Da poche settimane è
alla guida dell’Arev. Da quanto tempo opera nel settore?
Sono allevatore praticamente da sempre. Mio padre lo era
come suo padre. Poi ufficialmente ho aperto l’azienda agricola undici anni fa.
E’ un momento molto
delicato per il mondo agricolo e per la zootecnia in particolare. Quali sono i
numeri del settore?
Abbiamo circa 950 allevamenti gestiti in modo professionale,
quindi con partite Iva che vivono sostanzialmente di questo. La fatica è tanta.
Purtroppo i numeri stanno calando. Perdiamo mediamente 35 allevamenti all’anno
e le prospettive non sono le più rosee anche perché l’età media supera i 50
anni.
Quanto è importante l’Arev in un simile
scenario?
A mio avviso è l’unico modo di sopravvivere. Siamo tutte
aziende minuscole. Non possiamo pensare di camminare ognuno con le proprie
gambe. Abbiamo bisogno di un sistema associativo che difenda i nostri diritti,
ci aiuti anche a trovare le vie per i finanziamenti che mancano o per
valorizzare i nostri prodotti. E per quest’ultimo obiettivo occorre un sistema
cooperativa per valorizzare al meglio i nostri prodotti.
Quali sono gli
obiettivi della sua presidenza?
In ordine di emergenza più che di priorità assoluta vedo,
purtroppo, la situazione legata ai contributi che stentano ad arrivare come
dovrebbero. Ci sono allevatori che aspettano ancora quanto dovuto dal
2014-2015. Di conseguenza si fa fatica per un bilancio che comunque è fortemente
legato a queste sovvenzioni che, ricordo, non sono un dono piovuto dal cielo ma
sono legate al fatto che il nostro allevamento sul nostro territorio lavora in
condizioni economicamente insostenibili, ma offre un servizio a tutti quanti gli
abitanti, garantendo una tutela del territorio dal punto di vista idrogeologico
oltre a favorire il turismo in una regione che senza il turismo non può sopravvivere.
E quindi siamo molto in attesa di questi aiuti. I problemi burocratici noi li
viviamo in fondo alla catena ma nascono tra Bruxelles e Roma e tra Roma e Aosta.
Per il resto per fortuna voglio continuare ad insistere per quanto concerne la
valorizzazione dei nostri prodotti. Abbiamo un latte e una carne che sono prodotti
in un modo che non ha nulla a che vedere con l’allevamento intensivo come
avviene nella maggior parte delle altre realtà proposte sul mercato mondiale.
Dobbiamo però farlo sapere ai consumatori senza arrivare tanto lontano,
facendolo semplicemente sapere ai nostri vicini di casa. Ci siamo un po’
isolati e questa è una colpa nostra categoria. Dobbiamo imparare a farci
conoscere di più e a valorizzare il nostro lavoro. Con il nuovo direttivo che
mi sembra molto motivato, in continuità con quanto già fatto in passato,
cerchiamo di spingere affinché la nostra voce si faccia sentire.
Chi sono gli altri
componenti?
I due vicepresidenti sono Davide Ronc e Dino Planaz. Oltre a
loro ci sono altri 17 allevatori in rappresentanza un po’ di tutta la Valle e
di tutti i settori, cioè non solo bovino, ma anche ovicaprino ed equino.
Il dialogo con il
mondo della politica nell’ultimo quinquennio si è fatto più difficile…
Il mondo negli ultimi anni è cambiato, non soltanto il
settore dell’allevamento. Le risorse non sono più quelle di un tempo e la
stessa politica deve imparare ad affrontare i problemi in modo diverso. Se per tanti
anni l’allevamento è stato aiutato in modo più o meno costruttivo dalla
politica con aiuti regionali disponibili in quanto presenti nel bilancio
regionale oggi non è più così. La politica, i dirigenti e chi opera in generale
nella pubblica amministrazione deve reimparare un lavoro diverso e che vede i
contatti con Bruxelles come l’unica possibilità di ottenere finanziamenti. Come
allevatori abbiamo bisogno di una politica che sappia fare il suo mestiere.
Come noi dobbiamo essere imprenditori nel 2017, c’è chi deve essere
amministratore nel 2017. A ognuno compete un ruolo.
Pagamenti Agea,
prezzo del latte, una burocrazia insostenibile sono alcuni dossier caldi. Come
intendete muovervi?
Abbiamo una serie di proposte. Le aziende lamentano il
bisogno da un lato di delegare una parte degli aspetti burocratici. C’è bisogno
di una figura che possiamo chiamare di “segretario aziendale” che come
associazione si occupi di più allevamenti e affronti gli aspetti burocratici
più ostici. E’ ovvio che la compilazione e la firma delle domande spetta all’allevatore,
ma ci sono tante volte dei problemi di comunicazione anche informatica tra
programmi che non possono essere risolti dall’allevatore. Abbiamo bisogno di
qualche tecnico che se ne occupi per noi. Ricordo che ci sono studi in base ai
quali il settore dell’agricoltura e dell’allevamento in Italia e in Valle d’Aosta
in particolare è soggetto ad un carico burocratico che non è paragonabile a quello
di nessun altro settore produttivo. Io allevo 16 bovine da mungere e da due a tre
mattinate alla settimana so per certo che devo stare in giro per uffici. Questa
è una situazione veramente assurda. Un altro aspetto su cui come associazione
vogliamo spingere, ovviamente attraverso il dialogo con chi effettua i
controlli in loco sulle aziende, è avere qualcuno che possa sostenerci quando questi
avvengono. Le regole sono tante, forse troppo. Un attimo di chiarezza in più su
cosa sia necessario fare e quello che l’allevatore può scegliere di fare a
seconda della disponibilità economica o di come vuole impostare la propria azienda
andrebbe fatta. Ci sono norme chiare per tutte e vanno rispettate e chi non le
rispetta, compresi io e i miei colleghi, andrà incontro a delle sanzioni e a
quello che la legge prevede. Ma ci sono anche tanti altri aspetti su cui ognuno
deve avere un minimo di libertà
L’allevamento è un
lavoro difficile ma lo è ancora di più se svolto in montagna. Come si può fare
affinché tra vent’anni ci siano ancora attivi giovani allevatori come lei?
Non vorrei apparire troppo materialista ma l’aspetto economico
è fondamentale. Se un’azienda sta in piedi il giovane può dire mi dedico a
questo lavoro che è duro, ma se lo si vuol fare c’è già una passione a monte
che non deve mancare. Se questa c’è un ragazzo è disposto a lanciarsi nell’allevamento,
ma – e parlo anche da educatore e da padre – siamo noi che lavoriamo qui nel
presente a pensare al loro futuro cercando di evitare che questi ragazzi cavalchino
la loro passione per poi ritrovarsi a fare una vita che al di sotto di
qualunque livello socialmente accettabile. In quanto lavorare 15 ore al giorno
e non potersi permettere un weekend con la famiglia è un qualcosa che non
esiste per nessuno tranne che per gli allevatori. Questa è la norma per gran
parte degli allevatori nella nostra regione. E se questo non cambia avremo seri
problemi a mantenere i giovani nell’allevamento.
Guardando alla fine
del 2017 e al 2018 c’è qualche novità in vista da anticipare ai nostri
radioascoltatori?
C’è tutta la serie di manifestazioni legate a Alpages
ouverts, iniziativa che va avanti con successo da diversi anni e che valorizza
un po’ il punto forte del nostro allevamento cioè la vita d’alpeggio e i
prodotti d’alpeggio, fontina in primis, anche con ricadute turistiche
interessanti. Con l’Assessorato all’Agricoltura siamo in una fase di
organizzazione di parecchi eventi che vanno in altri paesi, in altre regioni a
far conoscere la nostra realtà. E’ una grossa novità.
Un sogno
imprenditoriale-associativo per il settore zootecnico in Valle d’Aosta?
Posso sembrare poco ambizioso ma vorrei che chi lavora nel
nostro settore raggiungesse un livello di qualità della vita degna perché è
proprio su questo che siamo lontani da qualunque altro settore. Abbiamo già la fortuna
di vivere in un paradiso terrestre e questo l’allevatore già lo vede tutte le
mattine, abbiamo la fortuna di essere a contatto con animali splendidi e di
avere un rapporto con loro che non esiste negli allevamenti di pianura però
dobbiamo poter avere quel minimo di libertà che ci manca oggi, dobbiamo poter
vedere come lavorano i nostri vicini del Vallese e della Savoia, dobbiamo
poterci formare e formare, dobbiamo poter dedicare del tempo ai nostri cari,
alla famiglia. E’ lì che vorrei arrivare. Quando gli allevatori potranno
accettare nella loro cultura che il tempo libero è un diritto e non un lusso
allora saremo un settore libero, indipendente e culturalmente preparato.
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