17 maggio 2017

Le “bufale” alimentari ingannano gli Italiani ma orientano i consumi (#mossoni 02)



L'ananas non brucia i grassi...
Nella prima settimana di Maggio Coldiretti ha presentato – a Roma – una indagine realizzata in collaborazione con l’istituto di ricerca IXE’ e promossa con la partecipazione  dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare e  con la Scuola Superiore della Magistratura.

Internet è, certamente, il sistema più veloce e immediato di comunicazione, si dice che proprio grazie alla rete il mondo sia diventato piccolo  ma, come ben noto, la velocità di comunicazione e accessibilità dei dati, uniti alla massa mondiale di utenti, non ha certamente valorizzato l’affidabilità dei dati contenuti nella rete stessa.

Il settore alimentare non fa certo eccezione, anzi, visto l’enorme valore degli interessi che ruotano attorno al cibo, le “bufale” alimentari preoccupano tre italiani su quattro (66%) per l’impatto sulla salute  per effetto delle cosiddette “fake news” sulle caratteristiche dei cibi che si moltiplicano in rete e spingono a comportamenti insensati e anche pericolosi.

Secondo l’indagine il 53% degli italiani  ha utilizzato internet, almeno qualche volta durante l’anno per raccogliere informazioni sulla qualità dei prodotti alimentari e  ben il 25% degli italiani partecipa a community/blog/chat in internet centrate sul cibo, proprie o di altri, che influenzano le scelte di acquisto in modo non sempre corretto e veritiero.

Dall’ananas dimagrante (la bromelina, sostanza mangia grassi è contenuta solo nel gambo che nessuno mangia) allo zucchero di canna che non fa ingrassare, (in realtà ha le stesse caratteristiche nutrizionali e caloriche di quello bianco raffinato), dalla favola che le banane sono le più ricche di potassio (solo al nono posto tra i prodotti ortofrutticoli ricchi di potassio che al vertice della graduatoria vede gli spinaci crudi, seguiti dalla rucola e dai cavolini crudi) al kamut (che non è altro che un marchio commerciale privato registrato in USA di grano khorasan coltivato anche in Italia e che ha caratteristiche ritrovate anche nel farro o nelle varietà di grano duro italiane), ma anche che mangiare carne fa male (è indispensabile in piccole quantità e se ne può fare a meno solo integrando la sua mancanza con altri prodotti animali, come uova in primis, latte e derivati, e in alcuni casi assumendo integratori di vitamine e minerali) così come il latte fa sempre male o che chi è intollerante al lattosio non deve mangiare formaggi, (in realtà il latte di mucca, capra o pecora rientrano da migliaia di anni nella dieta umana, al punto che il genoma si è modificato per consentire anche in età adulta la produzione dell’enzima deputato a scindere il lattosio, lo zucchero del latte) sono solo alcune delle bufale alimentari virali in rete così come è falso dire che tutti i prodotti alimentari realizzati nell’Unione Europea rispettano le stesse regole o che i prodotti venduti dal contadino sono meno controllati.

La scorretta informazione nell’alimentare ha un peso più rilevante che negli altri settori perché’ va a influenzare direttamente la salute, Internet però non va criminalizzato perché può svolgere un ruolo di controllo importante in un sistema in cui l’informazione alimentare purtroppo rischia di essere influenzata soprattutto dalle grandi multinazionali grazie alla disponibilità di risorse pubblicitarie investite.  

Sono da considerare  “fake news” anche le pubblicità delle aranciate che contengono appena il 12% di succo o quelle dell’olio di oliva di grandi marchi che fanno immaginare paesaggi toscani mentre contiene quello importato dalla Tunisia o ancora il prosciutto nostrano che è fatto con maiali tedeschi senza alcuna informazione in etichetta per i consumatori.

Il processo di attenzione alimentare è arricchimento culturale che, con la conoscenza diretta, contribuisce a combattere le “bufale”, ad adottare comportamenti di acquisto più informati e consapevoli che aiutano a scegliere i prodotti sugli scaffali anche nelle forme più tradizionali della distribuzione. 

Ezio Mossoni, Delegato Confederale Coldiretti

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