Marco Martin |
Lo Triolet ha appena compiuto vent'anni di vita. Una bella età. Possiamo provare a raccontare un po' di storia dell'azienda?
Quando ho iniziato non pensavo
sicuramente che sarebbe stato il mio lavoro principale. Difatti dopo l'Institut
agricole e gli studi fuori regione ho iniziato a lavorare presso
l'amministrazione regionale come tecnico nel settore viticolo e casualmente ero
proprio fianco a fianco a Vincent Grosjean e da lì mi è scattata la molla di
provarci. Inizialmente era la voglia di provare a mettermi un po' in
discussione. Fare un po' di bottiglie per hobby.
E invece...
E invece poi nel tempo, soprattutto
negli ultimi anni, è aumentata la consapevolezza di poter fare dei vini di
qualità confrontandosi anche con prodotti di altre regioni. Questo ha dato
l'impulso per ampliare i vigneti e fare un po' di investimenti.
Che cosa ha imparato in questi
vent'anni?
Ho compreso che si può imparare a
fare qualsiasi a patto di avere la giusta dose di umiltà ma allo stesso temo
senza avere paura di puntare in alto, a fare il massimo.
Una curiosità. Come mai il nome
Triolet?
L'ho scelto nel 1993 perché in quel
momento facevo soltanto Pinot grigio e avevo nei miei vigneti tre cloni di
Pinot grigio. Dovevo dare un nome di fantasia. L'accostamento tre-triolet è
stato immediato. Un nome musicale, facile da pronuciare.
Quali sono le tipologie di vino proposte?
Nella mia azienda produco soprattutto
vini internazionali. Con il Pinot Gris realizzo tre tipologie diverse: uno
affinato in acciaio, uno in barrique e un passito chiamato Mistigri. Poi come
bianchi faccio il Gewurztraminer e il Muscat Petit Grain. Infine per i rossi
Gamay, Pinot Noir. un Nus, assemblaggio di vien de Nus, Petit Rouge e Cornalin,
il Coteau Barrage, che prende nome da un vigneto che coltivo a Nus, 80% Sirah e
20% Fumin, e poi il Fumin in purezza.
I vigneti sono in zone molto diverse?
Noi abbiamo i bianchi abbastanza in
alto, dagli 800 ai 900 metri, in alta valle, mentre i rossi li coltivo soprattutto
nella zona di Nus a 600 metri.
Quanti ettari?
Ci avviciniamo a cinque ettari con una
produzione di quasi 50mila bottiglie.
Di recente avete presentato l'ultimo
nato: l'Heritage. Di cosa si tratta?
E' nato dall'idea di trovare
un'espressione ancora superiore rispetto ai vini che già realizzavo quelli per
festeggiare questi vent'anni di attività e utilizzando i vitigni che ho già in
azienda, quelli più tardivi, cioè il Sirah e Fumin. Sia sul Coteau Barrage sia sul Fumin utilizzo la tecnica
dell'appassimento ma qui ho voluto vinificare soltanto uve appassite e, quindi,
la tipologia che ne consegue è un vino più concentrato in quanto le uve tengono
una parte di acqua e se il vino ha inizialmente un potenziale di 13 gradi qui
si arriva a 15, simile all'amarone, allo sforzato. L'aspetto più interessante è che non si tratta di una
novità per la Valle d'Aosta. Già il mitico Lorenzo Francesco Gatta nel
1883 nel suo «Saggio intorno alle viti e ai vini della Valle d'Aosta» scriveva di «vini di lusso» ottenuti da uve vinificate
a gennaio, ma vendemmiate a ottobre e appese in fienili, in zone ventilate, fatte appassire per alcuni mesi e poi
vinificate con una concentrazione zuccherina molto elevata.
Si tratta di una superselezione. Di
bottiglie dell'Heritage ne sono state prodotte soltanto 600. Come mai questa
scelta?
Intanto perché volevo anche io
rendermi conto del prodotto che usciva e devo dire che mi ha dato molte
soddisfazioni e penso di riproporlo in futuro e poi va detto che per
l'appassimento delle uve bisogna essere organizzati e non è così semplice
realizzarlo in grande scala.
Questo vino ha una dedica...
Ho voluto dedicarlo a mio suocero
Egidio Bionaz, mancato un anno fa, e che in questi anni mi ha aiutato molto
nella mia attività e mi insegnato ad amare il lavoro del vigneron. In merito
vorrei raccontare un piccolo aneddoto. Tutti gli anni noi come molti vigneron
andiamo in vacanza all'inizio di settembre per una settimana in quanto è il
momento in cui l'uva non è ancora pronta e noi abbiamo finito le consegne
estive e lui si stupiva che noi andassimo in vacanza proprio in quel periodo
quando c'era la possibilità di andare in vigna e vedere maturare l'uva giorno
per giorno. Questa è secondo me l'essenza della passione del Vigneron.
Come commercializzate i vostri prodotti? Sta aumentando la vendita in
cantina?
Il vino è commercializzato per il 50%
in Valle d'Aosta, un 15% in Italia e un 30-35% all'estero, soprattutto Stati Uniti.
In cantina devo dire che è aumentata molto la vendita. Molta gente, soprattutto
turisti, ma pure locali, che conoscono i vini nei ristoranti e poi vengono a
cercarmi. La cosa fa piacere. E' bello incontrare un turista che è in vacanza
in Valle e desidera venire in cantina, conoscere il produttore e sapere come lo
produci. Oltre alla vendita è un riconoscimento, uno stimolo ad andare avanti.
Farinetti, il fondatore di Eataly, l'ultima volta che è venuto in Valle d'Aosta, ha
detto che il vignaiolo è il più bel lavoro del mondo in quanto sono più lavori
in uno: dal vignaiolo al responsabile marketing, al direttore commerciale.
Insomma si deve saper fare un po' di tutto. Immagino però che significhi anche
confrontarsi con tanta burocrazia?
E' vero che è un mestiere bello ma
complicato. Dobbiamo fare prima i viticoltori poi confrontarci con tutto quello
che è l'enologia, cioè vinificare, e poi tutta la parte contabile dei registri
da compilare giorno per giorno ed è molto complessa. Dopodiché c'è la vendita.
Sovente anche noi, soprattutto quando si tratta di aziende di piccole
dimensioni, come la nostra, dobbiamo adattarci a fare un po' di tutto e non
sempre riusciamo a fare tutto bene in quanto non possiamo magari permetterci un
enologo o un commerciale. La difficoltà è proprio cercare di fare bene tutti i
pezzetti...
Però il sapere fare il vino conta
ancora parecchio...
Molta gente dice che il vino è più difficile
venderlo che farlo, ma io non sono d'accordo. Se il vino è buono si vende
comunque.
Un sogno imprenditoriale da
realizzare?
Dopo vent'anni di attività senz'altro migliorare ancora i miei prodotti, magari farne qualcun altro nuovo e poi in
prospettiva mi auguro che l'attività che ho creato sia portata avanti dai figli
o dai nipoti. Questo per quanto riguarda l'attività aziendale. Poi più in
generale quando vado in zone dove la viticoltura è più radicata, come la
Borgogna o il vicino Vallese, provo una certa invidia in quanto i vigneron sono
più considerati, la viticoltura è importante per tutta la regione. In Valle non
è ancora così e spero in futuro che il vigneron valdostano possa trovarsi in un
contesto in cui la sua attività sia maggiormente riconosciuta.
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