9 aprile 2008

Civa: le cave non le vuole più nessuno sul proprio territorio

Civa: Consorzio commercio inerti Valle d’Aosta. Una sigla unica (con un fatturato complessivo di 5 milioni di euro) che raggruppa, almeno sotto il profilo commerciale, cinque cavatori e cinque impianti di cave: la Nuova Zerbion di Châtillon, la Se.Li di Pontey, l’Henriet di Quart, l’Ir.Va di Gressan e Cave Chavonne di St-Pierre. Un sodalizio consolidato da 26 anni di lavoro fianco a fianco in una regione dove l’aggregarsi per crescere insieme è considerata una curiosa anomalia. Un’attività per giunta aggravata, commenta Angelo Lain, direttore della Civa dalla su fondazione nel 1982, dal fatto che «la cava è qualche cosa che nessuno vuole più sul proprio territorio». Lain è anche presidente di Assocave, 18 aziende che danno lavoro a 600 dipendenti, indotto compreso, per un fatturato complessivo di circa 10 milioni. Un osservatorio importante, tanto che immediatamente l’attenzione dall’azienda passa al settore anche perché l’attualità ha molto da offrire dopo l’approvazione della nuova legge regionale su cave, miniere, terme e acque minerali. Una legge attesa da tempo. Ma Lain sull’argomento è categorico. «Il nuovo testo non risolve i problemi del settore». «Il provvedimento – osserva dopo una breve pausa – ha indubbiamente recepito alcune delle nostre richieste, ma la definizione del quadro giuridico è relativa se poi dovremo confrontarci con un piano regionale delle attività estrattive, presumibilmente in Consiglio regionale per la prima settimana di aprile, che, di fatto, dimezza l’estrazione degli inerti (il provvedimento è già stato approvato ndr)».
Per Lain il nuovo piano che doveva essere già presentato agli operatori un anno fa per la categoria è inaccettabile. «Alcune zone individuate hanno subito diminuzioni naturali di cui nell’aggiornamento non si tiene conto – aggiunge Lain – altre sono state cassate dai sindaci dei comuni interessati senza addurre nessuna spiegazione di carattere tecnico, altre sono state ridotte e altre ancora, pur comprese, sono in realtà in via di ultimazione nella coltivazione. Insomma c’è veramente il rischio che si debba andare a lavorare fuori da questa regione e qualche imprenditore ha già minacciato di farlo». Per Lain non ci si rende conto che se le imprese valdostane si vedranno costrette a rivolgersi fuori Valle per reperire gli inerti, a causa del crescere dei costi di trasporto si creerebbe un effetto domino sui prezzi con ricadute immediate sui tariffari delle opere edili e quindi sugli appalti pubblici regionali. «Le cave oltretutto sono mal distribuite – prosegue Lain -. Intorno ad Aosta dove operano otto aziende c’è soltanto la cava di Brissogne che assicura una produzione annua di circa 200.000 metri cubi. Inoltre esiste il problema della programmazione. L’ultimo piano ci assicura risorse per non più di un quinquennio». Il presidente di Assocave in particolare è rattristato dalla reazione dei primi cittadini. «E dire che per venire loro incontro avevamo visto con favore – commenta un po’ amareggiato – l’introduzione di una tassa di concessione comunale sull’attività estrattiva pari a 0,5 euro al m3». Gli imprenditori nel tentativo di reperire nuove risorse estrattive hanno anche da tempo proposto all’Assessore al Territorio, Ambiente e Opere Pubbliche Alberto Cerise la creazione di aree di esondazione a fianco delle centrali idroelettriche. «Si otterrebbe – conclude Lain - un doppio vantaggio: in termini di sicurezza in quanto il fiume ha un’area di sfogo in caso di piena e in termini economici in quanto i detriti che il fiume porta con sé troverebbero un luogo dove poter essere accorti. Annualmente si tratta di circa 200.000 metri cubi di materiale. Questo però per ora non è possibile in quanto il materiale che si trova nella Dora può essere utilizzato soltanto per regimazioni idrauliche». (Pubblicato sul Corriere della Valle d'Aosta del 20 marzo 2008)

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