I numeri sono una delle poche cose certe
che ci sono rimaste, i numeri devono, però, essere letti nel contesto a cui si
riferiscono, e questo necessita la consapevolezza del “contesto”, cosa non sempre facile. Ho
sempre diffidato delle classifiche dei quotidiani economici sulla qualità della
vita o sui processi economici delle varie realtà, provinciali o regionali che
siano, (rievocando, mi rendo conto, il
famoso “pollo” che ogni italiano si mangerebbe secondo Trilussa) proprio
perché i numeri sono “aridi” se non analizzati con cura e conoscenze.
La Fédération des Cooperatives, nella sua
assemblea annuale ha evidenziato – risultati contabili – come il settore
agricolo sia, in assoluto, il più
dinamico, (34 cooperative, 1.429 soci e 190 addetti) con un fatturato che ha
registrato un clamoroso più 14,5% nel settore zootecnico – dove il prezzo medio
del latte alla stalla si è attestato a 49 centesimi/chilo – il settore
vitivinicolo migliora del 6% mentre quello frutticolo ha risentito di alcuni
problemi strutturali ma ha fatto registrare un più 0,20%. Alla luce di tali
dati, come detto, in assoluto i più performanti nel settore della cooperazione,
ci si potrebbe chiedere i perché della crisi che, invece, insegue senza tregua
il settore primario.
Mi rendo conto che è bene – riferendoci al famoso
“contesto” – ricordare che il settore agricolo Valdostano è avulso dalla
organizzazione agricola del resto Paese; abbiamo privilegiato – da sempre – la
tutela del territorio, la qualità anziché la quantità, il prodotto Fontina
DOP, le razze bovine e ovicaprine autoctone, la DOP unica vitivinicola. Ma la
fienagione “costa” molto di più che alimentare il bestiame con insilati,
organizzare l’alpeggio costa molto più che tenere i capi in pianura, fare
Fontina DOP costa il doppio ( il
disciplinare prevede due lavorazioni al giorno) di altri pur famosi
formaggi, mantenere capi di razza Valdostana costa uguale – o forse più – di
altre razze , ma la produzione di latte è nettamente minore, e così via.
L’INEA - Istituto Nazionale di Economia
Agraria (ora Crea n.d.a.) con un
proprio quaderno – facilmente reperibile in internet – a firma Patrizia
Borsotto, analizza il costo di produzione del latte in Valle d’Aosta e, con una
attenta analisi eseguita suddividendo varie tipologie aziendali, sia pure con
dati non recentissimi, stabilisce che il miglior allevatore, nelle migliori
condizioni, sostiene un costo di produzione del latte di 62 centesimi al chilo,
arrivando, a seconda dei casi, fino a punte di 79 centesimi. Ammesso che tutti siano bravissimi, 49
centesimi di valore del latte alla stalla evidenziano ancora un meno 13
centesimi tra ricavi e costi. Ogni allevatore, in sintesi, perde 13 centesimi ogni
chilo di latte che munge ! La Fontina non fa eccezione; l’ultimo prezzo fissato
(
a cui si dovranno aggiungere/togliere i premi qualità) è di 7.08 euro/chilo
per la produzione di alpeggio e di 6,87 euro/chilo per la produzione di
latteria ( prezzi IVA compresa). Dagli
annali scopriamo che, nel 1996, il prezzo era
di 12.000 lire per l’alpeggio e 11.600 lire per la latteria. In venti anni il
valore è aumentato poco più del 10%, mentre l’ISTAT stima, nel settore latte,
un aumento dei costi – nello stesso periodo – del 32%. Un operaio
agricolo, in alpeggio, costa, circa 80 euro
lorde al giorno: a 49 centesimi sono, più o meno, oltre 150 litri di latte da destinare per pagare la
giornata del dipendente!
Ecco spiegata la crisi del comparto agricolo. Il lettore attento si chiederà, allora, come ha fatto a resistere il
settore, perché alla luce di questi dati non è possibile sopravvivere. Da una
parte viene spiegato e ampiamente giustificato il ricorso agli aiuti, dall’altra
l’agricoltore è, forse, l’unico “imprenditore” che (necessità virtù) non conta mai l’apporto della propria forza
lavoro, si lavora perché si deve, semplicemente le proprie ore non si contano
e, di conseguenza, non si dovranno remunerare!
Ezio Mossoni
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