Michele Pignataro, classe 1925, divide la sua vita fra
le coste mediterranee della Francia e le montagne della Valle d’Aosta, dove
oggi il figlio Pier Sandro, architetto, noto anche per le sue imprese
sportive legate al mondo della barca a vela e dell’alpinismo, prosegue con la
stessa passione e tenacia l’attività imprenditoriale paterna.
Lo abbiamo
incrociato di ritorno dalla terra transalpina dove ama ritirarsi quando il
rigore dell’inverno ai piedi delle Alpi si fa più intenso. Pignataro ha ricordi
felici del Confidi e dei suoi anni da Presidente dell’Avi e gli piace farne
memoria. Una circostanza che si arricchisce grazie al fatto di averlo
incontrato ad Aosta, proprio nella sede di Confindustria, pochi giorni dopo il
suo ottantesimo compleanno.
«Già agli inizi
degli anni settanta – racconta- sapevamo che il mondo dell’industria non
sarebbe stato più lo stesso. La nuova dirigenza della Cogne scelse di puntare sulla
quantità piuttosto che sulla qualità abbandonando la produzione degli acciai
speciali. Una decisione inspiegabile anche perché la Cogne disponeva di circa
1000 brevetti legati a quella tipologia di acciaio e si confrontava alla pari
con le acciaierie svedesi, allora note in tutto il mondo. Se, tanto per fare un
esempio, l’acciaio speciale era venduto a 1000 quello normale lo era a 100, di
conseguenza per quanto si aumentasse la produzione il gap era difficilmente
colmabile e così per la siderurgia in Valle sembrò iniziare un’inevitabile
declino. Contemporaneamente nascevano tante piccole industrie legate al
comparto plastico e ai suoi derivati e si stava sviluppando l’indotto Fiat e
Olivetti. Come Associazione industriali dovevamo assicurare nuovi strumenti
finanziari per sostenere queste aziende in un periodo caratterizzato da
inflazione e alti tassi di interesse».
Noussan, Bordon e Pignataro si interrogavano spesso su
quale potesse essere l’istituto nuovo in grado di sciogliere quel nodo così
cruciale. Ma talvolta le piccole vicende personali sono un po’ come gli scambi
sulle rotaie e modificano il percorso. «Mio figlio – continua Pignataro - studiava all’Istituto San
Giuseppe ed era compagno di collegio del figlio di Mario Borgone, allora Direttore dell’Unione Industriali di Torino.
Il figlio veniva spesso a casa nostra e così grazie a quel contatto così
apparentemente casuale riuscii ad avere un appuntamento con il padre e grazie a
lui iniziai a capire cosa si poteva fare con un Consorzio. In una successiva
seduta di giunta sempre con Bordon e Noussan decidemmo di rivolgerci per una
consulenza al professor Mario Boidi,
docente di tecniche bancarie presso l’Università di Economia e Commercio di
Torino. Avemmo un incontro nel quale ci propose addirittura un modello per la
costituzione del Consorzio. Stilammo allora un documento che fu presentato alla
giunta. Poi il progetto rimase nel cassetto per tre anni. I direttori delle
banche sulla piazza aostana non sembravano comprendere l’utilità di questo nuovo
strumento di credito. Dovemmo così attendere il 1974, cioè l’arrivo a capo
della sede centrale regionale della San Paolo di Giancarlo Ricci, coadiuvato dal dinamico Zanotti. Il nuovo direttore arrivava da Milano e, quindi, molto più
dei suoi predecessori, era in grado di comprendere la portata innovativa della
nostra proposta e così il progetto nel giro di un anno arrivò finalmente a buon
fine».
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