L'ananas non brucia i grassi... |
Internet è, certamente, il sistema più veloce e immediato di
comunicazione, si dice che proprio grazie alla rete il mondo sia diventato
piccolo ma, come ben noto, la velocità
di comunicazione e accessibilità dei dati, uniti alla massa mondiale di utenti,
non ha certamente valorizzato l’affidabilità dei dati contenuti nella rete
stessa.
Il settore alimentare non fa certo eccezione, anzi, visto
l’enorme valore degli interessi che ruotano attorno al cibo, le “bufale”
alimentari preoccupano tre italiani su quattro (66%) per l’impatto sulla salute
per effetto delle cosiddette “fake news”
sulle caratteristiche dei cibi che si moltiplicano in rete e spingono a
comportamenti insensati e anche pericolosi.
Secondo l’indagine il 53% degli italiani ha utilizzato internet, almeno qualche volta
durante l’anno per raccogliere informazioni sulla qualità dei prodotti
alimentari e ben il 25% degli italiani partecipa
a community/blog/chat in internet centrate sul cibo, proprie o di altri, che
influenzano le scelte di acquisto in modo non sempre corretto e veritiero.
Dall’ananas dimagrante (la bromelina, sostanza mangia grassi è contenuta
solo nel gambo che nessuno mangia) allo zucchero di canna che non fa
ingrassare, (in realtà ha le stesse caratteristiche nutrizionali e caloriche di
quello bianco raffinato), dalla favola che le banane sono le più ricche di
potassio (solo al nono posto tra i prodotti
ortofrutticoli ricchi di potassio che al vertice della graduatoria vede gli
spinaci crudi, seguiti dalla rucola e dai cavolini crudi) al
kamut (che non è altro che un marchio commerciale privato registrato in USA di
grano khorasan coltivato anche in Italia e che ha caratteristiche ritrovate
anche nel farro o nelle varietà di grano duro italiane), ma anche che mangiare
carne fa male (è indispensabile in piccole quantità e se ne può fare a meno
solo integrando la sua mancanza con altri prodotti animali, come uova in
primis, latte e derivati, e in alcuni casi assumendo integratori di vitamine e
minerali) così come il latte fa sempre male o che chi è intollerante al lattosio
non deve mangiare formaggi, (in realtà il latte di mucca, capra o pecora
rientrano da migliaia di anni nella dieta umana, al punto che il genoma si è
modificato per consentire anche in età adulta la produzione dell’enzima
deputato a scindere il lattosio, lo zucchero del latte) sono solo alcune delle
bufale alimentari virali in rete così come è falso dire che tutti i prodotti
alimentari realizzati nell’Unione Europea rispettano le stesse regole o che i
prodotti venduti dal contadino sono meno controllati.
La scorretta informazione nell’alimentare ha un peso più
rilevante che negli altri settori perché’ va a influenzare direttamente la
salute, Internet però non va criminalizzato perché può svolgere un ruolo di
controllo importante in un sistema in cui l’informazione alimentare purtroppo
rischia di essere influenzata soprattutto dalle grandi multinazionali grazie
alla disponibilità di risorse pubblicitarie investite.
Sono da considerare “fake
news” anche le pubblicità delle aranciate che contengono appena il 12% di succo
o quelle dell’olio di oliva di grandi marchi che fanno immaginare paesaggi
toscani mentre contiene quello importato dalla Tunisia o ancora il prosciutto
nostrano che è fatto con maiali tedeschi senza alcuna informazione in etichetta
per i consumatori.
Il processo di attenzione alimentare è arricchimento
culturale che, con la conoscenza diretta, contribuisce a combattere le “bufale”,
ad adottare comportamenti di acquisto più informati e consapevoli che aiutano a
scegliere i prodotti sugli scaffali anche nelle forme più tradizionali della
distribuzione.
Ezio Mossoni, Delegato Confederale Coldiretti
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