13 giugno 2019

Il futuro? L'#agricoltura di precisione (#mossoni10)

Proponiamo una delle tante interessanti analisi che Ezio Mossoni scrive settimanalmente sulla pagina agricoltura del Corriere della Valle. Un buon motivo per abbonarsi. 

Senza dubbio l’immaginario comune - ma non solo l’immaginario, basta guardarsi attorno nella nostra regione – rileva un settore agricolo molto legato alla tradizione, a lavorazioni che si portano
appresso metodologie legate alle tradizioni e al tempo. E più le difficoltà operative sono importanti
a causa delle piccole dimensioni, della conformazione del territorio e del clima e più lo sviluppo delle
tecnologie rallenta, proprio a causa delle oggettive difficoltà.

Ma l’agricoltura (soprattutto quella mondiale, l’Italia è ancora tra i fanalini di coda con circa il 2% delle superfici, contro il 20% della Francia e il 70% in USA) si sta avvicinando alla “Agricoltura di Precisione”. 

Si tratta, in buona sostanza, della applicazione di tutte le tecnologie più moderne, anche molto moderne, per poter garantire qualità nelle produzioni ma, soprattutto, un esatto utilizzo delle risorse –
dalla forza lavoro, all’acqua irrigua, ai trattamenti – ai fini di ridurre i costi e anche, di rilevante importanza, l’impatto ambientale, con un evidente beneficio per territorio e gestione dell’ambiente, con minor utilizzo di sementi, fertilizzanti, agrofarmaci, acqua di irrigazione, carburanti, lubrificanti.

Con l’agricoltura di precisione sensori specifici collegati a impianti informatici rilevano, ad esempio,
con estrema esattezza l’umidità del terreno e stabiliscono quanta acqua e quante sostanze nutritive
servono per una determinata coltura senza sprecarne una sola goccia, ma anche eliminare infestanti
attraverso interventi mirati, prevenire patologie, migliorare la resa delle coltivazioni e la stessa qualità dei prodotti.

Sulla meccanizzazione l’impatto è straordinario: usando una tecnologia simile ai piccoli tagliaerba che agiscono autonomamente vi sono già, in Italia, oltre l’8% dei trattori che lavorano senza autista,
con il controllo remoto, a distanza, anche satellitare, e che si muovono su tracciati e percorsi predeterminati attraverso mappatura dei terreni eseguita, preventivamente, con l’uso dei droni.

Nella zootecnia da latte, poi, la voce “alimenti” rappresenta una quota superiore al 30% del costo
di produzione del latte bovino (nella nostra regione la percentuale è anche più elevata). Apposite
rilevazioni tarate sulle attitudini dei capi (razza, dimensioni, età, produzioni medie, ecc. ) possono
determinare meccanicamente il peso della razione quotidiana di acqua e cibo, consentendo risparmi considerevoli e maggiore benessere per l’animale. Si tratta, come ben comprensibile, di tecnologie difficilmente applicabili sul nostro territorio montano, salvo alcuni primi importanti pionieri legati soprattutto alla viticoltura, a causa di investimenti ingenti a fronte delle dimensioni aziendali, dell’età media degli addetti e, purtroppo, anche con tutto l’impegno di modernizzazione da parte del settore
agricolo si va a cozzare contro i problemi strutturali come la mancanza di collegamenti internet
nella aree rurali e montane e la non completa diffusione di banda larga e banda ultra larga.

Uno degli esempi, comunque molto indicativo, è quello della Maison Anselmet di Saint-Pierre dove vengono utilizzati, in vigna, sensori per stabilire il numero dei trattamenti – dimezzati, ha dichiarato il titolare – cioè il grado di umidità, le necessità del terreno e persino lacolorazione delle foglie, da cui si stabilisce la salute della vigna e, infine, sensori di calcolo dei parametri indicativi del momento esatto della vendemmia. 

È comunque evidente che le tecnologie innovative salvo, come evidenziato, specifiche situazioni, vedono la loro massima applicazione in agricoltura intensiva, con produzioni industriali, mentre l’agricoltura tradizionale – unita alle moderne tecniche igienico-sanitarie – fornisce altrettanta garanzia di qualità, salubrità, e tipicità, forse più ricercate dal consumatore attento. Non dimentico che il luogo comune che più ho sentito ricordare dopo “non ci sono più le stagioni” è “ non c’è più la Fontina di una volta!”.

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