«Il nostro principale obiettivo è valorizzare la qualità delle produzioni tipiche valdostane». Augusto Chatel non manca di sottolineare come l’Institut agricole regional (Iar) da oltre un quarto di secolo ricopra un ruolo fondamentale per il mondo agricolo valdostano. Fucina di nuovi agricoltori, occasione formativa per chi già pratica la professione, in questi ultimi anni ha ulteriormente consolidato la sua vocazione più affascinante, quella di Centro di ricerca. Ma facciamo qualche passo indietro. Nel 1982, con la legge regionale 1 giugno 1982 n. 12, il patrimonio umano e materiale dell’école pratique d’agriculture confluisce infatti in una fondazione denominata Institut Agricole Régional. Progressivamente, si avverte l’esigenza
di prolungare il corso di studi a cinque anni, che si concretizza nell’anno scolastico 1993/1994, con l’attivazione di un corso di studi quinquennale previsto per gli Istituti Professionali Statali e con l’iter per il riconoscimento legale, terminato nel 1997, anno a partire dal quale gli alunni conseguono in sede il diploma di Agrotecnico. A decorrere dall’anno scolastico 2001/2002 all’Institut è finalmente riconosciuto anche lo status di scuola paritaria. Ma è indubbiamente
il centro di ricerca ad offrire alla Valle d’Aosta un atout importante in settori delicati come quelli zootecnico, vitivinicolo e caseario. Un ruolo che poco più di un mese fa ha convinto un quotidiano autorevole come il Wall Street Journal ad occuparsi dello Iar con un articolo, a
firma del giornalista freelance Aaron Maines, dal titolo «Italy’s Ancient Vines». Al centro dell’articolo - che, forse, dal punto di vista scientifico ha fatto un po’ storcere il naso a Chatel,
anche se dal punto di vista della comunicazione ha ricordato agli americani (con tanto di cartina) che la Valle d’Aosta è in Italia ed è una terra di vini molto particolari – il lavoro dello Iar in materia di selezione clonale dei vitigni di antica coltivazione sul territorio regionale. Un lavoro avviato da tempo e che l’Istituto prosegue senza sosta convinto dell’importanza di offrire
agli appassionati vini fortemente radicati nel loro territorio. «L’agricoltura valdostana – precisa Chatel - deve confrontarsi con difficoltà di tipo pedoclimatico e strutturale, che riducono la produttività e aumentano i costi di produzione. La sostenibilità delle aziende agricole regionali è pertanto strettamente legata alla capacità degli operatori di valorizzare i prodotti territoriali, puntando sulla qualità, espressa in termini di genuinità, di tipicità e di sicurezza dal punto di vista igienico-sanitario. In particolare, sulla base di un nostro recente studio, diventa sempre più necessario che si crei un legame virtuoso tra il settore agricolo e quello turistico».
«La filiera corta – aggiunge Chatel – è una necessità sempre più importante. Ma è possibile realizzarla soltanto in presenza di agricoltori che sanno fare qualità e comunicarla al territorio e se ci sono ristoratori e albergatori in grado di capire quanto l’offerta di prodotti tipici può far crescere anche la qualità del loro prodotto. Salvaguardare la biodiversità è nell’interesse di tutti». Una delle ultime frontiere dell’Institut è il dimostrare attraverso l’analisi microbiologica e chimica che i prodotti montani «non soltanto non fanno male – conclude Chatel – ma addirittura fanno bene, cioè presentano caratteristiche organolettiche utili all’organismo umano. L’obiettivo è dare un fondamento scientifico a quello che per ora è percepito dalla clientela come un ragionamento di buon senso». (Pubblicato sul Corriere della Valle d'Aosta del 28 agosto 2008)
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