3 aprile 2011

L'Agricoltura Valdostana Rischia di Spegnersi: il Concetto di Competitività Uccide la Montagna

L’agricoltura valdostana si sta spegnendo. «Applicando il criterio della competitività la montagna muore perché non può vivere con tre mesi di turismo all'anno». Il grido d'allarme è stato lanciato nei giorni scorsi dal Presidente della Giunta Augusto Rollandin, durante il convegno «Il buon governo della montagna», organizzato in Valle d’Aosta dal Consiglio nazionale dell'Ordine dei dottori agronomi e forestali. Un’analisi che, ovviamente, si adatta perfettamente al cagionevole stato di salute delle imprese agricole valdostane, più volte evidenziato dalla sezione valdostana di Coldiretti, guidata da Giuseppe Balicco.

I numeri del resto lasciano pochi dubbi. In base agli ultimi dati messi a disposizione dall’osservatorio economico regionale nel 2010 le imprese attive al 31 dicembre 2010, secondo infocamere, erano 1.874 su 12.416 ed erano state registrate 75 iscrizioni (44 nel 2009) a fronte di 175 cessazioni (200 l’anno l’anno prececente). Un trend negativo avviato da tempo, come evidenziato dalla stessa relazione annuale di Banca d’Italia che, fra l’altro, assegna al settore agricolo un Pil pari a 45,4 milioni (l’1,6% di quello totale), realizzato per oltre due terzi dalla zootecnia.

«Sono necessarie - ha dichiarato il Presidente - politiche serie e concrete in grado di mettere in condizione chi fa impresa in montagna di avere un reddito compatibile con i maggiori costi».
Per Ezio Mossoni, direttore di Coldiretti, i conti si fanno in fretta: «le mucche adatte ai nostri pascoli mangiano come le altre e producono la metà», senza dimenticare che l’agricoltore è l’unico imprenditore «che non può fissare il prezzo di ciò che vende». I margini si riducono e non stupisce che un’indagine dell’Institut agricole di non molti anni (su un campione di 120 aziende)  avesse constatato come l’80% di queste realizzasse un reddito netto annuale inferiore ai 12mila euro.

Un problema sollevato dallo stesso Carlo Petrini, fondatore di slow-fod che, recentemente, in un suo intervento all’Università della Valle d’Aosta, ha detto chiaramente che i contadini «devono essere pagati di più». Una buona notizia per il settore, almeno sul fronte delle risorse economiche sembra arrivare dal fronte, spesso contrastato, dei pagamenti Agea (l’agenzia per le erogazioni in agricoltura), pari a 16 milioni annui.

All’Assessorato all’agricoltura confidano di esaurire tutto il pregresso entro la fine del 2011. Attualmente il 2007 è stato pagato per il 95%, il 2008 per l’85, il 2009 è al 15%, ma entro Pasqua dovrebbe sbloccarsi un importante finanziamento e sarà superata ampiamente quota 50%. «Per il 2010 – spiega il responsabile dell’Ufficio Carlo Francesiaabbiamo appena iniziato, ma va anche detto che siamo stati impegnati in una serie di azioni di verifica che l’Ue fa ogni volta che si arriva a metà del Piano di sviluppo regionale». In questa logica diventano fondamentali le strategie legate alla diversificazioni della produzione come l’offerta di ricettività, ristorazione, la gestione di fattorie didattiche e la coltivazione di erbe officinali che spesso possono essere ospitate in terreni non adeguatamente sfruttati. Un comparto osservato con interesse dall’amministrazione tanto da aver fatto approvare un disegno di legge che ne disciplina le attività di coltivazione, raccolta, prima trasformazione, trasformazione e commercializzazione. In parte delusa Coldiretti dalla recente mancata approvazione della proposta di legge recante disposizioni relative all'impiego di organismi geneticamente modificati (OGM) in agricoltura, presentata dal gruppo Alpe, sul quale si è registrata l’astensione della maggioranza.

«Da una parte si chiede il bando degli OGM – si leggeva nella nota dell’associazione - dall’altra si stanno preparando le linee di coesistenza che, vista la situazione fondiaria e meteorologica della nostra regione, porterà al risultato di impossibilità di utilizzo di OGM in Valle. Sono due provvedimenti che, con percorsi diversi – sostanzialmente – porteranno allo stesso risultato. Non vale forse la pena di chiedere al Consiglio Regionale di non trasformare il problema in dibattito politico e di condividere un testo unitario che dichiari chiaramente la volontà di salvaguardare il territorio da colture modificate geneticamente?». La politica sembra intenzionata a seguire altre strade. (Pubblicato sul Sole 24 Ore Nord Ovest del 30 marzo 2011)

1 commenti:

giancarlo borluzzi ha detto...

Siamo alle solite: viene impostato un argomento e si finisce ben presto a parlare di assistenzialismo.
Se si vuole impostare correttamente il problema, ci si deve porre un quesito: l'agricoltura di montagna deve esistere perchè vi sono "utilizzatori finali"(absit iniuria verbis)che necessitano dei suoi prodotti, oppure tale agricoltura deve servire a fornire mezzi di sostentamento a chi vuole, magari contro le leggi del mercato, operare in tale settore senza prendere in considerazione l'ipotesi del cambiare mestiere, tenendo conto che le realtà cambiano e ciò che valeva ieri non necessariamente vale oggi?
Bisogna essere seri e quindi oggettivi, prescindendo dalla demagogia rossonera sempre col cappello in mano per mantenere voti elettorali di settore e per fingere vivissima una realtà che lo scorrere del tempo ha sbiadito ma alla quale gli anacronistici rossoneri vorrebbero fingere ancorata la regione.
Ci sono leggi di mercato, si possono bypassare una volta ma non sistematicamente.
Qui si parla di latte e dico che poco fa in un grande magazzino il Parmalat veniva venduto in offerta a 75 ct. al litro. Ovviamente in confezione, che ha il pregio di durare: generalmente uno non perde il suo tempo recandosi a comprare il latte fresco spendendo in tempo, benzina, usura auto, parcheggio e così via.
Dubito che l'agricoltura di montagna, specialmente se riferita alla microscopica Valle, possa collocarsi nel mercato: il piccolo produttor locale non può vendere il suo latte vivendo del ricavo da latte commercializzato fresco.
E allora?
Conosco poco l'argomento, ma mi pare certo che la comunità non deve elargire parte delle tasse pagate da tutti a chi non vuole guadagnarsi da vivere scordando l'agricoltura. Questa può sopravvivere in montagna in certi settori, di nicchia, ma non in altri.
Se l'agricoltore non sopravvive naturalmente di agricoltura deve fare altro, non è la società che deve assisterlo violentando le leggi del mercato.
Se si vuol fare demagogia politica si esce dalla logica imprenditoriale e dal buon senso attaccando l'agricoltura di montagna alle macchine di un reparto di rianimazione senza afferrare che tale reparto non serve ai malati cronici e irreversibili.

 

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