Seconda parte dell'intervento tenuto dal professor Federico Visconti in occasione dell'inaugurazione dell'Anno accademico. La prima è stata pubblicata ieri. Domani la terza ed ultima parte.
Alla luce di quanto osservato, si può correre un rischio, se non addirittura cadere in una facile tentazione. Quella di concludere che il problema dell’imprenditorialità innovativa sorge, si affronta e si risolve dentro i confini dell’impresa, alla scrivania del suo management. Così non è, per tante e ovvie ragioni. Una su tutte: le profonde interazioni che l’impresa esprime con il territorio in cui è insediata (Porter, 2000).
Qualche esempio al riguardo.
Si pensi agli elementi distintivi dei distretti industriali: molte imprese, di piccole e medie dimensioni, specializzate per fasi produttive e coinvolte con ruoli e modalità differenti nella realizzazione di prodotti appartenenti ad una determinata categoria merceologica (Becattini, 1989). Le relazioni sistemiche che legano le imprese e le logiche di cooperazione, di emulazione, di competizione che sono alla base dei loro rapporti non possono essere compiutamente comprese se si prescinde dalla storia e dai valori del contesto locale.
Si pensi, ancora, alla competitività delle destinazioni turistiche, dove il confronto concorrenziale ruota attorno ad un pacchetto d’offerta che è il risultato dell’azione di numerosi attori e che deve apparire al mercato integrato, coerente ed attrattivo (Tripodi, 2008). Non c’è solo, al loro interno, un problema di management delle singole strutture; c’è anche, e forse soprattutto, un problema di destination management.
Si rifletta sull’interazione che si sviluppa tra territorio e imprese di grandi dimensioni. Le dinamiche possono essere diverse: l’impresa cresce fisiologicamente all’interno di un contesto caratterizzato da una propria e diffusa vitalità imprenditoriale oppure si insedia dall’esterno allo scopo di rilanciare un’economia in progressivo logoramento se non di vivificare un’area imprenditorialmente sterile, assurgendo al tanto discusso modello delle «cattedrali nel deserto».
In alcuni casi l’interazione funziona, alimentando posti di lavoro, sviluppando competenze distintive, generando relazioni forti e sperimentando forme innovative di welfare occupazionale. In altri casi, si rivela opportunistica, asfittica, di corto respiro. Quel che è certo, è che l’interazione esiste ed è a due vie.
Si considerino, da ultimo, quei contesti la cui economia non manifesta una specifica vocazione imprenditoriale ma si caratterizza per articolati e diversificati subsistemi di relazioni, per originali esperienze cooperative e consortili, per importanti progetti di innovazione che coinvolgono attori di varia natura, pubblica e privata. Ancora una volta, è difficile conoscere l’impresa e riflettere sulle sue condizioni di sviluppo se si prescinde dal suo habitat di riferimento.
Non è questa la sede per approfondire i caratteri strutturali dei contesti citati, per legittimarne l’evoluzione storica, per teorizzarne le condizioni di successo o le determinanti della crisi.
Contesti territoriali troppo diversi, modelli economici troppo diversi, fasi storiche troppo diverse.
L'interazione con il contesto locale
Tanta eterogeneità, un punto fermo: l’impresa vive in stretta interazione con il contesto locale; ad esso offre opportunità di lavoro e di crescita; con esso si confronta sul piano culturale e valoriale; da esso attinge risorse, riceve stimoli e subisce condizionamenti; con esso alimenta processi virtuosi o viziosi di influenza e di apprendimento (Pfeffer, Salancik, 1978).
Se questo è vero, non è difficile giungere ad alcune ipotesi-forti: le capacità di innovazione e di trasformazione di un sistema economico non dipendono solo dalle imprese; il circuito della imprenditorialità innovativa è sostenuto da più variabili, non esclusivamente aziendali; la continuità di sviluppo di un territorio impone visioni e comportamenti sinergici tra più attori, interconnessioni forti a più livelli.
Il legame c’è ed è forte, di mutua dipendenza, di reciproco «nutrimento».
Il problema è farlo funzionare al meglio, con un gioco a somma maggiore di zero, all’interno di una spirale virtuosa. Sono queste le tipiche situazioni in cui le aspettative nei confronti degli studiosi salgono, alla ricerca di soluzioni taumaturgiche che finirebbero per banalizzare una realtà i cui elementi costitutivi scontano decenni se non secoli di storia; valori, usi e costumi consolidati; situazioni economiche (settoriali e dimensionali) articolate e complesse; pressioni al cambiamento più o meno forti; modelli di interazione tra i diversi attori più o meno in equilibrio.
Detto in tutta franchezza: una «ricetta» non esiste. Esistono invece delle linee-guida, o, se si vuole, dei principi forti che possono fluidificare i circuiti di interazione tra imprese e contesto locale. (Continua e si conclude domani)
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