Ti propongo l'editoriale che ho pubblicato sul numero del Corriere che trovi questa settimana in edicola.
Il 24 e il 25 febbraio saremo chiamati alle urne per votare il nuovo Parlamento italiano, che avrà un compito fondamentale per il futuro del nostro Paese, quasi una nuova costituente per ridare dignità, fiducia, speranza ad una società italiana fortemente provata dagli egoismi di parte.
Come ha già scritto Mons. Vescovo nella sua lettera pastorale, si tratta di un appuntamento al quale nessuno deve sottrarsi, tanto meno un credente. E a cui dobbiamo presentarci consapevoli della responsabilità che ci assumiamo nell’individuare chi rappresenterà la nostra regione in Parlamento.
La coscienza, formata dal Vangelo, ci chiede di valutare candidati e programmi non per interessi di parte o, peggio, per interessi personali, ma guardando al bene comune.
Ma che cos’è il bene comune? Il Compendio della Dottrina sociale lo definisce così: «Il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro. Come l'agire morale del singolo si realizza nel compiere il bene, così l'agire sociale giunge a pienezza realizzando il bene comune». Il bene comune, infatti, può essere inteso come la dimensione sociale e comunitaria del bene morale.
Una società che, a tutti i livelli, vuole intenzionalmente rimanere al servizio dell'essere umano è quella che si
propone come meta prioritaria il bene comune, in quanto bene di tutti gli uomini e di tutto l'uomo. La persona
non può trovare compimento solo in se stessa, a prescindere cioè dal suo essere « con » e « per » gli altri.
«Tale verità - è ancora il Compendio a ricordarcelo - le impone non una semplice convivenza ai vari livelli della vita sociale e relazionale, ma la ricerca senza posa, in forma pratica e non soltanto ideale, del bene ovvero del senso e della verità rintracciabili nelle forme di vita sociale esistenti. Nessuna forma espressiva della socialità — dalla famiglia, al gruppo sociale intermedio, all'associazione, all'impresa di carattere economico, alla città, alla regione, allo Stato, fino alla comunità dei popoli e delle Nazioni — può eludere l'interrogativo circa il proprio bene comune, che è costitutivo del suo significato e autentica ragion d'essere della sua stessa sussistenza».
Concretamente a cosa siamo dunque chiamati? Prima di tutto a votare avendo a cuore una comunità e cercando nei possibili interlocutori politici veri sguardi di futuro e non risposte a singoli bisogni, inevitabilmente dal respiro corto. L’autonomia può essere difesa soltanto dimostrando come sia un modello in grado davvero di garantire il bene comune dell’intera comunità e non soltanto di una parte.
Recentemente intervistato da Radio Proposta in Blu, Mons. Lovignana ha ricordato come l'appuntamento elettorale per un credente sia un appuntamento con la carità e con la coscienza.
«È un appuntamento con la carità – ha detto - perché il voto che esprimo contribuirà a decidere chi avrà in mano le sorti del paese e il suo orientamento dal punto di vista delle leggi che saranno fatte, dal punto di vista del bene comune, cioè del bene delle persone. È un appuntamento con la coscienza perché un cristiano non può votare per abitudine, per convenienza personale o in maniera superficiale, ma deve fare davvero discernimento sui programmi, sui partiti/movimenti che li propongono e sulle persone che si candidano ad attuarli».
Il vescovo ha sottolineato come il discernimento deve tener conto di tanti elementi, ma in particolare non possono mancare tre precise attenzioni.
La prima è l’attenzione alla posizione (del programma, del partito/movimento, del candidato) circa i valori di fondo della società: il valore incondizionato della vita umana (la sua dignità, i suoi diritti) dall'origine al termine dell'esistenza; il valore della famiglia, fondata sul Matrimonio tra un uomo e una donna; il valore della giustizia sociale e il valore della pace. Si tratta di valori e diritti umani (non confessionali) e, quindi, capaci di ottenere ampio consenso tra persone di diverso orientamento culturale, religioso ed etico. Poi l’attenzione alle proposte concrete per rispondere alle urgenze sociali di questo momento storico nel quale sempre più numerose famiglie entrano o rischiano di entrare in quella zona grigia della società che è la povertà e quindi l'emarginazione dai circuiti della vita sociale.
In concreto si tratta di valutare che cosa viene proposto in ordine al lavoro, alle politiche familiari e allo stato sociale. E, infine, attenzione al modo in cui programma, il partito/movimento o il candidato si rapportano alla piaga della corruzione che sta divorando come un cancro la nostra società: viene presa seriamente in considerazione e si propongono soluzioni credibili per combatterla, per uscire da un sistema viziato oppure viene misconosciuta e/o minimizzata?
Pur nella confusione del momento politico abbiamo dei criteri che ci possono aiutare nel scegliere a chi dare la nostra fiducia e rispondere al nostro appuntamento con la carità e con la coscienza.
5 commenti:
Pietoso endorsement del direttore del settimanale della Diocesi a favore dell'UV. Endorsement rinvenibile, per chi ha un IQ nella media, negli inaccettabili riferimenti a comunità (uno è libero di prescindere da chi si ritrova attorno)e autonomia(fatto tecnico-amministrativo non deificabile). L'UV ha coniato lo slogan "la valle prima di tutto" e in effetti vuole strumentalizzare, omogeneizzare le persone con demenziali finzioni etnolinguistiche atte a inventare la sopravvivenza nel 2013 della regione del 1813.La religione cattolica difende invece la sacralità della persona, unica e irripetibile, cui competono scelte non immolabili sull'altare di un micronazionalismo beota e tribale propagandato o accettato da sprovveduti, opportunisti, integralisti, ex carcerati e via cosìTopertt.
@Borluzzi
Lei invece è un noiosissimo disco rotto rovinato dalla polvere della Storia.
La Storia ha ricoperto di polvere tutti i concetti su cui l'UV basa il proprio credo. Noto che il direttore del settimanale della Diocesi non è mai entrato nella tematica, oggettiva, che io propongo. La difesa di un'immagine ottocentesca della regione stride col messaggio "politico" che un settimanale cattolico deve portare avanti. Questa replica mi determina non nel lasciar correre, ma nel portare alla luce una posizione che ritengo errata, difesa da un rifiuto dell'entrare nei meriti che pareggia la posizione del direttore a quella di un qualunque dittatorello.
Dall'aprile scorso ho problemi esistenziali gravissimi (non di salute)con mancanza di tempo per troppe cose. Invierò uno scritto dettagliante la posizione che ho evidenziato chiedendo una pubblicazione sul settimanale da lei diretto (cosa che lei mi sollecitò, devo riconopscere). In mancanza dell'apertura di un dialogo vero nella sede ottimale, invierò il tutto ad altre sedi. Il Signore sa che una persona nota del Clero valdostano mi disse, anni fa, che se non gradivo l'ipocrita status quo dovevo andare ad abitare altrove. Mi piacerebbe che questa persona poi replicasse. Dissi a lei questo nome, lei sostenne che la cosa le pareva incredibile. Forse la necessità di propagandare, a prescindere, una Valle che non esiste più è la precondizione per mantenere l'incarico.
La Storia ha ricoperto di polvere e di ridicolo le teorie alla base del "credo" unionista. Forse lei deve difenderlo "a prescindere" per mantenere l'incarico. Le invierò uno scritto per il giornale della Diocesi sperando che si apra un dibattito in tale sede, che ritengo essere quella appropriata; in difetto, esporrò il tutto altrove.
@Borluzzi
Il secondo commento sul mantenimento del posto proprio se lo poteva evitare. La mia pazienza è finita. Nessuno ha letto nel mio editoriale ciò che ci vede lei. Se si rilegge tutti i suoi commenti lasciati in questo blog ripete continuamente la stessa tiritera anche quando non centra niente. Possibile che non se ne accorga? Lettere sue sul Corriere ne ho già pubblicate in passato, ma nessuno vuole dialogare con una persona che non ascolta.
Compito a casa: si rilegga ad alta voce il mio editoriale e provi a comprendere (non a interpretare) quanto da me scritto.
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