Il lavoro e la sua ambivalenza
27. Così pure, se è vero che talvolta può imporsi una mistica esagerata del lavoro, non è meno vero che questo è voluto e benedetto da Dio. Creato a sua immagine, «l'uomo deve cooperare col Creatore al compimento della creazione, e segnare a sua volta la terra dell'impronta spirituale che egli stesso ha ricevuto». Dio, che ha dotato l'uomo d'intelligenza, d'immaginazione e di sensibilità, gli ha in tal modo fornito il mezzo onde portare in certo modo a compimento la sua opera: sia egli artista o artigiano, imprenditore, operaio o contadino, ogni lavoratore è un creatore. Chino su una materia che gli resiste, l'operaio le imprime il suo segno, sviluppando nel contempo la sua tenacia, la sua ingegnosità e il suo spirito inventivo. Diremo di più: vissuto in comune, condividendo speranze, sofferenze, ambizioni e gioie, il lavoro unisce le volontà, ravvicina gli spiriti e fonde i cuori: nel compierlo, gli uomini si scoprono fratelli.
28. Senza dubbio ambivalente, dacché promette il denaro, il godimento e la potenza, invitando gli uni all'egoismo e gli altri alla rivolta, il lavoro sviluppa anche la coscienza professionale, il senso del dovere e la carità verso il prossimo. Più scientifico e meglio organizzato, esso rischia di disumanizzare il suo esecutore, divenuto suo schiavo, perché il lavoro è umano solo se resta intelligente e libero. Giovanni XXIII ha ricordato l'urgenza di rendere al lavoratore la sua dignità, facendolo realmente partecipare all'opera comune: «Bisogna tendere a far sì che l'impresa diventi una comunità di persone, nelle funzioni e nella situazione di tutti i suoi componenti».La fatica degli uomini ha poi per il cristiano un significato ben maggiore, avendo essa anche la missione di collaborare alla creazione del mondo soprannaturale, che resta incompiuto fino a che non saremo pervenuti tutti insieme a costituire quell'Uomo perfetto di cui parla san Paolo, «che realizza la pienezza del Cristo» (Ef 4,13).
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