19 aprile 2011

L'auto del Futuro secondo Paola Carrea (4)

Quarto e ultimo post dedicato all’intervista pubblica fatta il 3 marzo, presso l'incubatore di Aosta, dal sottoscritto a Paola Carrea (Magneti Marelli) sul tema «L’auto del futuro», all'interno del ciclo «I Dialoghi dell'Innovazione».
Qui trovi il primo. E il secondo.
 E il terzo.

C’è anche chi sta lavorando ad un’auto interamente governata dal computer, anche tenendo conto del fatto che le statistiche dicono che il 90% degli incidenti in auto è causato da errore umano…
Già da anni stiamo lavorando a veicoli che si muovono completamente in automatico, anche se siamo molto lontani dal lancio produttivo perché il contesto vero della strada è molto critico, complicato. Si fa davvero fatica a riprodurre tutte le situazioni che si possono individuare lungo la strada. Sarebbe però fattibilissimo immaginare di avere delle corsie dell’autostrada dedicate a dei plotoni di veicoli: le auto entrano, si schiaccia un pulsante – lo abbiamo già fatto – e si arriva dall’altra parte dell’autostrada, ti sganci dal plotone, schiacci il bottone e inizi a guidare tu.  Per fare questo c’è bisogno di molta intelligenza artificiale e di sistemi particolarmente complessi e in questo senso si parla di auto guidata dal computer, facendo però molta attenzione che un computer è un computer, è un po’ come un telefonino. Se cade la linea richiamiamo. Però se sono in auto e ho bisogno attraverso l’e-call che parta la chiamata di soccorso io ho bisogno che parta perché rischio di morire e non accetto che qualcuno mi dica “scusa è caduta la linea”. E lo stesso vale per il computer. Noi stessi quando abbiamo iniziato a lavorare con Microsoft all’inizio degli anni 2000 abbiamo dovuto spiegare a questi signori che sull’auto non esiste il “control alt del” per resettare tutto. Quindi c’è bisogno di un computer con gradi di affidabilità, robustezza, vibrazioni elevati, capacità di sopportare i -40 e i +80°, cioè di un Pc molto sofisticato. Ad essere veramente realistici - e pensando a quello a cui stanno oggi lavorando i costruttori di automobili - potremmo ipotizzare non un computer, ma come minimo a tre. Oggi sulla macchina ci sono più di 80 centraline elettroniche e circa 3 chilometri di cavi che mettono in comunicazioni l’alzacristalli, lo specchietto, etc. E’ ovvio che tutto questo va razionalizzato. C’è ad esempio il consorzio Autosar che sta cercando di dire facciamo degli hardware comuni - da cui questa idea dei 3 computer – uno dovrà gestire cambio e motore, l’altro sospensioni e parti non meccaniche e l’altro body, infotaiment, cioè tutto quello che si trova nella plancia. Questi tre computer dovranno comunicare fra di loro attraverso degli standard in parte già definiti, in parte in via di definizione. E ci saranno dei grossi player – tra cui anche Marelli - che saranno gli sviluppatori prevalentemente dell’hardware e del livello base del software, cioè capacità di questi computer di dialogare con la macchina. Le strategie poi - cioè come voglio controllare il motore, il sistema di navigazione che voglio metterci sopra, la capacità dei fari di girare a destra, sinistra, insieme con il volante - possono essere di terze parti. Si rompe il concetto che chi offre una centralina per il veicolo la offre in blocco e ne è responsabile e nasce l’idea di poche centraline e tanti software di terze parti. Ci sono costruttori di software che si stanno arricchendo o comunque investendo molto per arricchirsi con licenze che venderanno ai diversi fornitori di hardware perché se vuoi fare quella una certa cosa io ti do il mio software, ma tu mi paghi la licenza. Un po’ come si è arricchita la Microsoft...
I costruttori sono favorevoli?
Sono proprio loro a volerlo perché diventano molto più competitivi. Ad un certo punto potranno scegliere i pezzi di software dai migliori svincolati dalle soluzioni hardware. L’unico aspetto negativo è che oggi il coltello dalla parte del manico è in mano ai tedeschi. Oggi stanno dettando le regole del Consorzio Autosar Bmw, Wolkswagen che lavorano molto con dei software e provider tedeschi. Così hanno un vantaggio competitivo rispetto a noi che facciamo comunque parte dei consorzi, però dobbiamo cercare di essere molto più presenti.

O che diventi qualcosa di europeo...
Lo sarà di sicuro. La rete di bordo sul veicolo si chiama Can (Controler area network) ed è standardizzata per tutte le centraline con la famosa interfaccia Can. I francesi avevano provato ad osteggiarlo e si erano inventati il Van (veicolar area network), ma il Can è stato standardizzato a livello europeo dai tedeschi. Si tratta di non perdere il treno.

Diventa necessario anche un dialogo fra chi costruisce le auto e chi le strade. Sono due mondi chiamati a comunicare fra loro….
Si deve fare molto in questa direzione. E’ inutile che chi fa automobili continui a lavorare all’auto intelligente, chi fa strade alla strada intelligente e i due mondi viaggino in parallelo senza mai incontrarsi. Non è sostenibile dal punto di vista economico. Il paradosso è che l’auto può essere un po’ meno intelligente e la strada pure se le due cooperano e cooperando costano un po’ di meno e siamo tutti più contenti e soprattutto più sicuri. E’ chiaro che dal punto di vista degli interessi ognuno vuole enfatizzare quello che sta realizzando anche se bisogna cedere qualcosa da entrambe le parti. E’ un dialogo fondamentale anche se difficile da mettere in piedi perché gli attori sono tanti. Dieci anni fa quando già parlavamo di ecosistema di mobilità, di far parlare l’auto con l’infrastruttura in pochi capivano, oggi avverti invece che c’è interesse. Iniziano ad esserci dei player attivi per andare in quella direzione. Una cosa che aiuterà tantissimo sarà la normativa e la legislazione perché risolve il problema degli standard. In Brasile il governo ha detto che tutte le auto devono dialogare con l’infrastruttura attraverso uno specifico protocollo e se le auto non hanno il protocollo non sono omologabili. Oggi tutte le auto sarebbero in grado di parlare tra di loro. Arrivare ad uno standard de facto senza una normativa è impossibile.

A che punto siamo con i carburanti alternativi?
Sull’elettrico si stanno ipotizzando dei nuovi paradigmi di mobilità. Ad esempio delle pensiline dove l’auto arriva, viene sollevata e fa il proprio cambio pacco batterie e riparte. C’è però la necessità di monitorare come vengono utilizzate queste batterie perché se si scarica più dell’80% si danneggia molto rapidamente e allora non tutti sono disposti a fare il cambio del proprio pacco batterie con chi non le cura alla stessa maniera. Anche l’ibrido metano/idrogeno vede dei test molto significativi anche se l’idrogeno è ancora molto lontano per motivi di costo. Un pieno di idrogeno qualche anno fa costava 200 euro e riuscivi a fare un centinaio di chilometri. Più vicino lo sforzo sulle regolazioni delle centraline controllo motore per migliorare le perfomances. Poi c’è il metano, dove Fiat è leader, che sta procedendo molto bene. E in Brasile – anche se si deve fare sempre i conti con la sostenibilità del sistema – c’è il bio-fuell, cioè l’utilizzo della canna da zucchero per ricavare carburante. Qui si trovano molti distributori. Lì però ci sono enormi estensioni, in Europa non sarebbe sostenibile perché consumo molto di più per recuperare il materiale per realizzare il carburante in questione. Anche se mi dicevano dei giornalisti brasiliani che già lo scorso anno hanno avuto problemi perché stanno rendendosi conto che conviene vendere lo zucchero più che il bio-fuell data la crisi in alcuni Paesei produttori di zucchero. Poi ci sono degli esperimenti come recuperare i gas dalla spazzatura. Però sono iniziative molto di nicchia e a livello industriale non sono ancora state prese in considerazione

I trend di sviluppo della mobilità sono impressionanti… L’auto privata è davvero un modello così irrinunciabile?
Oggi i dati dell’Istat dicono che quando ad una persona viene chiesto perché invece dell’autobus per recarsi a lavorare preferisce l’auto privata le risposte che si intuiscono è che l’autobus è un po’ da poveri. Al di là di questo aspetto d’immagine che in alcuni paesi c’è, in maniera altresì provocatoria rispondo no. Nel futuro si vedono molto bene dei paradigmi di mobilità pubblica individuale. Immaginiamoci delle auto in car sharing messe a disposizione del pubblico e quando uno arriva in un posto la lascia in un posto ad hoc dove qualcun altro la prende e si muove a sua volta. Abbiamo fatto noi un esercizio di questo genere su Torino con 10mila vetturette di questo tipo e ne è risultato che si riuscirebbe a gestire molto bene la mobilità nella downtown di Torino eliminandoli trasporto privato. Poi per ridistribuire queste macchine – ma qui andiamo proprio nel futuro – si fa in modo che quando ci si accorge che la distribuzione delle auto è troppo periferica i veicoli in automatico ripartono e si avvicinano alle zone dove statisticamente si sa che potrebbe esserci una richiesta. Alla sera le auto si riconcentrano nelle zone periferiche per il rientro dal lavoro. Volevamo fare una flotta significativa per Torino 2011, per i 150 anni dell’Unità d’Italia, ma non ci siamo riusciti. Stiamo invece equipaggiando una flotta significativa di smart in quanto Mercedes ha lanciato un progetto denominato “car2go” che parte proprio da questo presupposto. Prendi l’auto con una smart card, ti muovi, la lasci e così via. E quindi concetti di trasporto pubblico individuale, così ti muovi in autonomia, sono validi. Ci vogliono gli hub logistici. Ci sono già dei modelli nuovi di trasporto pubblico collettivo fatto a domanda e si tratta di iniziative che andrebbero aumentate in quanto contribuirebbero alla sicurezza e alla fluidificazione del traffico. Togliere auto dalla strada spesso diventa l’unico modo in grado di migliorare la mobilità e così nuovi paradigmi di mobilità, magari un po’ bizzarri, si stanno facendo strada. (fine)

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