ha detto che il vignaiolo è il più bel lavoro del mondo in quanto sono più lavori in uno: dal vignaiolo al responsabile marketing, al direttore commerciale. Insomma si deve saper fare un po' di tutto. Immagino però che significhi anche confrontarsi con tanta burocrazia?
E' vero che è un mestiere bello ma complicato. Dobbiamo fare prima i viticoltori poi confrontarci con tutto quello che è l'enologia, cioè vinificare, e poi tutta la parte contabile dei registri da compilare giorno per giorno ed è molto complessa. Dopodiché c'è la vendita. Sovente anche noi, soprattutto quando si tratta di aziende di piccole dimensioni, come la nostra, dobbiamo adattarci a fare un po' di tutto e non sempre riusciamo a fare tutto bene in quanto non possiamo magari permetterci un enologo o un commerciale. La difficoltà è proprio cercare di fare bene tutti i pezzetti...

Però il sapere fare il vino conta ancora parecchio...
Molta gente dice che il vino è più difficile venderlo che farlo, ma io non sono d'accordo. Se il vino è buono si vende comunque.

Un sogno imprenditoriale da realizzare?
Dopo vent'anni di attività senz'altro migliorare ancora i miei prodotti, magari farne qualcun altro nuovo e poi in prospettiva mi auguro che l'attività che ho creato sia portata avanti dai figli o dai nipoti. Questo per quanto riguarda l'attività aziendale. Poi più in generale quando vado in zone dove la viticoltura è più radicata, come la Borgogna o il vicino Vallese, provo una certa invidia in quanto i vigneron sono più considerati, la viticoltura è importante per tutta la regione. In Valle non è ancora così e spero in futuro che il vigneron valdostano possa trovarsi in un contesto in cui la sua attività sia maggiormente riconosciuta.

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