Venerdì 10 maggio, presso la sala congressi dell’Hostellerie du Cheval Blanc, ho
avuto il piacere di moderare una serata con il Professor Carlo
Cottarelli, organizzata dai Rotary Club Aosta e Courmayeur-Valdigne,
col sostegno di Banca Passadore e la collaborazione di Confindustria
Valle d’Aosta, degli Ordini dei Dottori Commercialisti e dei
Consulenti del Lavoro della Valle D’Aosta e dell’Università
della Valle d’Aosta. Tema della serata «Il Sistema Italia nel
contesto internazionale: quale equilibrio tra competitività e stato
sociale?». Ne è nata (anche con l'aiuto del pubblico) una intervista che ho avuto il piacere di
sottoporre ai lettori del Corriere e ora propongo in versione integrale ai visitatori del blog. Il reportage fotografico è a cura di Bruno China Bino e Matilde Quaglia. Aggiungo che è stato bello vedere tra le
oltre 300 persone presenti molti dei nostri fedeli abbonati.
Fabrizio
Favre
Professor
Cottarelli lei nel suo libro scrive che l'Italia non cresce come
dovrebbe dal 1999. Da dove nascono le fatiche italiane?
Partiamo
prima di tutto dai dati della congiuntura immediata. Oggi (venerdì
10 maggio ndr) sono usciti i dati della produzione industriale che a
marzo è scesa dell'1%. Tra gennaio e febbraio è
cresciuta,
mentre nell'ultimo trimestre del 2018 era scesa. Che cosa sta
succedendo? L'anno scorso c'è stato un forte rallentamento nella
crescita Europea e noi abbiamo subito questo rallentamento. Ma
siccome il nostro tasso di crescita in generale è più basso il
nostro risultato è stato negativo anche se di poco.
Negli ultimi trimestri del 2018 abbiamo avuto così una piccola
recessione tecnica. Va comunque detto che ci abbiamo messo del
nostro. Quando il Governo ha cominciato a dire basta con le regole
europee, basta con l'austerità e ha presentato una legge di bilancio
che prevedeva un significativo aumento del deficit pubblico i mercati
si sono spaventati e lo spread è salito. Il mitico spread è
qualcosa che non è tangibile, ma fa male all'economia. Quando sale
diventa più difficile per le banche prestare e se sale troppo si
rischia di tornare nel 2011, quando a quota 600 l'economia è
crollata. Come quindi il rallentamento dell'anno scorso nasceva dal
rallentamento dell'Europa, la ripresa di questi primi mesi è dovuto
alla ripresa dell'economia europea. L'area europea è passata da 0,2
a 0,4 e noi siamo passati – 0,1 a 0,2. Anche in
questo caso
abbiamo dato comunque un nostro contributo perché grazie all'accordo
trovato tra l'Italia e l'Europa sui conti pubblici di quest'anno lo
spread è sceso. La sostanza è che noi quest'anno riusciremo ad
avere un segno positivo sulla crescita. Il Governo è stato molto
prudente ipotizzando uno 0,2, io sono convinto che si possa arrivare
anche ad un + 0.4. L'aspetto drammatico è che si parla sempre di
“zero virgola”, ma noi non dovremmo crescere come l'area
dell'euro, ma più rapidamente perché
negli ultimi 20 anni abbiamo perso terreno. Di quanto? Alla
fine degli anni '90 la Germania aveva un reddito pro capite in
termini di potere di acquisto più alto del nostro del
4% ora siamo tra il 20 e il 25%. In questo momento abbiamo lo stesso
reddito pro capite di 20 anni. E non era mai successo dal 1861 che ci
fosse un periodo di 20 anni senza crescita.
Ci
sono due scenari: quello buono è quello in cui non cresciamo a meno
di non fare riforme importanti. Con un grosso punto di domanda però:
la legge di Bilancio del prossimo anno. Comunque è lo scenario che
ritengo più probabile anche se non è un grande scenario. C'è poi
lo scenario preoccupante in cui ricadiamo nella crisi del 2011 di cui
ancora oggi paghiamo le conseguenze. Non è un rischio altissimo,
però non è irrilevante. Cosa può scatenare questa crisi? La crisi
del 2011 è avvenuta perché lo spread è salito quasi a 600 e il PIL
era in calo ad un ritmo del 4%. La disoccupazione è salita
rapidissimamente. Gli investitori stranieri e domestici hanno
cominciato a temere che l'Italia uscisse dall'euro e che quindi se io
investo in euro potevo venire ripagato dopo un anno in nuove Lire. Un
dubbio che è venuto in quanto l'Italia negli anni precedenti era
cresciuta poco e aveva esportato poco. Noi avevamo uno squilibrio nei
nostri conti con l'Estero. Questo perché dopo l'entrata nell'euro
avevamo perso competitività. Per un po' di anni abbiamo continuato
ad avere un aumento dei nostri costi e dei nostri prezzi superiore
alla Germania. Una volta questo non era un problema perché noi ogni
tanto svalutavamo, ma ora non era più possibile. Le nostre
esportazioni ne hanno risentito. Tra il 1999 e il 2009 le
esportazioni italiane non sono cresciute, quelle tedesche sono invece
cresciute di quasi il 70%. Di conseguenza un paese in queste
condizioni poteva avere la tentazione di uscire dall'Euro. Inoltre
l'Italia aveva e ha un debito pubblico molto elevato, il secondo dopo
la Grecia, e un Paese così potrebbe di nuovo avere la tentazione di
uscire dall'Euro e riavendo la propria Banca Centrale stampare moneta
e ripagare il debito pubblico. Questi due motivi hanno creato
preoccupazione nei mercati finanziari. Non c'è stata nessuna
congiura internazionale per far cadere l'allora Governo Berlusconi,
ma c'erano motivi oggettivi per cui un Paese in una simile situazione
venisse attaccato dai mercati finanziari. Da allora i conti con
l'estero sono migliorati. Esportiamo più di quanto importiamo, anche
perché importiamo poco. C'è stato anche un po' di recupero di
competitività rispetto alla Germania: non perché i costi nostri si
sono ridotti, ma perché in Germania sono aumentati più rapidamente.
Il problema dei conti pubblici è rimasto irrisolto. Si aggira
intorno al 132%. L'anno scorso è un po' cresciuto e quest'anno
potrebbe crescere ancora un po'. In questo contesto la Legge di
bilancio per il prossimo anno diventa cruciale. Il problema è che
come far tornare i conti in autunno non sarà per niente facile in
quanto sono stati già decisi degli aumenti di spesa. Ad
esempio il reddito di cittadinanza e quota 100 e altre misure, che
avranno il loro impatto pieno il prossimo anno. A carte ferme e senza
aumenti dell'Iva il prossimo anno potremmo trovarci un debito
pubblico tra il 3,3 e il 3,5% del PIL. Non sono numeri enormi ma
quest'anno finiremo sul 2,3, quindi si tratta di un punto in più in
una situazione in cui il PIL non cresce molto. A questo punto
potremmo trovarci di nuovo in autunno con i mercati finanziari che
cominciano a dubitare che l'Italia non riesca a rispettare le regole
sui conti pubblici europei, che il deficit cresca
a un livello per cui il debito comincia ad aumentare rapidamente e
che lo spread riprenda a rapidamente la
sua corsa.
Sono convinto che alla fine un accordo con l'Europa si troverà,
anche se adesso non so immaginarmi quale soluzione si possa trovare
di contenimento del deficit del prossimo anno. Anche la promessa
della flat tax pone
la grande incognita di dove si possano trovare le risorse necessarie
per attuarla. Difficile dare una risposta. Vediamo cosa succede in
autunno.
Nel
suo libro sui sette peccati capitali il settimo, che li tiene dentro
un po' tutti, è quello sulla difficoltà italiana a convivere con
l'Euro. Probabilmente anche perché non si fanno le riforme
che lei ha spiegato come necessarie. Quali sono queste riforme?
Va
detto che non tutti gli economisti sono di questa opinione. Come ho
già detto quando l'Italia è entrata nell'euro per un po' di anni
dal 1999 al 2009 i nostri costi di produzione sono aumentati
rapidamente. Ma perché? Prima di tutto per inerzia. Noi avevamo
sempre aumenti di costi e di stipendi più alti in termini nominali
che in Germania, l'inflazione era però più alta da noi. Poi si è
verificato un caso di scuola, presente
in tutti i testi di economia internazionale: quando
un
paese come l'Italia che ha tassi di interesse e di inflazione alti si
unisce dal punto di vista monetario con un Paese come la
Germania che ha tassi di interesse bassi, i tassi di interesse alti
scendono se l'accordo di cambio è
credibile. E l'Euro era credibile inizialmente. E così diventa più
facile prendere a prestito soldi dalla Banca e spenderli, il che
spinge verso l'alto i prezzi, compresi quelli delle case. I mutui
ipotecari sono aumentati del 20%. Il libro di testo di economia
internazionale dice che c'è un rimedio a questo, cioè che lo Stato
spenda di meno, invece lo Stato italiano, una volta entrato
nell'Euro, ha detto: “i tassi di interesse scendono anche per me.
Io non devo più prendere a tassi di interesse del 10% ma del 2%. E
allora a questo punto posso ricominciare a spendere anche io”. E
così il Governo tra il 2000 e il 2006 ha ricominciato a spendere
molto, perdendo l'occasione di mettere a posto i nostri conti
pubblici una volta per sempre. Lì c'è stato un errore di
valutazione. All'epoca, fra l'altro, io ero il capo delle missioni
del Fondo Monetario che faceva le ispezioni annuali in Italia e con
il Ministro dell'Economia di allora, Tremonti, ci furono delle
tensioni in quanto noi gli dicevamo che stavano spendendo troppo.
Questa ulteriore spesa ha buttato benzina sul fuoco dell'inflazione e
si è creata questa perdita della competitività. Il costo del lavoro
per unità di prodotto tra il 1999 e il 2009 è aumentato
in Italia di circa il 30%, mentre in Germania è stato pari
a zero.
Di conseguenza abbiamo perso quote di mercato. Le riforme necessarie
sono tutte quelle che fanno recuperare produttività e competitività
alle imprese italiane. Non vuol dire tagliare i salari. Ci sono altri
costi. Le PMI italiane ogni anno per compilare moduli spendono dai 30
ai 35 miliardi. Una cifra enorme. Un imprenditore di Mantova mi ha
detto di avere 100 operai che producono biciclette e 20 negli uffici
che riempiono i moduli. In
Germania il
rapporto è
di 100 a 5. Sono i costi della burocrazia. E' essenziale che si
faccia qualcosa per ridurla. E non parlo dei dipendenti pubblici, ma
del numero di regole che ci sono. La CGIA di Mestre da anni produce
statistiche sul numero di moduli che si devono compilare ogni anno.
La burocrazia sono anche i
tempi
di attesa che influiscono sulle decisioni di investimento e con
macchine nuove l'operaio che produce biciclette invece di 10 al
giorno ne fa 20 e così il costo del lavoro per unità di prodotto si
dimezza. Gli investimenti privati in Italia sono frenati dal livello
della tassazione, dalla
burocrazia e dalla
lentezza della giustizia civile, un altro dei peccati capitali di cui
parlo nel libro. Un processo legato ad un contratto in Italia può
durare oltre 7 anni, in Germania due anni e due mesi, in Spagna due
anni e tre mesi, In Polonia un anno e due mesi. Ora se voi avete un
contratto e la controparte non fa quello che dovrebbe fare, e
voi
andate dal giudice e dovete aspettare in media più di 7 anni
significa che non avete in mano un contratto valido e il lavoro degli
imprenditori deve essere basato sulla certezza del diritto. Qui
occorrono riforme.
E poi c' il livello della tassazione. Tagliare le tasse è facile, ma
non può essere fatto in deficit. E' un problema perché
non è credibile. Se io per farlo prendo soldi a prestito il taglio
di tasse
non
è detto che sia permanente. Vanno trovate delle fonti permanenti di
finanziamento se vogliamo farlo. Ce ne sono due: la lotta
all'evasione fiscale -
ogni anno lo Stato perde 130 miliardi per evasione fiscale, tenete
conto che la spesa per la Pubblica Istruzione in Italia è pari a 65
miliardi -
e poi il risparmio sul lato della spesa. Occorrono delle spending
review serie. Occorrono delle priorità. E' chiaro che non si va
tagliare istruzione e welfare, ma in tutte le altre aree credo che ci
sia qualcosa su cui è possibile risparmiare. Queste sono le riforme
utili a portare una maggiore crescita e così risolvere il problema
del debito pubblico. Più crescita, più entrate per lo Stato.
Occorre però anche avere un po' di fortuna in quanto richiedono
tempo e dobbiamo sperare che l'Europa cresca, noi continuiamo a
crescere, magari meno dell'Europa, ma questo ci dà il tempo per fare
le riforme e così riusciamo a riprendere a crescere.
Alcuni
dei peccati capitali di cui lei accenna nel libro sono legati alla
debolezza del capitale sociale italiano. Oltre alla politica anche
noi cittadini siamo chiamati a dare un contributo...
Purtroppo
spesso come italiani non ci comportiamo da buoni cittadini. Ad
esempio non si pagano le tasse quando si dovrebbero pagare oppure il
funzionario pubblico si fa corrompere perché tanto il Paese è
corrotto, lo fanno tutti e, quindi, lo faccio anche io. Diversi
peccati capitali sono spiegabili così. Addirittura la lentezza della
giustizia in parte è dovuta a questo fatto. Ogni anno cominciano
tantissime cause. Siamo molto più litigiosi di quanto avviene
all'estero. La spesa per la giustizia in Italia è più o meno come
negli altri paesi, ma la domanda è molto più alta dell'offerta.
L'impressione è che talvolta si inizi una causa per dar fastidio a
qualcun altro, magari so che non ho ragione, ma la comincio lo
stesso. E così per 6-8 anni ho dato fastidio a questo qualcun altro.
Anche questo è un comportamento egoistico. Se tutti fanno così il
sistema si intasa e si danneggiano anche quelle cause che sono del
tutto legittime. Purtroppo non si fanno le riforme utili a risolvere
certi problemi. E così ce la prendiamo con i politici. Ma chi li
elegge i politici? I politici li eleggiamo noi e quindi eleggiamo
politici che non vogliono fare certe cose o preferiscono farne altre.
Se vi dico votatemi per rendere la giustizia civile più rapida o per
ridurre la burocrazia sicuramente sono argomenti validi, ma hanno più
effetto proposte come l'andare in pensione prima o il reddito di
cittadinanza. Al di là di tutto c'è un problema di cultura per cui
noi ormai da anni, e non mi riferisco tanto a quest'ultimo governo,
eleggiamo governi che non fanno certe riforme che sono nel lungo
periodo più efficaci, ma nell'immediato non danno grossi risultati.
Ecco perché ormai di lavoro faccio il “predicatore” vado in giro
nelle parrocchie, nelle scuole, nelle Università, perché mi sono
convinto che per cambiare le cose in Italia si deve cercare di
cambiare la mentalità. E noi economisti siamo stati sempre molto
bravi a parlare tra di noi ma poco a metterci la faccia e andare a
parlare in pubblico.
L'Italia
è il secondo Paese in Europa nel campo manifatturiero e il settimo
nel mondo. Il risparmio italiano è tra i più elevati in Europa. La
ricchezza italiana è nei primi dieci nel mondo. Tutti questi
elementi un valore lo avranno? Secondo lei c'è soltanto un problema
di sfiducia verso l'Italia oppure veramente il cigno nero sta per
arrivare?
Il
mio scenario di base non prevede una crisi tra pochi mesi. Perché ci
sia una crisi in Italia occorre un incidente di percorso. Il problema
è la fragilità del sistema Italia. Nel 2011 c'è stata la crisi
greca che ha messo in luce che l'euro non era eterno. Io temo, come
ho già detto, una recessione in Europa. Una recessione dell’1 e
1,5% non so se la reggiamo. Significa riduzione del PIL e perdita di
entrate da parte dello Stato. Il deficit aumenta e il rapporto tra
debito pubblico e PIL cresce di 3-4 punti percentuali. Noi per ora
stiamo tranquilli perché il debito aumenta di poco. Occorre molta
prudenza per non finire nella crisi perché quando ci si trova nella
crisi non c'è una ricetta facile. La medicina dell'austerità è
sempre amara però la si deve prendere. Io però vorrei evitare di
arrivare a quella situazione. E questo significa fare riforme prima
finché siamo in tempo. Nel maggio del 2011 lo spread era 130 noi
siamo oggi a 270, sei mesi dopo eravamo a 600. Io non mi fido dei
mercati finanziari perché sono erratici. Stanno tranquilli e poi
all'improvviso tutti scappano verso l'uscita. Il motivo per cui noi
dovremmo ridurre il debito pubblico finalmente è perché questa
sarebbe davvero una operazione di indipendenza, renderci indipendenti
dall'erraticità dei mercati internazionali. Il Primo ministro
svedese che negli anni '90 decise di abbattere il debito pubblico lo
fece perché era stufo di andare a mendicare soldi a Londra. Questa
deve diventare una priorità anche per l'Italia.
Mancano
15 giorni alle elezioni (era il 10 maggio ndr). Cosa pensa possa succedere a livello europeo
e se non succedesse niente a livello di equilibri politici quale
influenza potrebbe avere sui nostri conti, sul nostro PIL?
Io
credo che ci sarà una avanzamento delle cosiddette forze sovraniste,
anche se le forze tradizionali manterranno la maggioranza. E' però
una pia illusione sperare che questo avanzamento potrebbe portare un
cambiamento nelle regole sui conti pubblici a livello europeo, perché
i sovranisti d'oltralpe sono cattivissimi quando si parla di conti
pubblici. Ho incontrato questa mattinata una delegazione di deputati
europei olandesi e il più accanito contro i conti pubblici italiani
era l'unico parlamentare appartenente all'area sovranista.
Scordiamoci il fatto che in caso di vittoria di queste forze
politiche potremo fare quel che vorremo con i nostri conti pubblici.
Non accadrà mai.
Secondo
lei una riduzione dei livelli di tassazione può portare ad una
riduzione di evasione?
E'
possibile, ma non ci conterei. Il livello di evasione sull'Iva non è
influenzato dal livello di tassazione. Detto questo io penso che si
possa sperare che se abbasso le tasse ci sia un po' meno la
tentazione di evadere. E' però una speranza. Non ci posso contare
ex-ante. Sarebbe sbagliato e rischioso soprattutto per una paese con
un debito pubblico elevato come l'Italia.
A
livello di taglio della spesa pubblica a partire dalla sua analisi
fatta quando si è occupato della spending review che cosa è
possibile fare?
L'apparato
della Pubblica Amministrazione in Italia è troppo frammentato,
troppo complesso. Ci sono 8000 comuni, ancora 10mila società
partecipate dagli enti territoriali, ci sono 200 enti pubblici
centrali, ci sono gli enti pubblici regionali. Lo Stato stesso è
frammentato nel senso che è presente in quasi tutte le province
d'Italia con più di un ufficio ministeriale. Anche soltanto il
Ministero dell'Economia ha l'Agenzia delle Entrate. Questo sistema è
costoso. Ci sono poi anche enti pubblici inutili. Ma esistono
anche due problemi nel risolvere la situazione. Il primo è che
comunque fare riforme per snellire l'apparato dello Stato richiede
tempo, un investimento politico e che dà risultati nel giro di tre
anni. Si può pianificare ma spesso la legge di bilancio è preparata
all'ultimo momento e se uno ha
una proposta che fa risparmiare soldi fra tre anni si preferisce
lasciar perdere in quanto servono soldi subito. Come Commissario
della revisione della spesa ho visto casi del genere. L'altro
problema grosso è quello del personale. Tutti siamo d'accordo nel
chiudere un ente inutile, ma normalmente il 70% dei costi di un ente
inutile sono stipendi. Quando io ho detto a un Presidente del
Consiglio che si doveva affrontare il problema dei costi del
personale è chiaro che diventa tutto più complicato. Cosa facciamo
licenziamo le persone? Non fa parte della nostra cultura. Ci sono
però modi di risparmiare senza licenziare a patto di pianificare la
propria azione. Per esempio ci sono servizi
che lo Stato compra dall'esterno e potrebbero essere fatte con
risorse interne.
Ad esempio io ho sostenuto che spesso ci sono delle duplicazioni tra
le cose che fanno le varie forze di polizia. Il mio esempio preferito
è la Guardia di Finanza che ha i reparti antisommossa. Perché la
Finanza debba fare i servizi antisommossa a Roma non l'ho mai capito?
Oppure spesso ci sono le auto blu guidate dalle forze di polizia.
Questi poliziotti potrebbero essere utilizzati al Tribunale di Milano
che invece usa guardie giurate. Con un po' di organizzazione questi
eccessi di personale potrebbero essere utilizzati per risparmiare
servizi che attualmente lo Stato compra dall'esterno.
Quali
conseguenze possiamo aspettarci dalla fine del mandato di Mario
Draghi alla BCE?
La
prima è quella cui pensano tutti. Draghi se ne va, l'Europa decide
di aumentare i tassi di interesse, arriva un tedesco, un olandese e i
tassi di interesse aumentano. In realtà credo che la Banca Centrale
Europea sia vincolata dal suo mandato. Questo scenario potrebbe
avvenire soltanto se ci fossero spinte inflazionistiche in Europa, ma
se ci fossero vorrebbe dire che in Europa l'economia sta tirando. Ciò
che mi preoccupa molto è come verrebbe gestita una crisi come quella
del 2011 in presenza di un Presidente tedesco. Un anno fa Weidman,
uno dei possibili candidati, in un incontro a porte chiuse alla mia
domanda se lei fosse Presidente della BCE e l'Italia andasse in crisi
e ci fosse un governo pronto a fare delle riforme che cosa direbbe?
“Va bene italiani facciamo scendere il tasso di interesse per
aiutarvi” oppure “Italiani vi abbiamo dato otto anni di interesse
bassi, non avete messo i vostri conti pubblici e ora vi arrangiate”?
Mi ha risposto “la seconda”. Non credo che accadrà però è
chiaro che la personalità che guida la BCE diventerebbe cruciale in
un periodo di crisi. Uno dei problemi del 2012 è che lo spread con
Monti ci ha messo nove mesi a scendere. Non basta l'austerità perché
i tassi scendano, occorre anche un intervento della Banca centrale
che è arrivato nel luglio del 2012. Draghi non poteva appena
nominato Presidente della BCE far subito scendere i tassi per il
proprio Paese. Sarebbe stato poco credibile. L'Italia ha dovuto
conquistare la fiducia degli altri Paesi prima di ottenere la discesa
dei tassi. Purtroppo per questi nove mesi l'Italia è stata tenuta
sulla graticola. Per uscire dalla crisi oltre che fare i compiti a
casa serve una BCE che agisca rapidamente.
Se
fosse chiamato a guidare un governo tecnico per prima cosa che
farebbe?
Chiariamo
subito un aspetto. Quello per cui ero stato chiamato io era davvero
un governo tecnico in quanto la chiamata era arrivata senza avere
avuto la fiducia dal Parlamento e che quindi avrebbe potuto gestire
l'ordinaria amministrazione. E quindi non può fare riforme. Un
governo guidato da un tecnico ma con una maggioranza politica come
quello di Monti non è tecnico, ma politico. E' stato votato. Ha
avuto la fiducia. Tutti i provvedimenti di Monti sono stati votati
dal Parlamento. Poi adesso si dice tecnico perché i politici non
hanno voluto prendersi la responsabilità. In questo secondo caso io
avrei tre priorità: primo ridurre la burocrazia, secondo ridurre la
burocrazia e terzo ridurre la burocrazia.
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